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Chi era Anthony Burgess, colui che “inventò” l’Arancia Meccanica

by Stelio Fergola
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Anthony Burgess Arancia Meccanica

Roma, 22 nov – Era il 22 novembre del 1993 quanto Anthony Burgess lasciò il mondo. Il popolare scrittore e filosofo britannico scompariva dopo aver dato un contributo a dir poco clamoroso alle riflessioni del Novecento. Un approccio franco e schietto, a tratti anche inquietante, da cui ancora oggi traiamo spunti per ulteriori approfondimenti sulla modernità e sul progresso.

Anthony Burgess, il cattolico “dietro le quinte” della violenza

Burgess era indubbiamente un cattolico, non soltanto “figlio” di genitori cattolici. Ciò nonostante la contraddizione artistica palese che lo portò dal “libero arbitrio assoluto” e di sapore – diciamolo – anti-cristiano che si respirava in Clockwork Orange alla collaborazione alla sceneggiatura del Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, che lo volle fortemente partecipe alla stesura di quella serie televisiva che, ancora oggi, è considerata uno dei massimi capolavori della storia cinematografico-religiosa. Fu proprio quell’incarico che fece scoprire al mondo, prima ignaro, la formazione cattolica di Burgess.

“Inventore” di Arancia Meccanica, quell’indagine sul male che sconvolse il mondo

“La questione è se questa nuova tecnica renda veramente buoni o no: la bontà viene da dentro, la bontà è una scelta. Quando un uomo non ha scelta, cessa di essere uomo”. Così un cappellano parlava ad Alex DeLarge, protagonista di una storia di violenza e soprusi, rigorosamente esercitati e subiti. Perché quando si parla di Burgess è impossibile non ricordare la Clockwork Orange già citata, ovvero quell’Arancia Meccanica, che tutti o quasi conosciamo soprattutto in forma cinematografica per la pellicola-capolavoro di Stanley Kubrick così intitolata. Il regista statunitense, però, aveva attinto a piene mani dal romanzo di Burgess, uscito nel 1962 (mentre il film è del 1971). In realtà, l’opera di Kubrick non era stata il primo adattamento cinematografico del romanzo originale.

Nel 1965 era infatti uscito nelle sale Vynil, diretto Andy Warhol, che però era caratterizzato da un’intepretazione più libera del manoscritto rispetto al film successivo. La violenza, la criminalità e in definitiva la cattiveria gratuita sono al centro di una storia fantapolitica che ritrae un aspetto dirimente dell’essere umano: la reciprocità. L’Alex DeLarge prima violento e poi innocuo passa dalla prima alla seconda parte della storia da carnefice a vittima, in un sistema di vendette “meccanico” che suggerisce anche il dibattito a lungo intrapreso sul singolare titolo dato alla storia. Perché l’uomo è essenzialmente reciproco, nella violenza ancora di più. Una delle intepretazioni plausibili – che chi scrive ha sempre ritenuto verissima – è che il male sia spesso frutto di altro male, pur non negando l’esistenza della sua incarnazione “gratuita”, simboleggiata in modo esemplare proprio dal “Drugo”. In questo senso, il “libero arbitrio assoluto” di Burgess diviene meno anti-cristiano di quanto molti osservatori abbiano ritenuto. In ogni caso, la sua opera ha generato discussioni filosofiche ancora oggi attuali, il che ci dà una dimensione del peso artistico e culturale da essa recitato nel corso del Novecento, a prescindere da una critica che non sempre l’ha decretata come un capolavoro (differentemente dal film).

Stelio Fergola

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