Roma, 7 ago – Piccolo comune delle primissime colline romagnole, Montiano deve – molto probabilmente – il suo nome a Giano, il dio romano bifronte che può guardare il passato e il futuro. Già definito nei secoli scorsi “il più bel colle della Romagna”, i suoi vigneti ci offrono oggi un ottimo vino. Imponente la rocca malatestiana, suggestiva la scalinata che porta alla cima del Parco della Rimembranza, dove il monumento ai caduti della Grande Guerra vigila – fino al mare – su tutta la pianura sottostante. Qui la sinistra amministra la cosa pubblica da tempo immemore ma, come riportato nei giorni scorsi dal Corriere di Romagna, una delle ultime uscite del sindaco Fabio Molari ci ha lasciato piacevolmente colpiti.
“Conservare con cura i simboli del passato”
Feudo rosso, alle ultime comunali il centrodestra non è riuscito nemmeno mettere insieme una lista civica. Ma quale è la particolarità di Montiano? Presto detto: tre fontane in ghisa, manufatti del ventennio che portano ancora impressi i simboli di quel passaggio fondamentale della storia italiana ed europea. Altrettanti fasci littori, ai quali si aggiunge – continua sempre il quotidiano locale – un’altra effige del periodo compreso tra i due conflitti mondiali, inciso questa volta sul civico di un’abitazione privata sita lungo il viale principale.
Le parole del sindaco di Montiano
Nel locale plesso scolastico rimangono poi saldamente al loro posto le asce bipenni, riprodotte proprio all’entrata. Ecco il pensiero del primo cittadino (che per onestà intellettuale farebbe impallidire diversi esponenti della destra): “Pur pensandola in modo diametralmente opposto al regime, ritengo che sia un bene che la nostra comunità abbia conservato con cura i simboli del suo passato…fanno comunque parte di una pagina della nostra storia…anzi proprio in questi giorni, visto gli imponenti lavori alla scuola elementare, ho raccomandato agli uffici di vigilare che i simboli storici del fascio non vengano danneggiati”. Parole che – realisticamente – sarebbero norma in una sana dialettica politica, dichiarazioni che al contrario nel loro piccolo fanno notizia quando il discorso è (come oggi) intossicato dall’antifascismo più inattuale, becero e ottuso.
Montecodruzzo e i soldati tedeschi
Il caso – se vogliamo – nella rossa Romagna non è isolato. Spostiamoci poco più a Sud, nel borgo (ormai disabitato) di Montecodruzzo – 439 metri sul livello del mare e una decina di anime rimaste. Nel Cantos 11 Ezra Pound lo chiama Monte Cogruzzo e verosimilmente è qui che sente l’espressione colorita (una bestemmia) proferita in dialetto romagnolo. Siamo sempre in provincia di Forlì-Cesena, il comune è quello di Roncofreddo. Da decenni – manco a dirlo – sotto la gestione della sinistra.
Nonostante tutto, vicino alla chiesetta cinquecentesca trova ancora posto un cippo eretto per onorare i caduti di tutte le guerre. Menzione particolare ai morti italiani dei due conflitti mondiali e “a ricordo dei soldati tedeschi caduti nelle azioni di guerra dell’ottobre 1944”. Un monumento forse più unico che raro, almeno in Emilia-Romagna. Con le truppe germaniche stanziate in un abitato incastonato nel bel mezzo del bosco (località Cà di Ferri), il 9 dello stesso mese i bombardamenti alleati devastarono il piccolo centro cittadino. Lo sfondamento della Linea Gotica fece poi il resto.
A proposito, un ultimo aneddoto: in quelle concitate ore il parroco – Don Armando Moretti – si prese cura di un giovane soldato nazista gravemente ferito. Lo trovò tra i rovi, a suo rischio e pericolo decise di non lasciarlo alle bande irregolari (i partigiani con ogni probabilità lo avrebbero passato per le armi). A guerra finita il militare germanico tornò sull’Appennino romagnolo per ringraziare quella comunità che – nei fatti – gli aveva salvato la vita. Offrì loro una festa, tradizione viva ancora oggi ogni prima domenica di agosto.
Marco Battistini