Roma, 8 gen – Esattamente trenta anni fa veniva ucciso dalla mafia Beppe Alfano. Vale sempre la pena ricordare chi fu il cronista che senza scorta e a viso aperto volle sfidare la criminalità organizzata. Alfano non amava vestire i panni dell’eroe civico era però animato da un profondo amore per la propria terra che lo portò ad essere un militante politico prima e un giornalista dopo. Cerchiamo di conoscere meglio l’uomo prima del giornalista.
Chi era Beppe Alfano?
Giuseppe, Aldo, Felice, Alfano, detto Beppe nasce a Barcellona Pozzo di Gotto il quattro novembre del 1945. Da giovane milita prima in Ordine Nuovo e poi nel Movimento Sociale Italiano. La passione politica (intesa come dedizione totale verso la polis) sarà il tratto distintivo della sua esistenza.
Frequentò la facoltà di economia e commercio, ma dopo la morte del padre abbandonò gli studi universitari. Si trasferì a Cavedine in provincia di Trento e qui iniziò a svolgere il lavoro che avrebbe fatto per tutta la sua vita ossia l’insegnante di educazione tecnica.
Tornò a Barcellona nel 1976 e qui riuscì a coniugare l’impegno politico nelle fila del Msi con la sua passione per il giornalismo. Collaborò infatti con molte radio locali. Negli anni successivi divenne il “motore giornalistico” di due televisioni locali: Canale 10 e Tele Mediterranea
La battaglia per la legalità
Prima di capire come fu assassinato è necessario raccontare il contesto in cui si muoveva. Siamo all’inizio degli anni novanta e ci troviamo nel messinese, per l’esattezza a Barcellona Pozzo di Gotto. Messina era allora definita provincia babba (ossia sciocca e poco incline al crimine). Barcellona però era un’eccezione.
In questa cittadina il clan dominante era legato a doppio filo con Nitto Santapaola e dunque con i corleonesi. Non solo, ma nella stessa città o meglio nel comune limitrofo di Terme Vigliatore c’era un altro clan che contendeva ai barcellonesi il controllo del territorio.
La contesa sottotraccia finì per provocare una vera e propria guerra di mafia. Il primo pezzo di cronaca sul quotidiano La Sicilia Beppe Alfano lo scrisse quando fu ucciso Lorenzo Chiofalo, 18 anni, figlio di quel Chiofalo che qualche anno prima aveva sfidato la famiglia mafiosa tradizionale.
I pezzi redatti per il quotidiano catanese non si limitavano alla cronaca nera. Anzi erano gli affari più sporchi ad interessare il cronista barcellonese.
I temi sui quali si concentravano le sue inchieste furono: gli illeciti compiuti nella gestione dell’Aias (l’associazione d’assistenza ai disabili di Milazzo), le illegalità commesse nel comune di Barcellona, le truffe del settore agrumicolo all’Ue nella zona tirrenica messinese. Inoltre, egli pare che avesse scoperto che il superlatitante Nitto Santapaola era nascosto proprio nella sua città. A muovere i fili, però, non c’erano solo i padrini. Secondo il cronista missino nella sua città si era formata una confraternita di tipo massonico (La Corda Frates) che univa gli esponenti della classe dirigente ai membri della Cupola.
La morte misteriosa
Alla luce di quanto detto, è difficile stabilire il movente di questo omicidio. Il verdetto dei tribunali, però, fu chiaro. Beppe Alfano fu ucciso da Antonino Merlino, e ad ordinare l’omicidio fu il boss mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti.
A questo proposito è interessante notare come il processo a carico del Gullotti fu riaperto per via delle testimonianze di Giovanni Brusca. Ma pure in questo caso il verdetto fu confermato. Anche se è stata scritta la parola fine dai giudici non possiamo tacere sulle dinamiche di quest’omicidio che sin dall’inizio apparvero poco chiare. Vediamo perché.
Il cronista siciliano era seduto al posto di guida della sua Renault 9, accostata sulla destra, in via Marconi (poco distante da casa sua) con il finestrino lato passeggero abbassato, il cambio in folle e il motore acceso. Insomma, pareva aspettasse qualcuno. Verso le dieci di sera il killer lo uccise con una calibro 22: tre colpi a rapida successione e a breve distanza. Ora sappiamo chi è stato a sparare ma il vero motivo rimane ancora avvolto nel mistero.
L’eredità di un caduto per la patria
L’insegnamento che però dobbiamo trarre da questa storia non passa dalle aule dei tribunali. Beppe Alfano non è una vittima, al contrario egli è un caduto. Ha scelto di combattere la mafia sapendo che poteva essere ucciso, è morto in piedi mentre chi lo circondava ha preferito sopravvivere in ginocchio.
C’è di più: Alfano sfidava i suoi nemici nelle strade della sua città guardandoli in faccia non si rifugiava in un attico a New York. Anche per questo dobbiamo ricordare quest’uomo che, come Paolo Borsellino, con il suo sangue ha riscattato l’onore della sua terra.
Salvatore Recupero