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Cartolarizzazione dei crediti Equitalia: breve storia dell’insolvenza

by Luigi Di Stefano
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Roma, 9 nov – Con cartolarizzazione dei crediti di Equitalia annunciata dal governo con la prossima finanziaria, e di cui abbiamo già parlato nel precedente articolo. E’ bene fare un breve excursus storico sull’insolvenza, problema che si presenta in tutte le società umane fin dalla notte dei tempi, praticamente coincide con l’uso del denaro come misura del valore dei beni e dei servizi scambiati. Ma cosa è la “cartolarizzazione”? E’ un modo per definire la cessione a terzi dei diritti che un creditore vanta verso un debitore in virtù dell’esistenza di un “debito”. Come vedremo questo debito può essere formato sia per una somma di denaro ricevuta e da restituire (genericamente è il caso tipico delle Banche), sia da una somma di denaro “addebitata” in virtù di una imposizione di varia natura (Imposta, Tassa, Multa, penale etc) e genericamente è il caso tipico di Equitalia.

Quindi il credito è un diritto del creditore sulla persona fisica o giuridica a esigere una somma di denaro, a prescindere di come questo diritto si sia formato. Normalmente lo Stato moderno tutela giuridicamente il diritto del creditore assumendo però anche tutele nei confronti del debitore. Possiamo citare a riguardo l’Art. 4 della Costituzione della Repubblica Romana del 1849 laddove recita “Nessuno può essere carcerato per debiti”, introducendo quel concetto di tutela del debitore che deriva dalla radice della Rivoluzione Francese. Già Solone (Arconte di Atene nel 540 AC) dovette fare una legge per liberare dalla servitù i contadini insolventi. Le campagne si erano spopolate e gli ateniesi rischiavano di morire di fame, ma questa legge gli tirò contro l’odio dell’Aristocrazia.

Accadeva infatti che le terre coltivabili erano praticamente tutte di proprietà degli aristocratici, e per poterle coltivare veniva imposta al contadino, formalmente “uomo libero”, una decima insostenibile. Il contadino progressivamente si indebitava fino a che era costretto al lavoro sul podere e consegnare al “creditore” i 5/6 del raccolto, diventando così un Ectemoro (da hektos, sesto e meros, parte), quindi una sorta di servo della gleba, condizione dalla quale gli era impossibile uscire. Di qui l’abbandono dei poderi e lo spettro di una carestia, fenomeno ricorrente e gravissimo nelle società antiche. Solone, elaborò quella riforma battezzata da Aristotele Seisàchtheia (letteralmente “scuotimento di pesi”, intendendo metaforicamente l’eliminazione dei debiti contratti sul corpo del debitore), appunto l’abolizione della schiavitù per debiti. Questa riforma ebbe la particolarità di valere anche per i casi passati (era retroattiva). Di conseguenza vennero liberati tutti gli Ectemori e la produzione agricola riprese a salire.

Menenio Agrippa ( Agrippa Menenius Lanatus) compone nel 493 A.C. la Secessione del Monte Sacro (altrimenti conosciuta dell’Aventino) fra Patrizi e Plebei accettando la cancellazione di tutti i debiti dei Plebei e l’istituzione di una nuova magistratura eletta, i Tribuni della Plebe, che hanno potere di veto sulle decisioni del Senato. Accadeva che i Patrizi, aristocratici, erano padroni di tutto, e i Plebei erano costretti a un sistema di prestiti a usura che li teneva alla mercé dei primi. Inoltre le tasse si riscuotevano attraverso un “Publicano”, un soggetto che pagava un fisso allo Stato e poi aveva diritto di vessare per lucrarci i soggetti “comprati”, spesso scatenando violente sommosse (la Secessione del Monte Sacro parte proprio dalle frustate fatte infliggere a un anziano in ritardo con il pagamento delle tasse). Qualche decennio dopo (449 A.C.) vennero esposte al Foro le 12 Tavole delle leggi elaborate da una commissione di dieci Patrizi (Decemviri Legibus Scribundis) che regolava anche la questione dell’insolvenza.

L’insolvente veniva portato nella casa del creditore, che lo poneva in ceppi e lo poteva battere a piacimento con un nerbo di bue. Unico obbligo di dargli un pane di farro e una brocca d’acqua al giorno (da cui il famoso detto “a pane e acqua”). Dopodiché veniva esposto al mercato degli schiavi per essere venduto anche agli stranieri “al di la del Tevere”, ma se dopo tre esposizioni restava invenduto i creditori lo potevano squartare e spartirsene le membra. Solo nel 326 A.C. a fronte di continue violentissime sommosse che scoppiavano ad ogni squartamento (le vittime erano sempre i Plebei, e si era aggiunta la pratica della sodomizzazione pubblica del condannato) si fece la Lex Poetelia Papiria che vietava la vendita come schiavo del debitore insolvente.

Ma con la decadenza dell’Impero tornano in vigore le antiche leggi dello “Jus Decemvirale” e l’Imperatore Valentiniano (364 D.C.) ripristina la pena di morte per i debitori insolventi, ancora ripresa con la caduta dell’Impero Romano e l’avvento del diritto barbarico, dove l’insolvente poteva scegliere se porsi in perpetua servitù del creditore o essere ucciso. Pratiche rimaste in vigore anche nel Rinascimento, basti ricordare:

– Nello Stato della Chiesa una Bolla del 1570 del Papa Pio V equiparò gli insolventi ai ladri ed ai grassatori e, come tali, li punì con pene afflittive fino alla morte.

– Nel Regno di Napoli la “Prammatica de nummulariis”, emanata nel 1536 (più volte confermata, ampliata, integrata nel 1666, 1744, 1772, fino a comprendere, oltre ai banchieri, tutti i negozianti ed i mercanti, i loro soci, i complici ed i favoreggiatori), prescrisse per i falliti le pene della “fuoijudica” e della morte.

Tutta questa “Giurisprudenza” che di fatto pone l’insolvente in balia del creditore, e con lo Stato che emana leggi in danno del primo e nell’interesse del secondo troverà fine solo con la Rivoluzione Francese, da cui appunto discende l’Art. 4 della Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini del 1849 laddove recita “Nessuno potrà essere carcerato per debiti”. Il motivo è semplice, nella Francia delle parrucche incipriate che erano padrone di tutto tutta la popolazione era indebitata e usurata, e quindi soggiogata, come nella Roma di Menenio Agrippa. Questo breve excursus storico serve per raccordarci a Equitalia e al progetto di questo governo di “cartolarizzare”, vendendo agli “stranieri al di la del Tevere” i crediti variamente formati (multe, tasse, studi di settore, penali, interessi etc), e quindi vendendo i “diritti sulle persone” che ne derivano.

Di quante persone stiamo parlando?

– Ad oggi «ci sono circa 21 milioni di contribuenti che risultano avere debiti a vario titolo» con gli «oltre 8mila enti creditori» per cui esercita la riscossione Equitalia. Lo ha detto l’ad della società pubblica di riscossione Ernesto Maria Ruffini in audizione in commissione Finanze alla Camera sottolineando che «il 53% ha accumulato pendenze che non superano i 1000 euro».

Interessati al ddl di cartolarizzazione di cui stiamo parlando e che è in discussione fra Camera e Senato sono i crediti Equitalia maturati fra il 2000 e il 2010, e quindi non sappiamo quanti milioni di “insolventi” saranno effettivamente coinvolti, ma possiamo considerare che, rinunciando la mano pubblica all’incasso, si torna agli antichi “Publicani” Romani del tempo di Menenio Agrippa. In danno degli “insolventi” lo Stato ha creato (diciamola chiara: la II Repubblica) una serie di “trucchi” sconosciuti ai più con le leggi 385/1993 (Testo Unico Bancario) e 130/1999 (Cartolarizzazioni) che si basano sulla privazione di elementari diritti giuridici del debitore, e che abbiamo indicato nel precedente articolo.

Quindi solo per Equitalia (poi ci sono le banche che si apprestano anche loro a “vendere” milioni di persone) abbiamo 21 milioni di italiani su una popolazione di 60 milioni, che una volta eliminati il 16% di minorenni rappresenta il 40% della popolazione adulta, che a sua volta sarà imparentata con soggetti senza debiti ma che saranno coinvolti economicamente nelle “esecuzioni”.

E’ bene ricordare che una volta venduti alle ormai per noi famose SVC (vedi articolo precedente) gli “insolventi” perderanno qualsiasi controllo sulle somme che saranno chiamati a pagare (attraverso la “comunicazione semplificata” avranno addebitati interessi usurai e spese non dovute che diventano esecutive) e diventeranno di fatto gli Ectemori della Grecia di Solone. Inoltre poiché le SVC potranno liberamente commerciare questi “diritti” in Italia e all’Estero (con rogiti fatti da “Notary” stranieri), questi “insolventi” si troveranno nella condizione dei Plebei romani “venduti agli stranieri al di la del Tevere” di cui alla Tavola III delle “Leggi delle XII Tavole”. E ancora non basta perché a differenza delle XII Tavole attraverso il meccanismo della “comunicazione semplificata” previsto dalla Legge 130/1999 Art. 4-2, gli insolventi lasciando una qualsiasi eredità trasferiranno la loro condizione ai discendenti, ovviamente all’oscuro che il parente era stato cartolarizzato (non lo sapeva neanche lui!).

Però ci risparmieremo lo squartamento e la sodomizzazione pubblica che nel ddl non sono previste, e invochiamo una riedizione della Lex Poetelia Papiria fra l’orrore e il raccapriccio degli esperti di economia che ci accuseranno di voler affossare la finanza nazionale e internazionale. Sembra sia la prima volta nella storia del mondo che un Governo decide di cedere agli stranieri al di la del Tevere milioni di cittadini, e incredibilmente la cosa non trova il minimo spazio nel dibattito politico nazionale tutto preso in alchimie sulle alleanze, le strategie da cortile etc. Lo facciamo noi invocando di abolire almeno l’ereditarietà del debito reintrodotta surrettiziamente dalla II Repubblica nel 1999 con la “comunicazione semplificata”, e salvare i giovani. Per i 21 milioni a meno che si decidano a fare la Secessione del Monte Sacro non ci sono speranze.

Infatti questa cartolarizzazione dei crediti di Equitalia non è per “fare cassa”, si legge che il Governo attuale conta di incassare appena 4 miliardi di qui al 2020 su un totale di 5/600 miliardi di crediti in portafoglio a Equitalia, appena lo 0,5%; ma passando questi crediti alle SVC e quindi attraverso le SVC alla finanza internazionale, questi potranno espropriare la prima casa (vietato per Equitalia), espropriare il 90% dello stipendio (Equitalia si deve fermare al 20%) e così via. Per cui questa operazione ha scopi completamente diversi dal recuperare i crediti di evasori etc, è una maxi patrimoniale a vantaggio della finanza interna e internazionale. Come “vittime” si scelgono gli italiani colpiti da dieci anni di crisi e diventati insolventi, chi la crisi non l’ha sentita è solvente e non rischia di essere venduto all’estero.

Aboliamo l’ereditarietà del debito salvando almeno i giovani e chi deve ancora nascere dalle scellerate pratiche della II Repubblica.

Non parlo a vanvera, la Lex Poetelia Papiria fu ottenuta a seguito di una violentissima sommossa scatenata dai Plebei romani. Nel racconto di Tito Livio (Ab Urbe Condita), questo si deve al caso di Caio Publilio, che si era dato in schiavitù a Lucio Papirio, per il debito del padre. Infatti Lucio, invaghitosi del giovane Caio, lo aveva fatto fustigare, quando questo si era rifiutato di cedere alle sue lusinghe. Il giovane riuscì a liberarsi del creditore, raccontando quanto accaduto alla folla di gente, che in tumulto, obbligò i consoli eletti per quell’anno (326 a.C.), Lucio Papirio Cursore e Gaio Petelio Libone Visolo, a promulgare la legge. Da quel momento soltanto i beni del debitore, potevano essere presi a garanzia del credito. Con la legge 130/1999 siamo tornati ante 326 A.C. Ma oggi chi sono i Tribuni della Plebe?

Luigi Di Stefano

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