Roma, 30 apr – Vi è da dire che anche l’insurrezionalismo di De Ambris, che in quel frangente promosse una Marcia su Roma, era altrettanto distante dalla realtà. Credere che Ancona fosse pronta alla rivoluzione dannunziana, facendo conto su inesistenti nuclei fascisti[10], dimostra bene l’abbaglio cui si giunse in quei giorni. Ancona, che passò alla storia per la clamorosa insurrezione anarco-socialista del Giugno 1920, avrebbe semplicemente linciato i Legionari che da Fiume fossero riusciti a sbarcare…
Che a Parma fossero tutti con D’Annunzio fu solo una “sparata” deambrisiana, tant’è vero che, durante il Natale di Sangue, mentre quasi ovunque i fascisti scendevano in piazza a protestare, a Parma non si registrò il ben che minimo incidente… Allora anche De Ambris tradì?
Quando D’Annunzio ebbe a disposizione la stazione radiotelegrafica si limitò a scrivere un messaggio per comunicare agli Italiani l’inizio delle operazioni del Regio Esercito e non certo per spronare i fascisti – o chi per loro – ad insorgere. Fermo restando che, al primo colpo di cannone che centrò il suo palazzo, scelse di arrendersi, suscitando l’ilarità di più di qualche fedelissimo, come Cabruna che – indispettito per non essere stato ricevuto dal Poeta-eroe nel 1921 – ironizzò pesantemente, e con molto poco gusto, sulla fine della Reggenza[11]. Certamente, la resa fu una necessità ovvia, che spiega bene perché i fascisti, in quei giorni, sebbene mobilitati e infuriati, non si fecero tutti massacrare dal Regio Esercito o dai socialisti.
Chiarito il tradimento che non ci fu, passiamo alla seconda accusa: quella di appropriazione indebita.
Tra le appropriazioni indebite dei fascisti, il grido di guerra «Eia, eia, alalà!». Una “violenza” che rese addirittura “impronunciabile”[12] per noi poveri contemporanei questa acclamazione che, evidentemente, avrebbe avuto in caso contrario tutt’altra gloriosa storia. “Maledetti fascisti”, verrebbe da dire!
Con un certo piacere, Guerri ricorda che d’Annunzio fece seguire – una volta – al grido, l’esclamazione «Viva l’amore!». Cosa che i fascisti non faranno mai! Ora, fermo restando che – come non ci stancheremo mai di ricordare – furono gli stessi Legionari fiumani a portare questo grido di guerra nello squadrismo nascente, vi è da sottolineare che mai i Legionari fiumani fecero seguire il loro grido dall’incomprensibile «Viva l’amore!». «Eia, eia, alalà!» era il grido di guerra dei Legionari fiumani; «Eia, eia, alalà!» sarà il grido di guerra degli squadristi. Che poi d’Annunzio, uno o due volte, abbia aggiunto «Viva l’amore!», non ha nessuna rilevanza dal punto di vista storico.
Ultimamente si spinge molto sul clima libertario che si viveva a Fiume. Eppure, d’Annunzio non fu mai un liberale; fu certamente un irredentista – un imperialista l’avrebbero definito all’epoca i “sinistri” –; un anarco-nazionalista o un nazionalista individualista che dir si voglia; un dispregiatore dei valori della democrazia e un apologeta della violenza. A Fiume, d’Annunzio fu prima di tutto un Duce. A Fiume venne instaurato un vero e proprio “regime”, dove non esisteva la libertà di parola e su tutti vegliavano turbolenti Legionari armati, pronti a punire “a ferro freddo” chiunque avesse contestato il sistema dannunziano[13]. Lo stesso liberale Pantaleoni, che fu Rettore della Reggenza, rimproverò al Poeta-eroe di aver creato “una prigione regolamentata […] da quattro capolega”; “una dittatura di fatto”[14]. E ci si viene a parlare di animi libertari? Allora c’è una dissociazione tra pensiero e azione!
Lo stesso piccolo gruppo kelleriano “Yoga” – su cui tanto e troppo si è scritto –, critico sul Comandante per il suo “attendismo ascetico”, fu posto sotto controllo dall’apparato di controllo della Reggenza[15]. Anche lo “Yoga”, comunque lo si voglia fantasiosamente dipingere, rimarrà ancorato alla visione del mondo diciannovista: antidemocratica e antisocialista, sia chiaro![16] E Keller, con naturalezza e spontaneità, approderà allo squadrismo, con tutta la sua vitalità e straordinarietà che, forse, lo faranno un insofferente per natura, ma nelle quali non vediamo certamente una “delusione e risentimento” palesi per l’affermarsi del Regime fascista, come sostiene Guerri, che arriva addirittura a sostenere che Keller “non avrebbe retto al fascismo trionfante”[17]. Ma su quali basi si fanno affermazioni del genere?
La realtà è che Keller fu un Legionario fascista e da fascista morì. Con buona pace dei defascistizzatori. I fascisti, cosa più importante, furono con lui e a lui donarono solenni e fascistissimi funerali.
A Fiume, nonostante il clima di rivolta generazionale, le notti di festa vennero addirittura vietate dalle Autorità; l’omosessualità e il consumo di droga – su cui si favoleggia a sproposito – se tollerati, rimasero crimini da perseguire. E vennero perseguiti!
Tutto ciò, bisogna dirlo, anche nel libro di Guerri è evidente. Come è evidente che la “seconda fase” dell’occupazione dannunziana (Gennaio-Settembre 1920), quella che tanto fiume d’inchiostro ha fatto versare, vide il contributo determinante del sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, l’autore – insieme a Mussolini – del cosiddetto programma fascista di San Sepolcro. Mentre De Ambris a Fiume è il “genio creatore”, quando collaborava con il fondatore dei Fasci, evidentemente, doveva essere molto “distratto”. Non a caso Guerri bolla come “programma velleitario”[18] quello portato avanti da Mussolini. Eppure di queste “velleità” si nutrirono tutti in quell’esplosivo 1919. D’Annunzio in primis, che pensava di volare a Tokyo, indeciso se occupare Spalato o Fiume.
È sopravvalutata l’esperienza “solitaria” di Kochnitzky e della sua Lega dei popoli oppressi. Tutto molto bello. Ma a dir poco effimero. Una vera e propria “meteora” sui cieli di Fiume che certamente non può essere confusa in toto con il comune pensare delle migliaia di Legionari accorsi nella Città Olocausta.
Che “molti” Legionari furono antifascisti sarebbe tutto da dimostrare (noi abbiamo dimostrato proprio il contrario nel nostro studio), tanto è vero che di là di Alceste De Ambris si fatica enormemente a trovare qualcuno da inquadrare nella militanza antifascista (che presuppose sempre il silenziamento se non il rinnegamento dell’esperienza fiumana). Guerri – guarda caso – ne cita ad esempio solo uno, il giovane ventitreenne Mario Magri, tra i capi degli Uscocchi, che dopo la fine della Reggenza andò a combattere in Marocco contro gli Spagnoli e, rientrato in Italia, si oppose all’avvento del fascismo, cercando vanamente di mobilitare d’Annunzio nei suoi progetti[19]. Arrestato perché accusato di voler uccidere Mussolini, fu confinato per 17 lunghi anni. Tornato libero dopo l’8 Settembre 1943, si adoperò nella lotta di Resistenza. Arrestato nuovamente, fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Senza partito, lontano dalla “lottizzazione” del CLN, il suo sacrificio si inabissò per sempre.
Magri può rappresentare un altro aspetto del fiumanesimo? Assolutamente no, per la straordinarietà del personaggio e, soprattutto, per l’unicità della sua scelta. Mettere sullo stesso piano di “rappresentatività fiumana” Mario Magri con Ettore Muti è davvero una forzatura che non condividiamo. Muti rappresentò l’anima di Fiume negli anni a seguire, quella stessa anima che si ritrovò in altri migliaia di Legionari fattisi squadristi. Magri rappresentò sempre e solo se stesso e i suoi ideali libertari. Fiume fu una rivendicazione irredentista, nazionalista, – “imperialista” sostennero i democratici e i socialisti –, non certo un faro di libertà politica, di democrazia o quant’altro. Per cui, se dei libertari – e dei libertini – accorsero nella Città Olocausta seguendo i propri ideali, ebbero solo un abbaglio e se loro non se ne resero conto non ha rilevanza storica alcuna.
Se alcuni membri della Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani e dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, nel 1923, dando origine all’Unione Spirituale Dannunziana, si spostarono su posizioni antifasciste, bisogna comunque evidenziare che mai ricevettero “battesimi” da D’Annunzio e l’esperienza si esaurì nel nulla nel giro di pochissimi mesi. Migliaia erano invece i Legionari fiumani e gli Arditi di Guerra inquadrati in pianta stabile nella Milizia e nel PNF, punta di lancia di quel fascismo intransigente che percorse tutto il Ventennio, nella visione rivoluzionaria della continuità ideale interventismo-volontarismo di guerra-arditismo-fiumanesimo-squadrismo.
La realtà è che tra Legionari e fascisti ci fu sempre “comunanza spirituale”, fin dall’epoca della Marcia di Ronchi, passando per le elezioni del Novembre 1919 e la battaglia politica del 1920, fino ad arrivare – con naturalezza – al periodo dello squadrismo (1921-1922). Il tutto senza soluzione di continuità. Nonostante che alcuni Legionari non condivisero il percorso politico di Mussolini – ma ce ne furono di più tra gli stessi fascisti! – ce ne vuole per inventarsi “distanze radicali” tra fascismo e fiumanesimo. Il fiumanesimo fu distante anni luce dalla democrazia, dal liberalismo, dal socialismo. Non certo dal fascismo, seppure – ovviamente – ebbe una genesi, uno sviluppo e delle peculiarità proprie. Ma se si vuole ridurre il fascismo a “braccio armato della borghesia”[20], allora tutto si può sostenere.
(segue)
Pietro Cappellari
[10] Cfr. G.B. Guerri, Disobbedisco, Mondadori, Milano 2019, pag. 420
[11] Cfr. Ibidem, pag. 478
[12] Ibidem, pag. 24
[13] Cfr. Ibidem, pagg. 152-153, 160, 165-166, 212, 229, 281, 296, 346, 357, 358
[14] Cfr. Ibidem, pagg. 349 e 441
[15] Cfr. Ibidem, pagg. 364, 384 e 426
[16] Cfr. Ibidem, pagg. 428-429
[17] Cfr. Ibidem, pag. 430 e 436
[18] Ibidem, pag. 117
[19] Ibidem, pagg. 217-218
[20] Ibidem, pag. 305