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Assistenza ospedaliera per i conviventi di fatto: un problema che non esiste

by Francesco Amato
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conviventi scialpi

La denuncia di Roberto Blasi, compagno di Giovanni Scialpi

Roma, 16 ott – Da anni si parla ormai della spinosa questione sul riconoscimento o meno delle coppie di fatto. Molti lo vedono come il tentativo di aprire la strada ai matrimoni gay, altri la considerano una battaglia di civiltà per garantire dei diritte elementari ai conviventi di entrambi i sessi. Quello di cui non si tiene mai conto è la legge che già esiste in materia in Italia.

Eh già, perché il nostro ordinamento prevede delle norme in materia di convivenze non rientranti nel contratto giuridico del matrimonio. Così recentemente la diatriba sulle coppie di fatto è riscoppiata grazie alle dichiarazioni che il convivente di Giovanni Scialpi, cantante in voga degli anni ’80, ha fatto al Corriere.it lamentando l’impossibilità di andare a visitare il proprio partner in ospedale non essendo possibile in Italia avere un riconoscimento come marito e/o moglie di fatto: “Per la sanità e per lo Stato sono un perfetto sconosciuto”, ha affermato Roberto, il convivente di Scialpi.

Se però si va a scavare nelle leggi dello Stato si scoprono parecchie cose interessanti. Ad esempio che i diritti reclamati per i conviventi di fatto sono già in buona parte garantiti dal diritto privato. Nel caso specifico della “famiglia” Scialpi è previsto un obbligo di informazione da parte dei medici per eventuali trapianti al convivente (art. 3 L. n. 91 1999), nonché ai permessi retribuiti per decesso o per grave infermità cui un convivente anche dello stesso sesso ha diritto (art. 4 L.n. 53 2000). Da queste leggi si evince, non essendocene un’altra che lo vieta espressamente, che se è garantito il diritto all’informazione per il convivente di fatto per i casi di cui sopra, non ci sarà alcun divieto perché quest’ultimo possa andare a visitare il suo partner in ospedale. Lo stesso criterio vale anche nel caso in cui il convivente si trovasse in carcere.

Vi è un’altra deduzione da fare: nel disegno di legge sulle unioni civili, il cosiddetto Cirinnà bis, non si parla di nessuna norma da abrogare per permettere l’introduzione di questo diritto di assistenza reciproca. Se ne deduce pertanto che non esiste una norma che vieti espressamente ad una persona di visitare ed assistere il proprio convivente di qualsiasi sesso esso sia. I giuristi inoltre ci dicono che ogni persona ha il diritto a ricevere visite e assistenze in ospedale da chi desidera esprimendo semplicemente questa volontà. Nel caso di stato di incoscienza, per tutelarsi anticipatamente, il convivente anche dello stesso sesso, può scrivere una dichiarazione autenticata dal notaio secondo la quale esprime la volontà di essere assistito dal compagno.

Il problema denunciato da Scialpi e dal suo partner non si presenta, insomma, per il semplice fatto che il divieto cui fanno riferimento non esiste. Se si andasse a scavare ancora più a fondo si scoprirebbe addirittura come tanti altri diritti della sfera economico amministrativa siano garantiti dalla legge alle coppie di fatto senza distinzione di sesso. Solo per fare un esempio, se uno dei conviventi muore l’altro può subentrargli nel contratto d’affitto purché entrambi stipulino il contratto. E l’art. 6 della L. 392/78 ha stabilito, dopo l’intervento della Corte Costituzionale n. 404/88, che in caso di morte del conduttore, nel contratto gli succede l’eventuale convivente. E ancora: se l’assegnatario di un alloggio di edilizia popolare abbandona l’alloggio attribuitogli, il convivente ha diritto a succedergli (sentenza 559/89).

Probabilmente le polemiche che spesso sorgono intorno a tali questioni sono più maliziose di quello che si crede, dal momento che i diritti richiesti e reclamati dai conviventi di fatto in realtà sono già garantiti dalla legge italiana senza che le stesse coppie siano per forza equiparate al matrimonio che rappresenta un altro e ben distinto contratto giuridico tra due persone di sesso opposto. Nasce il dubbio quindi che le questioni sui diritti negati alle povere coppie di fatto siano solo una scusa per poter continuare a cavalcare la battaglia dei matrimoni tra omosessuali e delle adozioni gay che riguarderebbero un ambito più culturale e antropologico rispetto a quello giuridico.

Francesco Amato

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