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Alle origini della cancel culture, analisi del fenomeno

by La Redazione
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cancel culture

Roma, 5 marzo – La cancel culture – espressione ormai entrata di moda che potrebbe essere tradotta con una locuzione italiana più esplicita, e cioè “revisionismo storico e culturale” (radicale) – ha assunto a tutti gli effetti la dimensione di programma, portato avanti sia da intellettuali e uomini dell’editoria e del cinema che dalle masse.

Cancel culture nei libri

Nel primo caso, si assiste a violenze letterarie e artistiche: James Bond diventa una donna, il capolavoro “Via col vento”, non potendo essere eliminato dalla faccia della Terra, viene bollato come razzista e xenofobo, al punto che nella nuova edizione gli spettatori sono costretti a sorbirsi una lezioncina da scuola materna su inclusione a antirazzismo, J. K. Rowling viene accusata di aver scritto un’opera maschilista (la saga di Harry Potter), Roal Dahl viene stravolto cancellando alcune parole, come p.e. “grasso”, nella nuova edizione delle sue opere. Nel secondo caso, si assiste al fenomeno, preoccupante e non sufficientemente sottolineato, della distruzione di monumenti di personaggi che hanno fatto la storia mondiale (quali p.e. Charles Darwin, tanto per citare un nome) e alla loro bollatura. Il revisionismo e la censura stanno colpendo pesantemente tutto il mondo artistico: i registi di Hollywood, patria di molte deviazioni, per non essere colpiti dalla scure della censura (perché le cose vanno chiamate col loro nome), si sentono in obbligo di inserire in ogni loro film neri e omosessuali, al punto che troviamo di tali figure anche in opere cinematografiche ispirate a lavori letterari nei quali costoro non erano nemmeno contemplati; ovviamente, ciò avviene anche nelle opere destinate all’infanzia, che anzi sono le più colpite da questo fenomeno (perché, si sa, i bambini sono come le spugne, assorbono acriticamente).

Fanatismo e miopia

La cancel culture è frutto di miopia, ignoranza e fanatismo. L’idea di operare una selezione di tutte le opere dell’umanità sulla base di criteri quali il razzismo, l’omofobia, ecc. è semplicemente una follia; assomiglia alla revisione marxista di tutta la storia (peccato che il marxismo è, riconosciamolo, frutto di menti eccelse ed è notevolmente complesso): si prendono alcuni criteri che oggi vanno di moda, circostanziali ed etnocentrici (giacché al 70% della popolazione umana questi temi non interessano lontanamente, caratterizzano il mondo statunitense e, in parte, europeo, con buona pace di molti fanatici), e li si utilizza per giudicare tutto lo scibile umano, prodotto in tempi diversissimi e in luoghi e contesti culturali diversissimi. L’errore di valutazione e di prospettiva, il fraintendimento sono evidenti. È mai possibile giudicare e interpretare con gli occhi di oggi Shakespeare, Darwin, Aristotele, Sant’Agostino, Dante Alighieri, le credenze dell’antica Grecia, la cultura dei faraoni, Omero (che è già stato attaccato per essere modificato), ecc. ecc.? Non ci vuole un critico letterario o un semiologo per rendersene conto: basta un po’ di sana intelligenza. Che cosa si vorrebbe fare, vorremmo capire? Modificare tutte le opere: Dante chiamava “sodomiti” gli omosessuali e li relegava all’Inferno, come faceva con gli adulteri e i golosi? Ebbene, modifichiamo la Divina Commedia o la cambiano utilizzando anziché “sodomiti” la parola “omosessuali”? Che dire di Lombroso? Perché non modificare, allora, anche la Bibbia? Che scopo perseguono i fanatici della cancel culture? Un revisionismo universale? È un progetto folle, frutto di distorsioni culturali e morali.

Conformismo

Ci si può seriamente domandare se coloro che sostengono il revisionismo hanno mai letto una riga di semiologia: se non l’hanno fatto, allora le loro sciocchezze sono frutto di ignoranza profonda; se l’hanno fatto, allora o non hanno capito nulla oppure sono in mala fede. Sì, perché se avessero un minimo di consapevolezza culturale saprebbero che le opere artistiche sono da giudicare nel loro tempo, nel contesto in cui sono state scritte; è la prima cosa che viene insegnata in qualsiasi corso di letteratura: bisogna contestualizzare l’opera. E non solo. Le parole, in un’opera letteraria, sono come le note musicali in una sinfonia: non sono messe lì a caso, ma servono a dare un significato d’insieme al testo. La parola P significa “così e così”; ma, quando viene inserita in un testo, essa si lega, si fonde, per così dire, col testo e contribuisce in modo olistico – o comunque al di là del suo apporto semantico individuale – a dare al testo un significato specifico. Così, quando sentiamo che si vuole eliminare la parola “grasso” (e altre) dalle opere di Roal Dahl, dobbiamo capire che, così facendo, l’opera viene stravolta: se Dahl, date parole semanticamente vicine quali “obeso”, “grasso”, “sovrappeso”, ecc., ha usato quella specifica parola lì, lo ha fatto perché quella parola gli serviva a dare un significato specifico al testo, una specifica connotazione, uno specifico carattere; e se quella parola viene sostituita da una parola semanticamente vicina, quella connotazione cambia, e dunque l’opera cambia. È come prendere una sinfonia di Beethoven e cambiare una nota.

Un pericolo

La cancel culture è pericolosa, è un morbo sociale e culturale: in una lettera aperta pubblicata recentemente, diversi intellettuali di spicco, fra cui Noam Chomsky, Salman Rushdie e Francis Fukuyama (non proprio, insomma, gli ultimi arrivati), mettevano in guardia contro la cancel culture, definita come un insieme rigido “di standard morali e schieramenti politici che tendono a indebolire il dibattito aperto a favore del conformismo ideologico”. Anche in ambito storiografico la cancel culture è stata criticata: essa implica, come detto sopra, uno sradicamento interpretativo dal contesto di produzione dell’opera. La cancel culture è la forma più evidente dell’iperconformismo, dell’ipocrisia e dell’intolleranza ideologica della contemporaneità: oggi si va alla ricerca dei fascisti col lanternino; ma non si capisce che il vero problema, il vero rischio per la libertà di espressione, è rappresentato da questa nuova forma di censura, tanto subdola (non è esplicita come può esserlo la censura di una dittatura) quanto scatenata e spietata. Purtroppo, la cancel culture è ancora sostenuta da numerosi intellettuali di sinistra negli USA e non solo (intellettuali i quali, sostenendo la cancel culture, o non sono davvero tali o sono in malafede e orientano la loro cultura al male) e ha presa sulle masse, come è evidente quando si considerano le distruzioni di statue e monumenti operate negli USA a seguito della protesta Black Lives Matter, che si è tradotta spesso in guerriglia urbana e saccheggio e che è guardata con paura specialmente dalle periferie e dalla popolazione nera, considerati gli effetti che essa ha avuto a livello di sicurezza e criminalità. È necessario che intellettuali e non rimangano vigili su questa pericolosa deviazione.

Enrico Cipriani

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