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Associazioni che si “battono” per il lavoro nei beni culturali al servizio di chi ha distrutto il lavoro nei beni culturali

by Stelio Fergola
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Mi riconosci finto associanismo di protesta

Roma, 5 ott – Il dominio del sistema che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni, lo abbiamo già detto in passato, si esercita così: ci si atteggia a vittima pure essendo parte integrante del sistema. Avviene con la magistratura, avviene con l’immigrazione, avviene con le politiche globaliste ed europeiste, avviene anche nello sciancato settore dei beni culturali: un ambito dove il lavoro qualificato è stato senza mezzi termini ammazzato negli ultimi 30 anni, soprattutto per mano dei “soliti amici” del Pd. Alché, nell’ambiente, si è sviluppato un’associazionismo di “protesta” per una situazione – quello sì – oggettivamente vergognosa, se pensiamo che perfino gli Uffizi  di Firenze fatichino a pagare del personale per gestire quello che è uno dei musei più importanti al mondo. Il problema, però, risiede nella natura della “protesta”, a quanto pare più concentrata nel fare da megafono alle ideologie del sistema dominante (globalismo, immigrazionistmo, ambientalismo, femminismo “meetoo”, antifascismo) che non sul tema che dovrebbe essere di loro primario interesse: il lavoro

“Mi riconosci?”, l’associazione che protesta per il lavoro facendo marchette a chi il lavoro lo ha tolto

“Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, si chiamava un tempo l’associazione nata nel 2015. Poi qualcuno ha deciso che era “troppo maschilista”, e allora via il professionista e la “stretta” pure sul nome, che ora appare solo come “Mi riconosci?”. Già qui abbiamo un’idea di quanto questi sedicenti combattenti per il lavoro lottino davvero per l’impiego in un settore che – dicevamo anche questo – non ha senso non sia in mano allo Stato, dal momento che non esiste una vera “competizione” e un mercato da fronteggiare in senso dinamico, ma solo opere e aree da gestire al meglio, offrendo lavoro a chi è qualificato per farlo. O meglio, il senso per non avere tutte le cure dello Stato c’è, ma non è nobile, e riguarda la necessità del pubblico di continuare a tagliare fondi praticamente a tutto, dalla ben nota Sanità, alle stesse opere, e figuriamoci se può essere escluso il personale dei musei.

Comunque, tornando a “Mi riconosci”, i sedicenti combattenti per il lavoro lo difendono così tanto da sposare le manifestazioni pubbliche di chi il lavoro l’ha distrutto, ovvero proprio quel Partito democratico che organizza le manifestazioni antifasciste random, quando gli serve per sostituire il nulla che propone con qualcos’altro di altrettanto vuoto, ma necessario per attirare chi è “de sinistra”. Tra i membri di “Mi riconosci” è un tripudio di dialoghi in cui domina la schwa, altro tema assolutamente fondamentale per difendere una promozione del lavoro pubblico nel patrimonio nazionale. Qualcuno, nelle riunioni di “Mi riconosci”, ovviamente fa il verso alla cultura arcobalenata Lgbt, altro tema assolutamente cardinale per la questione.

“Mi riconosci?” si dedica così attivamente all’argomento che si vanta di proteggere, al punto da sponsorizzare testi che non c’entrano nulla con esso. Tipo quello nell’immagine sottostante, sulla rappresentazione femminile nelle statue sul territorio: argomento che obiettivamente ha perfino iun senso, visto che una delle critiche che si muovono, tra le tante, riguardano la stramba rappresentazione statuaria della ben nota giornalista martire Ilaria Alpi, ritratta nel monumento a lei dedicato nuda, il che c’entra obiettivamente poco o nulla con quello che è stato il suo lavoro e la sua attività di cronista. Il punto però è un altro: cosa c’entra questo con il lavoro che manca nei beni culturali? Nulla, è semplicemente un tema femminista da includere per rimanere agganciati al sistema ideologico dei padroni. Cosa ancora più visibile – e stavolta indifendibile sotto ogni punto di vista – quando Mi riconosci? sulla sua pagina Facebook, difende addirittura gli ecovandali di Ultima generazione. Cioè, chi si batte per il lavoro nei beni culturali difende chi inzozza i beni culturali.

mi riconosci

Ovviamente, “Mi riconosci” si schiera contro il “neoliberismo”. Ma solo perché fa figo, visto che di sostanza non ve n’è alcuna. Quindi non approfondire nulla di cosa riguardi il neoliberismo stesso, prendersela ovviamente con l’Italia che non fa spesa pubblica senza minimamente interessarsi del perché non fa spesa pubblica: per riassumere, neanche una riga di contestazione verso Bruxelles e l’Unione europea, ovvero le prime cause dei tagli in praticamente ogni settore al fine di “inseguire il debito che non ripagheremo mai”.

Quanto “Mi riconosci?” sia sostanzialmente una costola di un sistema che ciarla a caso di combattere, è evidente anche quando fa la riverenza – sempre sui social – a personaggi come Maurizio Landini, leggasi Cgil, leggasi in teoria sindacato, in pratica potere spalla di tutto ciò che ha distrutto l’economia di questo Paese negli ultimi 30 anni. “Grazie, signor segretario”. Che suona un po’ come il fantozziano: “È un bel direttore! È un santo! Un apostolo!”.

La solita tecnica e il dominio della sinistra anche nei settori di protesta

Come dicevamo nell’introduzione, il procedimento è sempre lo stesso: lamentarsi del lavoro che manca, ma poi parlare di tutt’altro che con il lavoro c’entra ben poco. E, ovviamente, fare da megafono al partito-struttura per eccellenza in Italia, leggasi ancora Partito democratico, al potere anche quando ufficialmente non è al potere. Tutto ciò fa “Mi riconosci?”. Prendendosela con il governo di centrodestra (ben poco difendibile nel suo operato in questo primo anno di mandato, peraltro) perfino quando contrasta gli ecovandali. Un’associazione farsa a tutti gli effetti: non certamente la prima, sia chiaro.

Perché il limite è sempre lo stesso: la nascita di queste “associazioni di lotta” nello stesso seno delle strutture culturali, ideologiche del progressismo liberal occidentale, dominante tanto in Italia quanto negli altri Paesi, ma bene attento a promuovere manifestanti adeguatamente ammaestrati come scimmie a non voler cambiare assolutamente nulla, tranne il proprio ego per atteggiarsi magari ad anticonformisti e magari perfino a rivoluzionari. Rivoluzionari di cartapesta, aggiungeremmo noi, come tutto ciò che viene dalla sinistra post-comunista. Ovviamente anti-italiani di ferro, come struttura idealistica, il che è evidente anche dai personaggi che vengono invitati ad alcune conferenze, come Tomaso Montanari, alfiere dell’odio per la Nazione e la Patria. Insomma, tutto quadra, come sempre.

“Il problema genera la soluzione”, affermava un principio cardine dell’ideologia tanto criminalizzata dai sedicenti combattenti per i diritti dei lavoratori. In questo caso, quale potrebbe essere la soluzione? Difficile dare una risposta veloce. Se tutto l’ambito di contestazione viene partorito dallo stesso potere che in teoria dovrebbe essere contestato, chiaramente non si può trattare di processo breve, visto il grado di infiltrazione praticamente assoluto attualmente. La risposta di lungo periodo, però, c’è: favorire un’associazionismo di altra provenienza, con dei muri di ferro a presidio, che impediscano qualsiasi provenienza politica di sponda Nazareno e relativi consociati. La potenza del Pd va combattuta con una politica di potenza. Il problema è che, ad oggi, nessuno lo sta facendo. C’è da augurarsi che si muova in tal senso qualche movimento politico di nuova formazione. Che metta i paletti dal principio su un punto che è determinante: del liberal progressismo globalista non ce ne frega niente. Non lo rende meno tale urlare al “neoliberismo cattivo” (come si fa in “Mi riconosci?”) se poi si segue l’approccio culturale ed economico che lo rende dominante: quindi il solito antifascismo da teatro, il solito sindacalismo da quattro soldi, la solita assenza di critica a chi ha di fatto creato questa situazione, ovvero l’Ue. “La rivoluzione sarà culturale” cita lo slogan. Per prendersi un aperitivo in compagnia, senz’altro.

Stelio Fergola

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