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Atena vs Prometeo? Una falsa alternativa tutta moderna (nel sesto volume di Prometheica)

by Carlomanno Adinolfi
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Prometheica Adinolfi

Roma, 12 dic – Pubblichiamo un estratto del saggio “Metafisica del superamento”, di Carlomanno Adinolfi, presente nel sesto volume di Prometheica, da oggi disponibile in libreria.

“Metafisica del superamento” nel sesto volume di Prometheica

Uno degli schemi più frequenti che si usa per contrapporre il senso del limite alla metafisica dell’illimitato è quello di schierare Atena come simbolo del primo in opposizione a Prometeo simbolo del secondo. Ma prima di vedere se effettivamente Prometeo possa essere schierato come nume dell’illimitato, è davvero corretto vedere una contrapposizione tra le due divinità? A ben vedere non si hanno tracce di alcuno scontro tra i due numi. Anzi, pare che il titano abbia addirittura assistito alla nascita della dea dalla testa di Zeus, forse persino consigliando Efesto, improvvisato ostetrico del parto divino. Proprio ad Efesto e Atena è poi collegato il mito del titano plasmatore dell’uomo. Secondo molte versioni del mito, tra cui forse la più importante giunta a noi è quella di Apollodoro, l’uomo sarebbe stato plasmato proprio da Prometeo con acqua e fango. All’uomo poi Prometeo donò la tecnica e la sapienza, sottratte proprio al dio fabbro e alla vergine Pallade. Quello che può essere apparentemente visto come un furto, un’appropriazione indebita che può aver infastidito la dea e quindi metterla contro al titano appare invece come una collaborazione in quasi tutte le forme del mito.

Nel sarcofago romano del 240 d.C. rinvenuto ad Arles nel XVI secolo, ora conservato al Louvre e nominato proprio “Sarcophage de Prométhée”, viene raffigurata la scena in cui Prometeo plasma una figura umana. Il titano è circondato da molti dei ma Atena è proprio accanto a lui, con una mano poggiata sulla spalla con un inconfondibile gesto di aiuto e sostegno. Ancora più esplicita è la scultura del 1806 di Camillo Pacetti “Minerva infonde l’anima all’automa di Prometeo”. In questo gruppo scultoreo la dea è raffigurata seduta nell’atto di infondere la vita, simboleggiata da una farfalla, all’automa umano costruito da Prometeo, mentre la civetta sacra alla dea osserva la scena. Quanto al mito principale di cui Prometeo è protagonista, quello del furto del Fuoco donato poi agli uomini – e che spesso è proprio simbolo dello spirito vitale e della tecnica, doni legati a Efesto e Atena – è proprio la vergine dea sapiente a cui il titano si rivolge per aiutarlo ad entrare di nascosto nell’Olimpo e rubare una scintilla del fuoco divino.

Da notare poi che il culto più importante dedicato a Prometeo era presente proprio ad Atene, la città di cui la dea vergine era la patrona e protettrice. Le Prometheia, festività dedicata al titano, consistevano in una gara di corsa nella quale i giovani ateniesi, dopo avere acceso delle fiaccole dalla fiamma sacra accesa nell’ara del dio nel quartiere dell’Accademia, le portavano per le strade della città scambiandosele in una sorta di staffetta. Oltre che ad Atene, il culto di Prometeo era presente anche nella Focide, nella Locride e perfino a Tebe, dove era considerato il padre dei Cabiri, importantissime figure legate prevalentemente ad Efesto e probabilmente connesse all’arte dei metalli che erano al centro di un culto misterico molto importante in tutta la Grecia e nell’Italia arcaica. Se al titano ladro del fuoco erano dedicati così tanti culti nel mondo ellenico, ciò sta a significare che egli era visto tutt’altro che in modo negativo nella Grecia classica. E lo stesso Eschilo, ritenuto il drammaturgo più vicino al sacro originario ellenico, gli dedicò una trilogia in cui appare tutt’altro che in modo infame, ma dove anzi sono centrali la sua liberazione da parte di Eracle e il nuovo patto con Zeus che viene sancito con lo svelamento da parte del Titano del segreto che custodisce – il destino del figlio di Teti – e l’istituzione delle feste ateniesi Prometheia sancite dallo stesso padre degli Dei.

Appare quindi senz’altro fuori luogo annoverare oggi il titano come emblema di una mentalità errata, malvagia, sovversiva e farlo proprio ponendosi come testimoni della classicità e dell’eredità indoeuropea. Certo, Prometeo viene punito ma il mito racconta anche della sua liberazione, cosa che viene fin troppo spesso dimenticata quando si prova a farne un simbolo di un moto d’animo negativo.

Prometeo e Deucalione

Altra cosa che spesso viene dimenticata dai cosiddetti “tradizionalisti” è il legame tra Prometeo e Deucalione, l’uomo che insieme a Pirra sfuggì al diluvio per ripopolare la terra con una nuova umanità. Prometeo è infatti il padre dell’eroe e quindi, dopo essere stato il plasmatore della prima umanità, è anche il progenitore dell’umanità del nuovo ciclo. Tra l’altro è molto significativo il racconto del mito della nascita della nuova genia umana. Deucalione e Pirra devono infatti gettare delle pietre alle loro spalle senza mai voltarsi e da quelle pietre, appena toccata terra, sarebbero nati uomini e donne. Oltre al parallelo pietre/ossa della terra e terra/materia prima con cui vengono plasmati gli uomini, sembra quasi un rito che ci parla di ciclicità e di ritorno all’origine, ma questo non viene fatto voltandosi indietro ma guardando sempre avanti, perché il nuovo ciclo non è il ritorno al passato ma un ritorno all’Origine per creare forme nuove che in essa comunque abbiano radici. E questo, nel mito greco, lo può fare solo la progenie di Prometeo. Proprio perché Prometeo è la spinta ad andare avanti ma non nel modo sovversivo e meschino di chi odia la forma: altro elemento che fin troppo spesso viene dimenticato è che egli è sì un titano, ma che nella titanomachia è alleato con gli Dei dell’Olimpo.

Non è dunque spinto dalla hybris di chi odia le altezze olimpiche, semmai è spinto da troppo amore. Poi certo, la sua natura titanica è un limite ed è per questo che si arriva all’essere punito e quindi incatenato. Ma il significato è che la spinta non può esaurirsi alla spinta titanico-prometeica, perché per essere liberi serve l’affermazione eroica (è Eracle trasceso e divinizzato a liberarlo) ma, come diceva Evola, non bisogna mai perdere di vista il fatto che il titano sia la materia prima dell’eroe. Che, dunque, è solo la spinta prometeica, vitalista e futurista che può portare ad una affermazione eroica e identitaria, perché solo su di essa questa si può basare.

Carlomanno Adinolfi

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