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Boco: “Decidersi per l’autoaffermazione dell’Europa”

by Francesco Boco
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Quarta puntata della nostra inchiesta sull’Europa e il futuro degli Stati nazione. Al primo articolo del tedesco Philip Stein e a quello di Gabriele Adinolfi è seguito ieri l’intervento di Matteo Rovatti. [IPN]

Roma, 19 apr – Le problematiche sollevate dall’intervento di Philip Stein forniscono l’occasione per affrontare con un po’ di precisione alcune tematiche di stretta attualità da una prospettiva pan-europea. Se si andassero a cercare i segni di quella rottura epocale, l’Umbruch, che potrebbe profilare all’orizzonte una rottura dell’ordine sistemico, si rimarrebbe amaramente delusi dall’inefficacia dei metodi finora utilizzati dai cosiddetti euroscettici. Bene fa dunque Stein a mettere in chiaro le cose: non contro l’Europa deve lottare la destra, ma per più Europa, per la vera Europa. È d’altra parte vero che ogni sistema si regge non solo sulle proprie norme, sulle proprie leggi, ma anche su coloro che a tali leggi si oppongono, coloro cioè che accettano il discorso egemone e scelgono di giocare la partita da “avversari”. L’opposizione è spesso nulla più che una variante al ribasso della corrente maggioritaria, ma garantisce un recinto di sicurezza in cui relegare i nemici del sistema veri o presunti, con la certezza che presto o tardi anch’essi saranno pienamente conquistati dalle dinamiche dominanti.

La politica secondo Carl Schmitt si articola nella distinzione fondamentale amico-nemico. Il nemico, secondo il giurista tedesco, non è un qualcosa di astratto e generico, ma è sempre, o dovrebbe essere, qualcosa di concreto, collocato e determinato. La sua caratterizzazione lo determina come quel altro da sé che nel gioco delle parti ha pari dignità e onore. L’inimicizia politica, che non sempre e non necessariamente sfocia in guerra armata, è un duello tra pari, tra uomini che si riconoscono nella propria realtà. Non stupisce allora che l’occidentalizzazione del mondo, per dirla con Latouche, abbia aperto le porte a una totale neutralizzazione della politica che consiste in primo luogo nell’annientamento del nemico. La concezione liberale della storia e dell’uomo è marcatamente morale e il suo universalismo pretende di imporre l’uguaglianza tra gli uomini facendo sì che delle differenze sia, propriamente, niente. Le differenze, le specificità concrete, sono infatti portatrici di contrasti e conflitti che l’u-topia, l’assenza di luogo, occidentale vuole neutralizzare e annullare al fine di conseguire la realizzazione della pace universale e raggiungere la fine della storia. Come ben sottolinea Adinolfi, la storia non va fermata, ma cambiata di segno e per fare ciò sono necessarie affermazioni ad alta intensità.

Da questo punto di vista va dunque recuperata una visione autenticamente politica, che è necessariamente radicata, qualora si intenda provocare quella rottura epocale di cui ancora non si vedono i segni. Un primo passo per riconquistare una tale visione politica richiede una uscita dalle dinamiche mentali e linguistiche dominanti per collocarsi in una dimensione per quanto possibile estranea ad esse, originaria e ancora da pensare appieno. Un pro-getto totale. Allora risulterà chiaro che ogni movimento realmente intenzionato a rigenerare la storia insistendo nelle faglie del sistema e nelle sue zone d’ombra, deve essere pronto a rinfocolare le dinamiche del conflitto politico. Per conflitto politico si deve dunque intendere, con Schmitt, Freund, Sombart, Simmel, Machiavelli ecc., la lotta in termini sociologici tra forze politiche, le quali in varia proporzione tentano d’imporre i propri scopi in un equilibrio sempre variabile degli opposti.

Evidentemente il sistema universalista occidentale non ha alcun interesse a rintuzzare conflitti autenticamente politici, perché essi andrebbero a turbare l’equilibrio uniforme del sistema egemone. Ecco quindi che le crisi periodiche del sistema mondiale, le varie opposizioni parlamentari, le minacce terroristiche intermittenti ecc. fanno tutte parte del circolo su cui il sistema stesso si regge. Le crisi fanno parte del processo attraverso il quale il paradigma dominante si conserva e mantiene, attraverso il costante riassorbimento delle forze d’opposizione e la ricomposizione delle momentanee fratture. L’estremismo è una stampella e un mezzo del sistema stesso e il sistema, così facendo, non fa che trattenere le forze autenticamente alternative che potrebbero rimettere in discussione alla radice il paradigma dominante. In un saggio significativo del 1942 Carl Schmitt identificò il katechon, il potere che frena, non con l’Europa, ma precisamente con la potenza occidentale universalista. Com’è noto, il grande giurista tedesco cambiò poi posizione e prese a parlare di un impero europeo, un grande spazio europeo, che poteva svolgere la funzione di freno rispetto alle forze dissolutive del dualismo di potenze della Guerra Fredda. Al di là della contingenza specifica e della peculiare visione cristiana sottesa a una tale concezione, risulta oggi f12963364_10209087949586522_5142688399644556902_norse più proficua una prospettiva che si rifaccia alle radici culturali e spirituali d’Europa per comprendere le dinamiche storico-politiche, nel tentativo cioè di radicarsi in quell’origine che nel profondo ancora regge il Vecchio Continente. Allora il katechon andrà interpretato come un ostacolo da abbattere sul cammino verso un rivolgimento di termini totale, una forza politica conservativa che tende ad assorbire ed esaurire ogni autentica possibilità di cambiamento e rigenerazione; una potenza il cui intento è, in ultimo, quello di pietrificare la storia.

Volendo insistere sulla figura teologico-politica risulta di grande utilità il richiamo fatto ad esempio da Alain de Benoist riguardo allo Stato. Lo Stato moderno sarebbe infatti la versione secolarizzata del monoteismo, ponendo a capo di un paese un governante il quale è tenuto a far rispettare la legge, ma che a sua volta risulta spesso al di sopra di essa. Allora lo Stato come katechon si configura come un qualcosa di legato al passato, che appunto trattiene le energie che intendono spingere oltre. Spesso il conservare si riduce a una lotta al ribasso per un qualcosa di imprecisato e parziale e l’Imperium come katechon è a sua volta un’espressione che non corrisponde nella storia a un qualcosa di duraturo ed effettivo. D’altra parte se l’idea di Impero si dovesse basare sulla sua capacità di “frenare la fine”, non si capisce come l’Impero abbia potuto crollare in passato e restare, nonostante ciò, un’idea forza frenante. Come ha puntualmente notato lo studioso schmittiano Günter Maschke, l’insistenza sulle fumose tematiche teologico-politiche fa perdere di vista il nucleo duro autenticamente politico. Da lì bisogna ripartire.

Frenare la catastrofe significa rallentare il rovesciamento. Catastrofe deriva infatti dal greco e significa precisamente questo, un rovesciamento. Questo corrisponde in maniera intuitiva alla concezione mitica greca e germanica della rigenerazione dei tempi. Questo passaggio epocale non va dunque affrontato da una prospettiva conservativa, ma in un’ottica di decisa autoaffermazione che si collochi sull’asse fondante europeo ellenico-romano-germanico, cioè nordico-mediterraneo. Si tratta quindi di de-cidere, cioè tagliare i condizionamenti e i legami col passato, per proiettare al di là e oltre un progetto gran-europeo centrato nell’asse spirituale e culturale originario. Si tratta, per dirla ancora con Schmitt, di pensare una rivoluzione europea, che storicamente è la grande incompiuta. Scriveva il giurista tedesco nel 1978: «Le forze politiche e le potenze mondiali che lottano per l’unità politica del mondo si dimostrano più forti dell’interesse europeo per l’unità politica dell’Europa. […] Le energie rivoluzionarie che spingono verso una rivoluzione mondiale sono più forti e più attive della tendenza verso una rivoluzione specificamente europea, oggi difficilmente immaginabile. […] La legalità di una rivoluzione europea presupporrebbe un patriottismo europeo per poter realizzare un’assemblea costituente nel senso della tradizione costituzionale europeo-continentale. Una cosa del genere la si potrebbe immaginare solo a patto che l’Inghilterra non volesse più essere un’isola».

Schmitt, molto realisticamente, raccomandava di condurre una lotta rivoluzionaria legittimista di tipo legale, che potesse cioè mantenersi all’interno dei termini costituzionali per provocare il vero mutamento, cioè in ultimo, si rilegga, «realizzare un’assemblea costituente». Il passaggio non è così scontato e richiede da parte dei corpi politici attivi una scarl_schmittolida visione strategica e un’efficace operatività tattica a tutto tondo. L’Imperium europeo, di cui Yockey, Thiriart, Romualdi e Locchi, tra gli altri, hanno fornito importanti elementi, è una missione storico-politica che non deve essere la riproposizione universalistico-pacifista dell’assenza di contrasto e di livellamento interno. L’Imperium dev’essere pensato come un complesso coagularsi di forze differenziate, che sia possibile equilibrare mantenendo vivo il conflitto politico interno, in quanto motore di ogni rinnovamento e vitalità storica. Dunque autonomie, partecipazione confederale, bio-specificità e frontiere chiuse all’esterno ma aperte internamente, politica estera organica e coerente. Un esempio ancora oggi valido è rappresentato dall’ordine continentale uscito dalla Pace di Vestfalia del 1648. Su queste basi l’Europa non si presenterà come una forza frenante – il che risulta storicamente fumoso e irrealistico -, ma come potenza concreta, collocata, capace di confronto e affermazione.

Un ultimo appunto va dedicato al ruolo centrale che sempre più giocherà la Germania nel contesto europeo e mondiale. Nel rapporto Thirteen Trends for 2016 dell’European Council on Foreign Relations si prevede un crescente ruolo di potenza internazionale per la Germania, sulla scorta degli impressionanti flussi immigratori degli ultimi tempi. La Germania sembrerebbe in grado di saper sfruttare la pressione immigratoria e i ricatti economico-politici di alcuni paesi di provenienza a suo vantaggio, conducendo cioè una politica diplomatica di allargamento e consolidamento di una propria zona d’interesse. Secondo gli analisti occidentali il ruolo operativo della Germania nel contesto europeo andrà aumentando, ponendola così sempre più al centro di una possibile politica gran-europea. Quello che manca da parte della Germania è la capacità di rendersi comprensibile ai propri partner europei, di esporre un progetto continentale che si dimostri convincente, equilibrato e condiviso. Dall’altro lato, il grosso dei paesi aderenti alla UE è governato da classi politiche egoiste, miopi e incapaci di qualsiasi visione a lungo termine. Il ruolo della Germania quale avanguardia della creazione di un grande spazio europeo si sta lentamente affermando da oltre un secolo, richiedendo da parte di tutti i paesi europei la capacità di rinunciare ai piccoli egoismi nazionali a vantaggio di una costruzione storico-politica più vasta. Il compito delle avanguardie politiche e culturali europee sarà allora quello di fornire gli strumenti per una piena comprensione operativa di questo progetto imperiale.

Francesco Boco

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16 comments

Matteo Rovatti 19 Aprile 2016 - 10:21

Ah, i “piccoli egoismi nazionali”.
Tipo l’assurda pretesa di qualcuno di fuggire da un sistema monetario deflattivo che avvantaggia solo le economie mercantilistiche tipo quella dell'”avanguardia imperiale europea”.
Che scandalo, dove andremo a finire.

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Francesco Boco 19 Aprile 2016 - 11:20

Mi pare che il discorso sugli “egoismi nazionali” sia piuttosto chiaro, anche se non adeguatamente articolato per motivi di sintesi. L’egoismo nazionale è, in questo caso, pure quello tedesco di imporre misure economiche a suo uso e consumo, senza badare in ultimo a un progetto di più ampio respiro. Confondere questa argomentazione con quella, di ben altra portata, sul ruolo geopolitico della Germania mi pare riduttivo. Il ruolo tedesco in politica estera è indiscutibile e “oggettivo”, o se si preferisce dettato dalle condizioni storiche attuali. Inoltre vorrei sottolineare che insistere eccessivamente sull’importanza dell’economia rispetto alla decisione politica e alla visione culturale è una fissazione che si avvicina molto alla ossessione per “il capitale” del vecchio marxismo o alla credenza liberale nel primato della ricchezza personale.
L’unica “fuga” reale da un sistema monetario deflattivo è stata tentata intorno agli anni ’30 dello scorso secolo da un regime che a suo modo puntava a fissare un’egemonia in primo luogo tedesca in Europa, secondo una visione gran-europea o imperiale, che dir si voglia.
Allo stato attuale delle cose e dovendo confrontarsi con potenze mondiali come la Cina, l’India, la Russia e gli Usa, nessun paese europeo può pensare, da solo, di far fronte alle sfide di oggi e future. A maggior ragione in ambito economico dove la fanno da padrone interessi sovranazionali, non si può seriamente pensare che deboli e miopi elite nazionali possano ottenere risultati duraturi e concreti. L’esito di tentativi notevoli di autonomia nazionale quali quelli di Mattei o Craxi dovrebbero indurre a riflettere sullo stato di asservimento a cui si è arrivati negli anni. Per concludere, ogni serio mutamento radicale del sistema economico europeo passa per una totale rivoluzione del sistema politico continentale secondo le linee di un progetto organico, decisionista, sovrano in senso dei grandi spazi. L’ideale sul piano economico è un’Europa a due velocità, cosa che è appunto attuabile solo all’interno di un nuovo ordine europeo, non fuori da esso.

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Matteo Rovatti 19 Aprile 2016 - 12:19

Anche se ci mettessimo tutti insieme (500 milioni di europei), saremmo comunque un miliardo abbondante in meno dei cinesi.
Indi, se veramente lo scopo di “mettersi insieme” è quello di fare il tiro alla fune con la Cina (o l’India), abbiamo già perso in partenza.
Se invece lo scopo è quello di fregarci che ho spiegato molto chiaramente (e che ci hanno detto in tutti i modi gli stessi alfieri dell’europeismo) allora la cosa inizia ad acquisire un senso.
L’accusa di “economicismo” (oltretutto, nemmeno Marx era economicista per chi lo sa leggere, ma transit) è viceversa emblematica di un modo di pensare tipicamente destrorso, rispetto al quale le scienze sociali (ed in buona parte le scienze in generale) sono state spesso viste con sospetto, come reazione all’effettiva egemonia culturale progressista in esse.
Per esempio, se si studiasse maggiormente la storia dell’economia, si saprebbe che quando un noto veneziano andò nell’impero del Catai, esso valeva il 30% dell’economia planetaria.
Il che, dal mio personalissimo punto di vista (che non sono economicista), non è minimamente un problema, e sicuramente non è un motivo valido per resuscitare il Sacro Romano Impero Germanico come sembra suggerire, caro Boco.
“un regime che a suo modo puntava a fissare un’egemonia in primo luogo tedesca in Europa” certamente, ma fu attuato di più e meglio da un altro regime che viceversa aveva nella Romanità, nel Rinascimento e nel Risorgimento il suo asse ideale ed eterno. Con tutto che ovviamente un’Europa la si dovrà in qualche misura fare. Dopo essere usciti dall’UE.
Perché a livello politico, è sempre quello il punto politico, che i partiti nazionalpopolari oramai hanno compreso, ma gli intellettuali di destra no.

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Francesco Boco 19 Aprile 2016 - 3:07

Parliamo di quei partiti nazionalpopolari che in larga misura fanno riferimento a Londra, New York e Tel Aviv? O parliamo di Alba Dorata per esempio? Perchè la differenza di prospettive è notevole. Vale la pena notare che una nazione come l’Ungheria, governata da un partito “nazionalconservatore”, ha scelto di entrare nell’UE ma ponendosi in un modo tale che ha in qualche misura fatto la differenza. Pure nei limiti del reale, questo è il segno che con capacità politica si può incidere all’interno di strutture che, mancando gli uomini, sono soltanto burocratiche e di rappresentanza. Oggi come oggi il ruolo della UE non va ingigantito, perché è evidente che dove vi sia un forte governo nazionale, è questo ad avere l’ultima parola nonostante tutto.

Tralasciando il discorso sul Sacro Romano Impero Germanico, perchè non è evidentemente questo il caso, vale la pena insistere sul discorso riguardante le scienze.
Tutta la scienza moderna ha a che fare in fin dei conti con l’eresia. Copernico, Galielo Galilei, Giordano Bruno, sono esempi chiari di personalità che hanno sfruttato il linguaggio esistente per introdurre un discorso “nuovo”. L’eresia è precisamente questo: sfruttare il significante per introdurre dei significati divergenti.
Ora, trasportato alla realtà politica, questo implicherebbe un movimento che utilizzi la facciata europeista allo scopo di mutarne di segno scopi e significati. Il caso ungherese, isolato e marginalizzato, resta un piccolo ma valido esempio.
Schmitt parla chiaro: si tratta di una rivoluzione europea che sappia essere fondante. Sfruttare le leve di quanto già esiste, tenendo fede ai principi guida, non significa scendere a compromessi nell’essenziale, ma fare come l’eretico che lentamente e in profondità lavora per vincere il discorso egemone. Questo non va fatto per competere al tiro alla fune con la Cina o chi per essa, ma per porsi su un piano di potenza multipolare nello scacchiere planetario, coagulando le forze in grado di tutelare la stirpe europea che è sempre più, tutta, chiamata in causa da una decadenza devastante. La domanda è semplice: i popoli europei sono ancora attori storici?

Certo i promotori dell’unione continentale sono stati dei campioni delle mafie liberal-capitalistiche e dell’usura globale, ma ciò nulla toglie alla validità di un progetto imperiale gran-europeo che è certamente precedente alla concezione di loro signori e che sicuramente la sopravanza. Mettere su uno stesso piano Kalergi e Thiriart, per esempio, risulterebbe davvero assurdo. Nonostante su Thiriart siano legittime alcune riserve.
Finché non si sarà abbandonato il dogmatismo dualista, continuerà a restare una grande incognita del perchè i più accesi degli euroscettici siano partiti come i M5S, UKIP e via dicendo…

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Matteo Rovatti 19 Aprile 2016 - 4:22

Il FN servo di Londra?
Ok, ho imparato qualcosa di nuovo.

Al di là di tutto, quello che consente a determinati governi (ungherese, polacco, slovacco, ecc…) di avere margini di manovra è il fatto di non poter essere devastati dalla BCE perché non hanno l’Euro.
Noi siamo nella situazione greca: può esserci anche il governo migliore del mondo (e quello greco non lo era), può esserci al potere persino l’Arcangelo Michele, ma senza una moneta sovrana basta schiacciare un pulsante per ridurci all’obbedienza in 48 ore (tale è la teorica durata del sistema bancario italiano in assenza di mercato interbancario).
Spiace contraddirti, ma in effetti l’ideale europeista, inteso nel senso coerente di federalismo europeo (a cui poi ognuno appiccica le etichette che vuole: “imperiale”, “socialista”, “organico”) nasce esattamente nei termini succitati.
Hayek ne è forse il maggior teorico, ma puoi trovare certe idee persino nell’Einaudi studente, o in Pareto (quello che inizialmente appoggiò il fascismo perché voleva uno Stato forte che…ripristinasse il mercato contro le pretese assistenzialistiche dei plebei).
Attenzione a chi critica “questa Europa”, anche se è un pensatore a noi simpatico, perché al lato pratico, quando c’è da passare dal teorico al politico, cioè dall’iperuranio al “sangue e merda”, di solito si passa al sostegno all’Euro.
Che certo, deve essere gestito meglio e blablabla.
Personalmente, ritengo che l’unica Europa che abbia un senso sia l’idea mazziniana-degaulliana di una confederazione di Stati sovrani.
L’idea federalista (anche se mascherata da parole belle e interessanti retoriche d’antan come “impero”) è genocidiaria, perché pretende di distruggere le nazioni dicendo di volerle salvare.
Prima si recupera in pieno la sovranità monetaria, legislativa e doganale nazionale, e poi si può pensare ad una forma di integrazione sostenibile con le altre nazioni, anche con la Germania ammesso e non concesso che essa voglia farlo anziché schiacciare i popoli europei come tende a fare con una preoccupante frequenza storica.
Pretendere di fare il contrario, o addirittura pretendere di creare uno Stato europeo sulle ceneri degli stati-nazione, è follia.
Anche se a dirlo è una persona degnissima.

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Valerio Benedetti 19 Aprile 2016 - 4:55

Ragazzi, seguo con interesse il vostro scambio di battute (che a breve rilancerò con un mio contributo). Però, se posso darvi un consiglio: non perdetevi in quisquilie terminologiche. O, meglio, per capirci, definiamo l’oggetto del contendere: Stato, federazione, confederazione, impero, ecc. Che cosa intendiamo con queste parole? Altrimenti si rischia di sfondare la proverbiale “porta aperta”. Ad esempio, a quel che mi par di capire, voi tendete a dare al termine “impero” significati molto diversi. Fine dell’interferenza 🙂

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Matteo Rovatti 19 Aprile 2016 - 5:24

Hai ragione.
Impero: una nazione egemone che sottomette militarmente, politicamente, economicamente, culturalmente, giuridicamente popoli ad essa stranieri.
Federazione: Stato sovrano articolato al proprio interno in ampie autonomie locali, solitamente stabilite da una costituzione.
Confederazione: Unione di Stati che, pur rimanendo sovrani, articolano una fattiva e flessibile collaborazione in particolare nella difesa comune.

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Francesco Boco 19 Aprile 2016 - 5:45

Il FN non è l’unico movimento europeo, ma la signora ora a capo del partito ha amicizie e legami ben diversi dal padre. Inoltre svariate scelte da lei fatte dentro e fuori il partito non la collocano esattamente nel nostro stesso campo ideologico.
Detto questo, la Francia dal mio punto di vista non è decisiva per l’Europa.

L’Europa non si fa senza la Germania, pensare di escluderla è una prospettiva irrealistica e geopoliticamente suicida. Governi forti e sovrani hanno precisamente il compito di equilibrare la potenza teutonica. Se leggi con attenzione quello che ho scritto non troverai una sola volta la parola “federalismo”.
Ripeto: “partecipazione confederale, bio-specificità”… Dunque sono parzialmente concorde con la tua idea di una confederazione di stati sovrani.

L’osservazione di Valerio è pertinente, cerco di chiarire.
Dal mio punto di vista l’Impero va pensato come un’unione etno-nazionale, di tipo neo-feudale se si vuole, con vaste aree parzialmente autonome per omogeneità linguistico-culturale sul modello dell’Euroregione Veneto-Friuli-Carinzia. Rafforzamento degli assi industriali-commerciali intra europei come ad esempio lo snodo di Verona che interessa gran parte del centro Europa. ecc.
Dunque una compenetrazione di più piani, organicamente organizzati nell’ottica di una politica internazionale imperiale funzionale e sovrana.
Il problema della moneta unica lo capisco, ma allo stesso tempo considero fondamentale tentare di “ritorcere il veleno”, cercando per lo meno di prendere il massimo dalla situazione attuale tenendo ben presente lo scopo finale, quindi tattica e strategia.

Vorrei aggiungere un’ultima postilla. La sovranità è sempre politica e la sovranità ha come suo primo carattere non quello di battere moneta, ma di decidere il nemico e l’amico, cioè di porre dei confini. Ora, la scelta per il grande spazio è di per sé un atto sovrano originario al cui interno si articolano poi di conseguenza gli aspetti della sovranità. D’altra parte la moneta è un mezzo e in quanto tale andrebbe considerato da una politica sovranista che imponesse un radicale cambio in materia economica. Non mi curo granché del problema moneta unica o monete nazionali, credo che siano cose che vanno di conseguenza con le decisioni politiche. Se proprio devo esprimermi in merito, ritengo valida l’idea di un euro a due velocità, distribuito per aree geopolitiche centro-nord e mediterranea. Questo in coerenza con l’Impero etno-nazionale di cui sopra. Senza una decisione per l’Europa, il resto è irrealizzabile.
Lo stato-nazionale è in crisi non certo perchè lo dice qualche scrittore, ma perchè il sommarsi di condizioni storico-culturali richiede risposte storiche che mettono in discussione alla radice dimensioni e organizzazione della cosa pubblica.

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Matteo Rovatti 19 Aprile 2016 - 8:31

Non potevi essere più chiaro: smantellamento delle nazioni sulla base delle macroregioni teorizzate dalla Fondazione Agnelli, euro a due velocità (ovvero totale incomprensione del motivo per cui un cambio fisso è deleterio a prescidnere dal numero di partecipanti, fossero anche solo due) come proposto da Munchau e avversione per lo Stato nazionale di matrice neodestra o neoliberale (che poi è la stessa cosa, cambiano i mezzi).
Perfetto, ti ringrazio moltissimo per l’onestà e la chiarezza, cosa purtroppo rara oramai e ti confermo la mia stima intellettuale.
Però siamo su fronti opposti, lasciando perdere le sciocchezze su Marine Le Pen che lasciano il tempo che trovano e che ha il merito di aver epurato i deliri antisemiti della vecchia classe dirigente.
Non ti preoccupare però: la tua visione sarà quella vincitrice, nel senso che fin dagli anni ’70 si teorizza un’Europa macroregionale di una 60ina di Stati e prima o poi si farà.
Ed ecco “L’impero”.

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Il Duca Bianco 20 Aprile 2016 - 9:11

Deliri antisemiti? Europa Mazziniana?
I “neofascisti” stanno degenerando sempre di piú.
http://ilducabianco3.blogspot.com/2016/04/articolo-breve-il-cristianesimo-e-la.html

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Francesco Boco 20 Aprile 2016 - 8:20

In materia monetaria torno a ripetere: sta alla decisione politica sovrana prendere le decisioni e non farsele imporre dalla finanza. Dunque un potere imperiale, collocato e concreto, avrebbe anche il compito di decidere in materia economica secondo le esigenze degli Stati confederati e delle rispettive comunità. Come una totalità, non ognun per sé.

Il patto di obbligazione (non il contratto) tra cittadino e Stato si fonda sulla capacità del secondo di proteggere e tutelare il primo. Quando questa capacità viene meno, cade anche il “pacta sunt servanda”. Mentre il contratto è un istituto di tipo universalista-pacifista, il patto ha a che fare con l’urgenza pubblica del conflitto. Ora, nell’attuale condizione ben pochi Stati europei possono considerarsi sintesi sociali di questo genere. Ci si può girare intorno quanto si vuole, ma la disgregazione sociale, politica e culturale è tale che l’autorità statale oggi fatica a mostrarsi se non nell’apparato burocratico (dunque secondo lo schema contrattualistico). Questo di per sé non è né un bene né un male, ma è semplicemente lo stato di cose a cui oggi bisogna far fronte.

Non è questione di avversione di alcun genere per lo Stato, anzi, ma di prendere atto della realtà effettuale e muoversi di conseguenza. Questo non significa cedere, come tu credi, alle lusinghe di potentati che hanno visioni ben diverse dalla mia. Si tratta invece di sfruttare per i propri scopi quello che già esiste e che è nell’ordine storico delle cose, secondo un progetto e degli scopi del tutto alternativi a quelli iniziali.
Se così non fosse sarebbe allora da malignare sulla presenza dei parlamentari del FN al parlamento di Bruxelles, ai quali si potrebbe contestare di fare come i sudtirolesi con lo Stato italiano: criticano e rompono i coglioni ma i soldi certamente gli comodano. È questo il caso?
Io non credo. Credo che chi ha una visione politica di largo respiro debba sempre agire nella propria realtà storica confrontandosi con essa senza fermarsi al dato immediato, ma puntando a obiettivi a lungo termine.

Il discorso sull’euroregione o le identità etnonazionali non implica affatto la fine dello Stato nazionale (o una sua rigenerazione), ma fa leva su comunanze storiche, culturali e politiche che sono indiscutibili e operative a prescindere dalle nostre preferenze. Dunque, di nuovo, prendere il contenente per cambiarlo di contenuto. Inoltre quei rapporti transfrontalieri sono in linea con un’integrazione INTRAeuropea di tipo economico e culturale che in nulla avvilisce le specificità politiche ecc. O per lo meno, così andrebbero pensate.
Rispetto alla mia visione che fa perno sull’asse culturale e politico greco-romano-germanico, mi pare più irrealistica la tua idea di un’Europa eventualmente senza Germania, che rinunci dunque alla proiezione centro-orientale.
I progetti troppo rigidi non penso possano fronteggiare adeguatamente le sfide future di una realtà che è in divenire e per così dire ambigua. Può ben darsi che il futuro scompagini del tutto le carte, provocando una unificazione europea sul piano ben più “immediato” del conflitto di identità tra autoctoni e non…

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Matteo Rovatti 20 Aprile 2016 - 9:44

Io non penso ad una Europa senza la Germania (ci vorrei persino la Russia in qualche modo, fai te), mi limitavo a constatare che ben difficilmente la Germania si porrà in una posizione diversa da quella che ha sempre avuto, ma ovviamente tutto può succedere.
A parte questo, puoi ripetere anche 1000 volte un concetto, ma se è errato non diventerà giusto.
Un accordo di cambi fissi è sempre una esternalità negativa, anche se a deciderlo è l’imperatore, o lo zar o il kaiser.
Per questo si parla di sovranità monetaria, che in effetti vuol proprio dire: ognun per se.
Poi, anche a livello valutario ci si può accordare (io per esempio ho proposto più volte il Bancor keynesiano per gli scambi internazionali) ma anche quello è un discorso sucessivo.
Citavi Vestfalia: giustissimo, è l’apice della cultura giuridica europea.
La quale comporta il riconoscimento reciproco di sovranità.
Indi, biosgna prima possederla, poi esercitarla, infine, e solo infine, eventualmente limitarla in favore di un progetto comunitario di lungo periodo.
Mai e poi mai cederla, nemmeno all’imperatore, al kaiser, al fuhrer o a qualunque altra figura abbiano in mente i neodestri o i neoliberali, quasi sempre germanofili.

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Francesco Boco 20 Aprile 2016 - 11:40

Tu dici: “puoi ripetere anche 1000 volte un concetto, ma se è errato non diventerà giusto”. Io rispondo che i concetti sono parole e il senso lo decide l’autorità e il metodo.
Il riconoscimento della sovranità, il problema della moneta e quant’altro passa tutto da una cosa che pensavo fosse chiara del mio intervento: il possesso del potere. Senza il potere le nostre sono parole vuote e l’esercizio del potere non sarà mai del tutto, nei fatti, come viene previsto. Si parla di eterotelia dei fini.
Il fulcro essenziale è il conflitto politico, cioè articolare strategie e tattiche che si confrontino con il contesto del reale allo scopo di conquistare fette sempre più consistenti di potere. Una volta raggiunto un minimo decisivo, solo allora, si potranno porre problemi di natura “concettuale”. Fino a quel momento, ogni possibilità e alternativa resta aperta.

Reply
Il Duca Bianco 20 Aprile 2016 - 9:01

Eccellente articolo, mi complimento con l’autore.

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Matteo Rovatti 21 Aprile 2016 - 2:19

La cosa orrida della rete èche mentre si discute ad alto livello con gente come Boco o Benedetti o altri, qualsiasi testa di cazzo si ritiene in dovere di defecare sulla tastiera.

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Marco 25 Aprile 2016 - 1:27

Germania, Germania, Germania, ma non sapete ripetere altro? Si era parlato di Europa se non sbaglio.

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