Roma, 26 sett – Clandestini e Italia, in dodici anni la musica non cambia. Ogni tanto un riepilogo è necessario, quanto meno per constatare l’assoluta immobilità della questione.
Clandestini, Italia e l’Europa che “fa muro”
Il copione è sempre lo stesso: l’Italia fa entrare, gli altri no, l’Italia chiede solidarietà, gli altri la rifiutano, ma da Bruxelles e dai governi che si succedono (indipendentemente dal colore) si continua a dire che si sia sistemato tutto. C’è poi una variante: se per caso l’Italia alza a sua volta i muri – rarissimo e capitato solo nel 2018/2019 – gli altri la accusano di non accogliere e magari di essere pure razzista. “Costruiamo ponti, non muri” è una frase che ci ha devastato i timpani per dieci anni, se non di più. E che continua a devastarceli. La cosa bizzarra è che i muri li erigono gli altri e non noi, stante ovviamente l’unica eccezione del governo gialloverde. Dalla Svizzera alla Francia, passando per Austria e Germania, tutti chiudono i passaggi. Anche al di fuori del contesto italiano, la Polonia stringe i controlli ai confini con la Slovacchia. A prescindere dalla cultura immigrazionista di massa, nessuno può ignorare i disastri di un fenomeno così gigantesco, con tutti i danni che comporta.
Il circo equestre di Bruxelles
La parte peggiore di questa storia tragica la recita ovviamente Bruxelles. La quale non riesce neanche a prendere una posizione ufficiale, per lo meno non ipocrita. Non l’ha mai presa, per lo meno, in circa 12 anni. Anche se la vocazione immigrazionista appare evidente. Dall’Ue infatti ogni tanto è venuta perfino la constatazione della provenienza “non rifugiata” della maggior parte degli sbarcati sulle nostre coste, salvo poi rimbrottarci se non eseguiamo gli ordini e “non accogliamo”. Insomma, se non facciamo entrare tutti senza fare troppe storie. Mentre ci assicurano di “solidarietà” inesistenti (e che se esistessero sarebbero comunque dannose per un reale contraso al fenomeno).
Alberto Celletti