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«Chiacchiera» e «inautenticità»: una riflessione heideggeriana sul nostro tempo

by La Redazione
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Sum, ergo fabulor, «sono dunque parlo» (spesso a vanvera). Con questa rivisitazione, che sa di amara ironia, del ben più noto cogito ergo sum cartesiano, potremmo riassumere il nostro Zeitgeist, lo spirito del nostro tempo. A ben vedere, in effetti, tutta la società contemporanea è pervasa da una costante esigenza di esprimersi, anzi di «chiacchierare», come se, restando in silenzio, smettessimo di esistere. Basta andare a un qualsiasi concerto o spettacolo pubblico per accorgersene: miriadi di cellulari levati in alto per riprendere e postare immediatamente sui social network e spettatori che sostanzialmente guardano il concerto attraverso il proprio cellulare mentre riprendono. Ma anche senza partecipare agli eventi sopracitati, si può notare questo fenomeno semplicemente andando al ristorante e osservando i clienti fotografare il piatto prima di iniziare il pasto; se la cosa non viene comunicata, in questo caso attraverso i social, è come se non l’avessimo fatta. Potremmo anche aggiungere che un meccanismo simile, pur con alcune differenze, avviene per le fake news. Anche in questo caso, infatti, la necessità di comunicare surclassa ogni altro aspetto della questione, con l’aggiunta del fatto che ciò che viene comunicato non deve neppure essere vero: l’importante è, appunto, comunicarlo

L’anticipazione heideggeriana della società del nostro tempo

Tutto questo era già stato ben compreso, con quasi cent’anni di anticipo, dal filosofo Martin Heidegger (1889-1976). Il pensatore tedesco e rettore dell’Università di Friburgo, ricordato dai più solo perl’adesione al nazionalsocialismo, nella sua opera più importante e nota, Essere e Tempo, traccia in alcuni passaggi quello che può essere definito, a ragion veduta, uno straordinario e inquietante ritratto della nostra società e del nostro tempo. Vediamo allora, nel dettaglio, perché il pensiero di Heidegger può rappresentare, in questo senso, una potente lente di ingrandimento per meglio osservare e comprendere ciò che ci circonda. Abbiamo parlato della necessità di comunicare, senza neppure considerare se ciò che si comunica è vero o quantomeno utile. In sostanza, un chiacchiericcio fine a sé stesso, a ben vedere molto simile al meccanismo con cui nascono le odierne fake news. Ebbene, Heidegger parla proprio di questo, più precisamente a partire dal paragrafo 27 di Essere e Tempo (Il quotidiano esser-se stessi e il «si»). Dopo avere delineato la questione dell’«esserci» (Dasein), ovvero l’essere umano, e delle sue strutture generali, Heidegger affronta il problema di come esso si cala nel mondo («essere-nel-mondo»). L’«esserci» si trova gettato nel mondo e sorge in lui la domanda: chi siamo nella nostra quotidianità?

«Deiezione» e perdita dell’«autenticità»

Ricorrendo a uno specifico termine, «deiezione» (Verfallen), Heidegger spiega allora come, nella vita quotidiana, ognuno di noi perda la propria «autenticità». Il termine «deiezione» definisce infatti la caduta dell’«esserci» che perde se stesso a causa dell’incontro con le cose mondane e con gli altri Dasein. Così facendo, dal dominio dell’Io individuale si passa a quello del «si» (Man), totalmente impersonale. Scrive infatti il filosofo in Essere e tempo, nel sopracitato paragrafo: «Nell’uso dei mezzi di trasporto o di comunicazione pubblici, dei servizi di informazione (i giornali), ognuno è come l’altro. Questo essere-assieme dissolve completamente il singolo esserci nel modo di essere “degli altri”, sicché gli altri dileguano ancora di più nella loro particolarità e determinatezza. In questo stato di irrilevanza e di indistinzione il “si” esercita la sua autentica dittatura. Ce la spassiamo e ci divertiamo come ci “si” diverte; leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come “si” vede e “si” giudica. Ci teniamo lontani dalla gran massa come ci “si” tiene lontani; troviamo scandaloso ciò che “si” trova scandaloso. Il “si” che non è un esserci determinato ma tutti (anche se non come somma), decreta il modo di essere della quotidianità». In sintesi, tutti ci divertiamo come ci «si» diverte, pensiamo come «si» pensa, diciamo come «si» dice. E tutti quanti ce ne accorgiamo, più o meno direttamente. Immaginiamo di aver trascorso una bella serata in compagnia di amici e, una volta tornati a casa, sentiamo un gran vuoto interiore. E questo è dovuto unicamente a quanto abbiamo appena detto; ci siamo divertiti come ci «si» diverte e, appena siamo soli, ci rendiamo conto di esserci divertiti in modo «inautentico».

Il tempo della «chiacchiera», della «curiosità» e dell’«equivoco»

Abbiamo prima parlato di fake news e di come esse seguano un meccanismo estremamente affine a quello della «chiacchiera». Ma qual è la connessione tra la «chiacchiera» heideggeriana e il nostro tempo? Spiega Heidegger che quella che lui chiama «deiezione» si articola in tre momenti, che sono degenerazioni inautentiche del linguaggio, della meraviglia e della verità (i quali rappresentano, invece, tre fenomeni autentici): la«chiacchiera», la «curiosità» e l’«equivoco». Nel regno della «chiacchiera», al Dasein non interessa ciò che dice, ma il dire fine a se stesso. Esso è estremamente tranquillizzante, come se il silenzio ci spaventasse, perché ci costringe a guardare in faccia l’inautenticità di cui siamo più o meno impregnati. Discorso analogo può esser fatto per la «curiosità», che è differente da quella meraviglia che negli antichi dava origine alla ricerca della conoscenza, ovvero la filosofia. Al contrario, la «curiosità» si riduce alla necessità interamente materiale di voler sapere, ma non perché a chi vuole sapere importi realmente qualcosa di ciò che sta vedendo. È precisamente il motivo per cui, quando passiamo accanto al luogo di un incidente stradale, istintivamente ci fermiamo a guardare anche se, in fin dei conti, non ci importa molto di tutto ciò. Il tempo di tornare a casa, infatti, e ce ne saremo già dimenticati, non foss’altro perché probabilmente quella «curiosità»sarà già stata sostituita da un’altra. Infine l’«equivoco». Esso è frutto dell’incapacità di discernere ciò che è quantomeno plausibile da ciò che non lo è. Questa incapacità deriva da un fenomeno, tutto democratico, che i social network hanno amplificato: tutti sono liberi di dire tutto su qualsiasi cosa. L’abbiamo visto negli ultimi tre anni: nel 2020 e 2021, in piena pandemia, improvvisamente tutti gli utenti di Facebook si erano trasformati in virologi. Oggigiorno, con la guerra in Ucraina, tutti si sono trasformati in esperti di geopolitica. 

Verso una frammentazione della Verità

Questo fenomeno produce quindi una grande confusione e una tale dissonanza di opinioni (nella maggior parte dei casi fondate, appunto, sulla «chiacchiera»), che diviene impossibile trovare una Verità (con la «v» maiuscola) unica e comprensibile a tutti. Alla luce di quanto abbiamo detto sinora, possiamo dunque constatare come la nostra società sia, a tutti gli effetti, una «società della chiacchiera». Il che accade sia che si tratti della nostra vita quotidiana, con la nostra irrefrenabile necessità di comunicare ogni cosa che facciamo, perché altrimenti è come se non l’avessimo mai fatta; sia che si tratti delle notizie false, diffuse a ruota libera tramite i social network, imboccando così quella strada che porta direttamente alla frammentazione della Verità e, forse, alla frammentazione della stessa società, trasformando il discorso pubblico da dibattito in tifo da stadio e, di fatto, anestetizzando ogni possibile tensione alla complessità.

Enrico Colonna

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