Roma, 24 ott – Sono ricorrenti nell’ambiente ‘non conformista’ le suggestioni ‘imperiali’. Quando però si cerca di capire concretamente cosa s’intenda con ‘impero’ ci si accorge che non si va quasi mai al di là di vuote espressioni retoriche sul ‘rispetto delle differenze’, sulla ‘gerarchia’, sul potere ‘spirituale’ e via dicendo.
Nella realtà, e per rimanere al solo contesto geostorico europeo, si sono dati molteplici esempi di impero, a partire da quello romano1. Anzi, in quello che Schmitt ha chiamato jus publicum europaeum2 hanno convissuto Stati-nazione e imperi multietnici, repubbliche e monarchie, in un rispetto, questo sì davvero concreto, delle differenze.
Per cui, quando si parla oggi di ‘impero’, a cosa si allude di preciso? Quali sarebbero le istituzioni sulle quali tale ‘impero’ dovrebbe poggiare? Chi e in che modo avrebbe potere di decisione in questo fantomatico ‘impero’? Come andrebbe articolato, nella concreta prassi politica, il rapporto tra ‘centro’ e ‘periferia’ (sempre se tale ‘impero’ abbia un centro e una periferia o non sia invece una sorta di replica del modello a suo tempo proposto dal duo Negri-Hardt)? C’è, poi, un preciso precedente storico cui ispirarsi (impero romano, bizantino, carolingio, russo, austriaco, inglese, guglielmino, fascista, ecc.)? E nel caso la risposta fosse affermativa, quali sarebbero i criteri di scelta adottati e in che modo tale precedente, pur con gli ovvi aggiustamenti e cambiamenti, potrebbe essere riproposto nell’oggi? E senza dimenticare, giusto a titolo d’esempio, che l’impero romano, di contro a una sua visione idealizzata, fu lungi dall’essere sempre e comunque ‘rispettoso delle differenze’, come ho cercato di mostrare in due scritti usciti sul Primato Nazionale, e soprattutto che la preservazione delle autonomie culturali e amministrative dei popoli conquistati era risalente ai tempi della repubblica, e che, da questo punto di vista, l’impero si limitò a perpetuare una prassi già ampiamente consolidata (per gli elementi di discontinuità tra impero e repubblica si veda l’ottima sintesi di Mario Pani, Augusto e il Principato; per uno sguardo d’insieme si può leggere il davvero notevole Storia delle province romane di Eckhard Meyer-Zwiffelhoffer).
Ora, per concludere queste brevissime osservazioni, capisco che chi è interessato solo a vaghe suggestioni o al richiamo di vuote parole d’ordine, trovi del tutto prosaiche e finanche irrilevanti le questioni poste e affatto noiose le puntualizzazioni storiche. A patto però di non lamentarsi se poi si rende conto di non persuadere nessuno al di fuori del solito circuito autoreferenziale…
Giovanni Damiano
1 Non considero schiettamente europeo l’impero di Alessandro, in quanto avente il suo centro di gravità in Asia e la sua legittimazione in una koiné universalistica estranea alla originaria cultura europea, ma riprendente il modello persiano a sua volta esemplato sugli imperi assiro e babilonese , come conferma S. Dalley, Il retaggio della Mesopotamia, Milano, 2016, p. 91: “la Babilonia e l’Assiria fornirono il modello di regalità al quale si ispirarono gli Achemenidi”.
2 Jus publicum europaeum la cui estensione cronologica, grosso modo, va dalla pace di Westfalia (1648) alla prima guerra mondiale, con esclusione del periodo (1792-1815) delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche che, in quanto portatrici di un progetto universalistico, ne hanno rappresentato la più radicale antitesi .
8 comments
90 minuti d’applausi.
Giovanni Damiano, un nome una garanzia.
Un punto di riferimento culturale in questi tempi senza più alcun orientamento concreto, oltre le solite “vuote parole d’ordine”, di tipo tradizionalistico o altro, contro cui lo stesso Damiano sovente si scaglia.
Leggere e diffondere. Il risveglio dell’Europa passa attraverso la presa di coscienza di cosa siamo e di cosa dobbiamo fare.
Brevi ma puntuali osservazioni. Se “imperium” è inteso come volontà di grandezza e di potenza da contrapporre a un Leviatano che ci priva della libertà, credo che nessuno avrebbe da obiettare qualcosa. Se invece si intendono “sacro impero della nazione germanica” (che, sia detto per inciso, non è MAI coinciso con l’Europa), imperi coloniali alla britannica o alla statunitense, o peggio ancora il carrozzone asburgico (presuntamente “tradizionale”) contro cui hanno versato il sangue i nostri martiri del Risorgimento, allora meglio lasciar perdere. Lo ripeto anche qui: l’unico modo per creare un “impero europeo” (cioè ispirato alla volontà di destino che è propria di un certo filone culturale del nostro continente) è quello di passare attraverso la mutazione alchemica descritta da Peter Sloterdjik. L’Europa deve cioè reinventare la forma dell’impero, serve una “metamorfosi” imperiale. Ma allora, in questo caso, riproposizioni di un antico modello istituzionale devono lasciare spazio a un progetto d’avvenire, a un impero che non si sia mai visto e che, si spera, possa durare mille anni. E, lo ripeto ancora una volta, l’unico impero che ci può piacere non può che avere una struttura confederale. Altrimenti che ci si tengano pure i “torvi imperi” travolti dalla piena del Piave, e tanti saluti. Perché chi ama veramente la nostra nazione sarà sempre e solo dalla parte dei fanti d’Italia, e non da quella di una nobiltà scaduta, decadente e decaduta, né tanto meno da quella di qualche banchiere di Francoforte.
Tutto vero e condivisibile purtroppo ma così, giusto per parlare, la via per uscire da questa situazione devastante quale potrebbe essere?
Tornare agli stati nazionali?
Può essere ma tralasciando la fattibilità, abbiamo una classe dirigente in Italia ( e in Europa ) capace di invertire la rotta e soprattutto c’è la volontà di farlo?
Temo che ci voglia poco a smontare le teorie altrui ma si è in grado di sostenerne di proprie?
C’è una via d’uscita concreta ?
Non so.
Andre
La formula ‘impero dell’avvenire’ (di chiarissima impronta locchiana) è di sicuro fascino ed ha il merito di svincolarsi da modelli già esistiti storicamente.
Mi sembra però che l’idea di “impero confederale” sia di difficilissima realizzazione, perché si tratta a mio parere, di due ‘forme’ (quella imperiale e quella confederale) tra loro inconciliabili, essendo la confederazione una unione in cui sono gli Stati membri a detenere per intero la sovranità e, per il diritto internazionale, a restare i soggetti giuridici di riferimento. Al massimo, credo, si può parlare di “impero federale”, com’era ad esempio il Secondo Reich guglielmino.
E infatti, pur condividendo lo spirito dell’intervento del mio caro amico Valerio, non ne condivido la lettera: la parola “impero” riferita all’Europa dobbiamo recisamente scordarcela, e con essa cestinare i giacobini belgi, i germanofoni italici e gli hayekiani francesi (penso si capisca a chi mi riferisco) a cui piace tanto.
L’unica Europa che potrebbe avere un senso è una confederazione mazziniana di Stati sovrani, il che (ha perfettamente ragione Damiano) comporta NETTAMENTE l’assenza di un potere centrale sovranazionale.
La battaglia delle parole va avanti da troppo tempo, ed ha lasciato (letteralmente) morti sul campo, in quanto ha impedito di vedere il vero nemico: l’Ue e la Nato, entrambe emanazioni americane, e l’Euro, costrutto franco-tedesco per deindustrializzare l’Italia.
Le critiche di Giovanni e Matteo sono puntuali. Ma probabilmente mi sono espresso male io nel commento precedente. Per quanto riguarda la forma costituzionale, è ovvio che non si possa parlare di un “impero confederale” così come non avrebbe senso parlare di “acqua asciutta”. Io intendevo piuttosto dire che una confederazione di Stati europei dovrebbe però essere innervata da un’anima imperiale, ossia da una schietta volontà di potenza. Questo non implica ovviamente una volontà di sopraffazione o il fatto di lanciarsi in improbabili avventure militari. Con questo voglio solo dire che, senza una – come la chiamo io – “anima imperiale”, c’è il rischio di trasformare questa possibile confederazione europea in un’assemblea di condominio o in una riserva indiana. Spero di essermi spiegato meglio, anche perché ho la netta sensazione che stiamo sfondando la proverbiale porta aperta 🙂
Messe così le cose, il discorso è indubbiamente più chiaro ed anche condivisibile, perché di certo non ha senso confederare l’Europa per partorire un nano politico. Ma io eviterei qualsiasi ambiguità e rinuncerei del tutto a utilizzare termini come ‘impero’ e ‘imperiale’.