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Chiesa e mondialismo: chi è causa del suo mal, pianga se stesso

by La Redazione
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chiesa vaticanoRoma, 28 mag – Secondo il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, l’esito del referendum irlandese rappresenta una sconfitta per l’umanità, e fino a questo punto siamo anche tentati di crederci.

Che la disgregazione atomistica della società sia, nella decadenza liberaldemocratica, oramai in fase avanzata è fuori da ogni dubbio, ma non sarà vano fare una breve digressione storica per vedere esattamente quando e come è iniziata tutta la storia in questione. Non sarà infatti vano ricordare che la civiltà classica pagana si fondava su una visione del mondo ai nostri occhi del tutto incomprensibile, fondata sul concetto di Ethos, per i Romani Mos, che nulla ha a che fare con l’etica intesa come scelta personale dell’individuo.

Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la “dimora”, l’abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno “etico” per sua scelta o volontà. Egli apparteneva a un ethos, ovvero a una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere. Questo, ovviamente, comportava l’assoluta supremazia dello Stato che si esprimeva nella piena adesione delle magistrature sacerdotali allo ius publicum,nella formazione di una religione civile volta ad esaltare la Patria, le sue istituzioni ed i suoi eroi mitici. Nella mente di un romano lo Stato rappresentava nel proprio realizzarsi quel “hic et nunc”/ “qui e adesso” nel ruolo di massima aspirazione a cui un individuo, pienamente inserito in quella comunità perfetta che era la polis-res publica, potesse aspirare.

È proprio il cristianesimo, inteso come eresia cosmopolita dell’ebraismo, a rompere questo meccanismo attraverso la separazione della civitas dei (eterna e perfetta) dalla civitas in terra (transeunte e corrotta). Il cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra, un radicamento, una qualche forma di identificazione interpersonale che non sia fra “fedeli” e “miscredenti”, questi ultimi da convertire. Il cristianesimo ha scacciato gli dei dalla città, cioé dalla politica, e già Agostino si rendeva perfettamente conto che questo avrebbe reso la medesima il semplice regno della forza bruta. Per questo, paradossalmente, è la Chiesa medesima a tentare di porre un argine (katéchon, il freno all’Anticristo) alla dissoluzione che essa stessa ha attivato. E non c’è alcun dubbio su cosa sia questo “argine”, ce lo dice Tommaso d’Aquino, il massimo teologo medioevale: è il romanum imperium, il diritto romano, l’eredità classica in particolare in ambito giuridico che lo Stato, se vuole essere nel giusto, deve applicare anche con la forza.

È per questo, e non per altro, che la Chiesa Cattolica Romana, nata in contrasto feroce con la civiltà classica, è riuscita comunque a fungere da forza centripeta per l’Europa contro l’arroganza islamica dei secoli passati, fosse essa araba o ottomana. Ma oramai il danno era fatto: seppur istituzionalizzata, la Chiesa non è riuscita a ricostruire una sorta di ethos europeo omogeneo, in parte per il suo rifiuto di una autorità terrena indipendente e sovrana (si veda lo scontro con l’impero), ed in parte perché portatrice, per quanto inconscia, del rifiuto della storia tipico dell’ebraismo originario ed il desiderio di un suo superamento escatologico. Certamente, la Chiesa aveva introiettato questa idea rendendola simbolica e funzionale al pentimento individuale, e si veda con quanta violenza reprimerà i movimenti ereticali medioevali, fortemente connotati in senso millenarista. La Chiesa vive anche adesso fra la razionalità e la saggezza di un Tommaso d’Aquino ed il furore nichilista di un Agostino d’Ippona, fra l’accettare il significato meramente simbolico dei “tempi ultimi” e quindi riconoscere il radicamento individuale e la perversione cosmopolita ed utopistica.

La crisi del suo “mito di legittimazione” a seguito del Rinascimento però farà prepotentemente riemergere questa lacerazione oramai insanabile nella cultura europea fra civiltà classica ed escatologia giudaico-cristiana nei tre grandi drammi della modernità: protestantesimo, comunismo e massoneria.

Non è un mistero, stante anche il disprezzo di Lutero nei confronti dei filosofi classici (Aristotele in particolare) che la Riforma protestante non sia altro che la rivolta dei barbari al nord del limes contro la “contaminazione” della Chiesa con la paganità classica indoeuropea, proseguita nel nome di un ritorno alla purezza veterotestamentaria che ben si esprime nella asfissiante retorica della Gerusalemme Celeste e balle simili.

A ben guardare, potrebbe essere questa l’origine del mito americano del “destino manifesto” nel nome del quale essi si sentono in dovere di rompere pesantemente le scatole a chi non se la sente di adottare un regime liberaldemocratico corrotto ed oligarchico come il loro.

Anche il comunismo, ovviamente, presenta una fortissima connotazione escatologica nell’idea per cui la Storia esiste in quanto esiste la lotta di classe, che sarà superata nella “società senza classi” a carattere universale. E scorrerà latte e miele, ed il lupo giacerà con l’agnello, ed Axl Rose la smetterà di rendersi ridicolo scimmiottando se stesso di 20 anni fa. A lungo la Chiesa ha visto nel comunismo il nemico principale, e non del tutto a torto: se per la Chiesa l’uomo, in quanto libero, è anche potenzialmente un peccatore, per il comunismo è il contrario, l’uomo si salva da se, perché naturalmente buono salvo che per le sovrastrutture storiche generate dallo “sfruttamento”.

Ma adesso che il comunismo è ingloriosamente decaduto a cimelio storico per qualche simpatico nostalgico, appare sempre più evidente che il nemico principale risiedeva altrove, non tanto nel barbuto di Treviri quanto nelle idee che hanno realmente plasmato la modernità occidentale di stampo liberaldemocratico, capitalista e, almeno inizialmente, borghese: liberalismo – Locke, liberismo – Smith, utilitarismo – Benthan, empirismo – Hume, ambientalismo – Malthus.

Cosa hanno in comune questi pensatori? Semplice: sono tutti sudditi di sua maestà britannica, sono tutti massoni e sono quindi tutti portatori di una visione del mondo ostile ad ogni forma di mobilitazione collettiva storica, di radicamento, di antropologia incentrata sulla potenza creativa dell’uomo. Tutto questo è ostacolo all’utopia della “pace perpetua” che va a coincidere ovviamente con il libero mercato globalizzato, atomizzato, livellato che era alla base dell’imperialismo britannico ieri ed americano oggi.

Il mondialismo odierno, ovvero la rimozione di ogni ostacolo reale o simbolico all’espansione perpetua del capitale finanziario rappresenta l’apoteosi dell’utopia escatologica veterotestamentaria, e per questo tende a rimuovere tutto quello che si oppone ad esso: lo Stato nazionale sovrano; il lavoro autonomo e subordinato; la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio.

La Chiesa si oppone al mondialismo? Poco e male, sembra di vedere, e solo su certi temi abbastanza sentiti. Per quanto riguarda, per dire, la libera circolazione internazionale di capitali, merci e soprattutto persone pare essere molto più silente.

Arrivati a questo punto, che rimanga silente del tutto oppure accetti, in una visione squisitamente cesaropapista, di sottomettersi allo Stato e di lasciare che i vescovi siano nominati dal governo, come sotto Napoleone in Francia e Mussolini in Italia. Questo è il ruolo politico e sociale della Chiesa, e questo solo può essere. Salvo essere distrutta definitivamente dal mondialismo, figlioccio bastardo da essa generato nel suo stesso seno.

Matteo Rovatti

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