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Alimentare il Genio di Roma contro la decadenza (romana e non solo)

by Adriano Scianca
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Roma, 9 ott – Il 9 ottobre, a Roma, si celebrava il Genius publicus populi romani. Non disponiamo di particolari “entrature” nel mondo del sovrasensibile, ma se dovessimo giudicarne l’umore da ciò che vediamo quotidianamente nell’Urbe, ne dovremo dedurre che il Genio non goda di un momento particolarmente fausto. Roma, oggi, non è solo una città pessimamente amministrata, caotica, corrotta, sporca, inquinata, vilipesa. È anche una città triste, incazzata, in cui l’energia morale e spirituale che vi ristagna è negativa, come una cappa plumbea che impedisce alla luce di far passare i suoi raggi.

Il che è decisamente allarmante, non solo per chi a Roma vi abita, ma per l’Italia intera e, diremo, per tutta la nostra civiltà, dato che Roma non è solo una città, ma è un polo spirituale i cui destini si intrecciano con quelli della nostra nazione e delle genti che, a vario titolo, alla forza di questa città attingono e hanno attinto. Roma, insomma, deve rientrare in contatto vitale con il suo Genio.

I riferimenti a tale figura divina risalgono almeno alla fine del III sec. a. C. Livio ci racconta di come i Romani, in seguito a una serie di segni nefasti, avessero immolato cinque vittime adulte “al Genio della città”, così come prescritto dai Libri sibillini. Tale divinità aveva un santuario al Foro Romano in vicinanza del tempio della Concordia, almeno sin dal periodo tardo repubblicano. La più antica rappresentazione che si ritiene faccia riferimento al Genius Populi Romani lo raffigura come un giovanetto che porta un mantello nella parte inferiore del corpo e tiene nella sinistra una cornucopia.

Ma in altre raffigurazioni, rese certe dalla scritta G.P.R., appare barbuto e incoronato con diadema dinanzi ad uno scettro, oppure in trono sulla sedia curule con lo scettro e la cornucopia. Sotto Augusto, il Genio del popolo romano e quello dell’imperatore tenderanno sempre più a essere sovrapposti. Non è chiaro se il Genius populi romani fosse la stessa cosa del Genius urbis. Sappiamo che sul Campidoglio era venerato uno scudo che recava la scritta Genio urbis Romae sive mas sive femina.

Ad ogni modo, la presenza di una specifica divinità posta a tutela dell’Urbe potrebbe avere a che fare col mistero sul “nome arcano” della città. Si ricorderà, infatti, che i romani conoscevano una operazione sacrale chiamata evocatio, consistente nella “chiamata” agli Dèi tutelari di una città con cui si era in guerra affinché passassero con Roma, abbandonando il popolo nemico e determinando, sul piano magico, quella vittoria il cui riverbero doveva necessariamente manifestarsi sul piano materiale.

Conosciamo due soli esempi di evocatio, quella contro Veio e quello contro Cartagine. Ma è evidentemente contro il suo proprio Genio (anzi, contro i suoi Geni, quello del popolo e quella della città, se i due erano diversi) che Roma temeva di subire un’evocatio, timore che ha appunto giustificato la necessità dei nomi segreti da affiancare a quello pubblico. Come si vede, la questione del Genio di Roma è potentemente intrecciata con il suo destino, anche materiale, ed è proprio nei momenti di pericolo che questa divinità fa la sua comparsa nella storia romana.

È stato giustamente scritto che “le ierofanie del Genio sono rare, erratiche e rapsodiche e sono connesse, soprattutto, a vicende drammatiche o a mutamenti ciclici: la loro caratteristica essenziale è quella di prescindere totalmente dalla religione ufficiale romana” (Anonimo Romano, “Il genio di Roma”, in Politica Romana, 3/1996). È, il presente, un “momento drammatico” della vita di Roma? L’impressione è che le cose stiano anche peggio, e cioè che questo sia davvero il momento cruciale per tutta una civiltà, ovvero per quella civiltà europea che non è solo Roma, che talvolta ha anche odiato Roma, ma che mai è riuscita a proporre sintesi e ordini superiori senza rifarsi a essa. Come se ne esce? Imponendo un’altra polarità spirituale all’insegna della volontà là dove regna il fatalismo, della lotta là dove regna la resa, della forza là dove regna l’estenuazione. Con la sua lingua di ierogrammi impressi nella realtà visibile, il Genio di Roma saprà mandare i suoi ringraziamenti.

Adriano Scianca

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