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Avellino: l’ultima morte sul lavoro “uguale a tutte le altre”

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Avellino morte lavoro

Roma, 24 feb – “Una città qualunque in Italia: ennesima morte sul lavoro”. Così tiggì e giornali danno la notizia che logicamente dovrebbe significare nulla, se non un ossimoro. Perché di lavoro si vive e non si muore. Non si dovrebbe morire. Ma questi sono i tempi in cui si vive per lavorare e non si lavora più per vivere.

Avellino, l’ennesima morte sul lavoro che fa male

Avellino come a Firenze. Come Palermo, come Bolzano. Avellino è solo l’ambientazione dell’ultima “fortunata” (per l’audience) tragedia. Tutti hanno saputo della sciagura consumatasi alla Stellantis di Pratola Serra (AV) non per il triste episodio occorso, ma perché l’attenzione pubblica è calamitata dal “brand” internazionale. Nessuno ha saputo, invece, dell’altra tragedia, non meno grave, accaduta solo due giorni prima a Mercogliano, altro capo della città irpina, ai danni di un operaio caduto da oltre tre metri di altezza in un deposito farmaceutico. A dirla tutta, l’operaio morto ad Avellino, originario del napoletano, lavorava per una ditta di Foggia nello stabilimento americano.

L’operaio del settore automobilistico schiacciato da una macchina non è diverso dalla ragazza di Firenze rimasta incastrata nella pressa di un opificio sartoriale. Così come non sono differenti un magazziniere o degli operai edili volati giù da un ponteggio. Stranamente a nessuno viene in mente di distinguere le morti sul lavoro tra maschi e femmine. Nessuno che crei qualche altro petaloso neologismo. Nessuno nemmeno che lanci l’allarme “emergenza”, visto che i morti sul lavoro superano di gran lunga i “femminicidi”. Che, alla fine, non sono tutti tali.

Lavorare con dignità e sicurezza

Si lavora accettando la condizione di produrre di più, di produrre più in fretta, di lamentarsi poco e di chiudere un occhio che, poi, porta a chiuderli entrambi. Tragicamente. Spesso per sempre. Perché la multinazionale subappalta l’incarico all’agenzia interinale che deve sopravvivere pure lei e, quindi, taglia per garantire lavoro e, di rimando, si accetta tutto pur di mangiare. Ad ogni livello.

Ad Avellino gli operai si sono fermati e hanno proclamato lo sciopero, dopo la tragedia. Dopo. Si sarebbero dovuti fermare, comunque. Per rispetto di una vita che non è più. Di una vita che, forse, non era tale nemmeno prima. E, inevitabilmente, sarà tale e quale pure dopo. A meno che non sei Amazon che ricopre con un telo bianco un operaio morto e ancora nello stabilimento, mentre non si smette di impacchettare freneticamente.

Domani lo sciopero non ci sarà più, ci sarà un mazzo di fiori al posto di una persona, se sarà rimasta un poco di sensibilità a chi è rimasto. La macchina sarà ancora lì al suo posto, con un giro di nastro bianco e rosso in attesa di essere tolto quanto prima. Forse, prima ancora che gli inquirenti si siano fatti spiegare dai periti come (non) funziona la macchina. Giusto il tempo, lunedì, della solita riunione, col governo – per altro già programmata – dei soliti sindacati che sono gli stessi che qualche tempo fa sedevano allo stesso tavolo di Confindustria. Per gli interessi dei lavoratori, sia bene inteso.

Tutto come prima, o quasi

Lunedì sarà il giorno dopo il weekend, magari ci sarà la notizia del solito spaventoso incidente stradale, del ripetitivo stupro in discoteca, dell’immancabile rissa tra tifosi allo stadio: insomma una tragedia utile a farne dimenticare un’altra. Utile per dare il semplice accenno a quell’incontro tra governo e sindacati che studieranno nuove mosse atte ad arginare… Niente di più (vuoto) e niente di meno (utile) di un abusato, immancabile punto obbligatorio “varie ed eventuali” in un ordine del giorno di una riunione che… s’ha da fare.

Dopo lunedì ci sarà il cordoglio di tutte le parti istituzionali, come da protocollo. E poi il silenzio d’obbligo. Utile perché Stellantis non c’entra, era solo lo stabilimento dove una ditta esterna si era recata per fare manutenzione ad una macchina.

Prima che i fiori appassiscano, cessino i lamenti e le polemiche perché Stellantis ha deciso di affidare alla fabbrica irpina tutta la produzione delle nuove auto e non più delle mascherine per il Covid. E va ringraziata. Dal governo, dalla Regione, dal Comune, dai lavoratori: invece di produrre in America, Stellantis – che non è la Fiat sì come gli Elkann non sono gli Agnelli – ha trovato l’America in Italia. Per cui “silenzio”. The show must go on. Lunedì alla nuova vedova e ai nuovi tre orfani, al più fortunato di loro, verrà offerta la possibilità di lavorare là dove il marito e il padre è morto per guadagnarsi da vivere. Pronti? Vai!

Tony Fabrizio

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