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Criminalità giovanile, perché è giusto intervenire sui genitori

by Stelio Fergola
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criminalità giovanile

Rioma, 8 sett – Il decreto contro le baby gang e la criminalità giovanile sta suscitando molte polemiche, soprattutto – manco a dirlo – da sinistra. Nonostante il provvedimento sia tutt’altro che completamente difendibile e privo di alcuni spunti che sarebbero necessari, come noi stessi abbiamo ricordato, un aspetto che va sottolineato è il tentativo di “deviare” il percorso spesso drammaticamente segnato di molti giovani appartenenti per semplici coincidenze familiari alla malavita ed ad essa condannati quasi sempre in modo inevitabile.

Criminalità giovanile e l’intervento del governo sulla genitorialità

Nasci figlio di un clan, ci rimani per la vita: la regola, grosso modo, è questa. I modi in cui tutto ciò si evolve (o per meglio dire non si evolve) sono tanti e in questa sede non è il caso di elencarli. In ogni caso, nel decreto del governo c’è un passaggio che viene enfatizzato con particolare attenzione dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, come riportato dall’Ansa: “E’ stata prevista la pena della reclusione per i genitori che non mandano i figli a scuola”, dice il Guardasigilli, aggiungendo: “Ci sarà il trasferimento degli ultra 18enni nelle carceri ordinarie solo in presenza di presupposti gravissimi” specificando che tale azione vi sarà se gli adulti infastidiranno in qualche modo il percorso naturale degli istituti o useranno metodi violenti. Inoltre, spiega il ministro, “non si è minimamente intervenuti sulla imputabilità del minore” riferendosi alle ipotesi di un abbassamento a 12 anni. “Tutto questo sarebbe stato contrario all’utilità e non è stato fatto” ha concluso.

Proviamo a ragionare, senza pregiudizi positivi o negativi

Il percorso di un giovane nato in una famiglia mafiosa o criminale è segnato. Praticamente non esistono possibilità di fuoriuscita, salvo casi estremamente eccezionali di cui però non è altrettanto utile occuparsi nel contesto dell’analisi di un fenomeno comunque diffuso. Che serva una risposta sociale, siamo tutti d’accordo. La pena, da sola, è insufficiente perché non interviene nel contesto di degrado che più favorisce il rafforzamento di certe affiliazioni. È pur vero però che le risposte sociali non possono arrivare se non nel lungo periodo. Si può essere senz’altro pessimisti sulla possibilità concreta che esse giungano a compimento (anzi, nella situazione attuale, in cui lo Stato è incapace di trovare risorse per praticamente qualsiasi cosa, possiamo anche essere più che scettici), ma nel frattempo è impossibile non trovare neanche un senso nel tentativo di “spezzare” quella catena indissolubule tra clan familiare e giovane criminale, intervendo sulla responsabilità genitoriale, specialmente se si tratta di scuola, ovvero il primo istituto in grado di formare le generazioni future insieme alla famiglia medesima. Dunque, dotare lo Stato per lo meno dell’autorità per costringere i giovani ad andare a scuola è una necessità. Non esclusiva, non sufficiente. Ma comunque necessaria per provare a mettere un punto su una questione che, come molte altre, è cruciale.

Stelio Fergola

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