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La strage di Casteldaccia è solo l’ultimo capitolo di una tragedia infinita da debellare

by Stelio Fergola
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Casteldaccia

Roma, 8 mag – Di lavoro si vive, non si muore. È una banalità, ovviamente, nel senso che un punto del genere non dovrebbe neanche essere messo in discussione. Eppure la nostra società lo mette in discussione eccome, e la tragedia di Casteldaccia, che ha visto la morte indecente di cinque persone con la sola colpa di essere andati a fare il loro dovere, non può mettere in secondo piano un fatto sociale gravissimo e inaccettabile: che i decessi sul lavoro, ogni anno, viaggiano tra 1000 e i 1500. Numeri inaccettabili per la civiltà, incomprensibili per la natura umana.

L’incidente non può essere una scusa

L’incidente non può essere una scusa. Certamente, occorre un minimo di realismo nel fotografare qualsiasi fenomeno. La morte ci può cogliere in mille modi e sì, da un punto di vista assoluto può capitare anche sul posto di lavoro. Ma quando le statistiche sono queste è inevitabile chiedersi se non ci sia qualcosa che non va. Perché un incidente si può recepire come tale, due pure e facciamo anche dieci, in un singolo anno. Ma se si parla di migliaia di casi,  è chiaro che si sta affrontando un demone molto più grande, sottovalutato per non dire deliberatamente ignorato a prescindere dal dramma enorme di Casteldaccia. Che però, paradossalmente, forse può essere un’occasione di crescita: spirituale, umana, morale.

La verità e la giustizia su Casteldaccia siano da apripista per una società migliore

Per ora, come riporta Adnkronos, si indaga per omicidio plurimo colposo. Non siamo futilmente scettici, sia chiaro: il caso è stato troppo clamoroso e ha fatto troppo rumore per poter passare sotto silenzio come gli altri, numerosi, innocenti che periscono solo con il torto di svolgere il proprio dovere sociale e umano. Cinque persone con un’esistenza strappata. Una sesta in condizioni gravissime che lotta fra la vita e la morte.

Il lavoro è un diritto da proteggere con cura: esattamente come la vita

La Sicilia, una delle “Italie” di confine, sotto certi aspetti è il cuore della Nazione. Di una comunità che non sa di essere comunità, ma che ha un bisogno viscerale di ritrovare questa sua natura. Perché è una natura, non un’imposizione. Imposizione è semmai quella che ha formato generazioni intere all’idea di non essere tale, non il contrario. Ottenendo considerevoli successi, a discapito di tutti. Le tragedie sul lavoro sono un tema su cui dovremmo compattarci tutti, come popolo, come società, come collettività. Non importa quanto queste aspirazioni saranno ascoltate oggi. È doveroso e oltremodo necessario ribadirle, perché se c’è qualcosa che ha fatto grande questo Paese (sì, grande, con buona pace di chi crede di vivere in Congo) è il lavoro. Certamente, anche la cultura e le tradizioni. Ma il lavoro recita un ruolo importantissimo. E i suoi protagonisti, i milioni di italiani che hanno fatto da motore alla straordinaria crescita del secolo scorso, vanno protetti e tutelati. Partendo da Casteldaccia, per arrivare fino alle Alpi. L’Italia è il lavoro e il lavoro è l’Italia.

Stelio Fergola

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