Roma, 7 ago – Non ci sono molti dubbi nell’asserire che il teatro ed il cinema di Carmelo Bene si muovano intorno al vitalismo di matrice “superomistica”. Già in tempi non sospetti, invero prima che esplodesse una sorta di moda o tendenza “beniana”, questo elemento non convinceva alcuni suoi colleghi illustri come Vittorio Gassman, i quali, nello slancio spirituale e oltre che fisico, vedevano atteggiamenti poco inclini alla normale prassi attoriale. Addirittura, lo stesso Gassman etichetterà come forme di “demonismo” o “delirio di onnipotenza” la forma mentis della macchina attoriale.
Carmelo Bene nell’universo degli attori
Personalmente, ho incontrato diversi attori, anche grandi attori che hanno collaborato con il genio del “profondo Sud del Sud dei Santi” (Salento): quasi tutti hanno negato una portata di natura filosofica o scientifica alle teorie di Bene, quelle stesse congetture che in estrema sintesi si trovavano nei contributi televisivi, nei libretti e nelle interviste. Anzi, alcune deviazioni dalla normale dialettica teatrale o cinematografica potevano essere bollate come atteggiamento narcisista o pazzia.
La filosofia nel teatro e nel cinema
Andiamo al sodo: ci sono tante prove sull’adesione ad una precisa corrente filosofica in direzione Carmelo Bene, ci sono le sue frequentazioni, le recensioni di filosofi del novecento francese come Foucault, Derrida, Deleuze, ma, non solo, il suo rapporto con Lacan (il grande revisionista del linguaggio del Novecento), vi è una stratificazione culturale da non trascurare assolutamente. Un esempio su tutti, vista la portata di questo articoletto (pertanto rimanderemo uno studio ad hoc con una pubblicazione poderosa a mia firma), Carmelo Bene conosceva in maniera compiuta ed approfondita uno dei più grandi ammiratori della Civiltà Greca, Giorgio Colli. Ecco una traccia inconfutabile della sua entusiastica attenzione per uno degli “sdoganatori” di Nietzsche, uno di quelli, insomma, che ha messo in luce le discrasie delle prime interpretazioni sul filosofo dell’Eterno Ritorno. Come sostenuto anche da Mazzino Montinari sul “post Nietzsche” e su “Cosa ha detto veramente Nietzsche”, l’intento superomistico e, dunque, dell’Oltreuomo è una svolta spirituale dell’individuo che, pertanto, approda ad uno stato di superindividualità e distacco dal logos, allontanamento progressivo dall’organico e dall’idealismo.
Un superamento massiccio del reale inteso come prigionia del materialismo: un ottimo antidoto se ci pensiamo ai guasti prodotti dai capitalismi e dalle brutture delle società postindustriali o peggio ancora società dell’informatica e dell’informazione. Un vaccino che potrebbe proteggere l’individuo labile e fiacco del mondo moderno dagli algoritmi, dalle esche psichiche del web e dei social media. Ma senza divagare oltre, anche Mazzino Montinari tiene a precisare, nel suo “Cosa ha detto veramente Nietzsche” che: “per realizzarsi nella fisionomia che abbiamo descritto, Nietzsche recise uno a uno tutti i vincoli con la vita comune, o almeno volle ridurli al minimo, finendo per essere, lui, l’esaltatore della vita, sempre meno vita, sempre più spirito”.
E ci risiamo, sempre l’eco del Mondo della Tradizione con tutta la sua ineguagliabile potenza.
I veri “sdoganatori” di Nietzsche sono Colli e Montinari nei loro profondi studi sul filosofo dello Übermensch: altri esponenti del mondo accademico più recenti lo hanno spogliato della propria adesione al mondo della Tradizione, il che è un errore scientifico paradossale. Bene rivaluta Nietzsche e lo “porta in scena” proprio perché in Nietzsche è vivo il valore della Grecia e della Magna Grecia, la Tragedia, il Dionisismo, la polivalenza della vita, l’esuberanza, il modello dell’esistenza intesa come massima potenza: non azione (implicanza dell’oggetto, il circolo della potenza non si chiude mai) bensì atto vitale che non debba presupporre una dialettica o un logos (Colli). In parole più chiare, la realizzazione dell’Individuo Assoluto e l’esplicarsi dell’o-skene, l’assenza di scena, la rottura della dicotomia soggetto-oggetto o soggetti-oggetti, nessuna narrazione, nessun racconto, nessuna storia. Dunque il superuomo anche in scena rinuncia a queste posizioni dialettiche per approdare alla elevazione spirituale e alla concezione spirituale dell’esistere stesso. Senza alcuna paura di piacere o piacersi, senza presupporre pubblico e, dunque, critica.
Con Nietzsche la filosofia può suggerire un altro agire “società sia pure ristretta di uomini” senza falsari” (Colli). Carmelo Bene si pone nella posizione di un pensatore che si “slancia e vola”: vitalismo, la danza e le fanciulle non se ne furono andate ed essere dentro tutta la vita insieme, ecco questo suscita Dioniso, questo porta in scena Bene.
Flavio De Marco