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Eroi dimenticati: Domenico Rossetti e la difesa dell'italianità di Trieste

by La Redazione
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Trieste, 10 nov – Chi percorre la via che Trieste ha dedicato all’eroe Cesare Battisti, presso l’entrata del giardino pubblico intitolato a Muzio Tommasini, tra via Giulia e via Guglielmo Marconi, può ammirare un’elegante statua bronzea su un basamento di pietra decorato dalle allegorie dell’Archeologia, della Filosofia e della Giurisprudenza. Il monumento, inaugurato il 25 luglio 1901, fu dedicato dal Comune di Trieste a uno dei cittadini più illustri della storia del capoluogo giuliano, insigne studioso delle tre discipline raffigurate sul basamento: Domenico Rossetti.
Domenico Rossetti nacque a Trieste il 14 marzo 1774 da Antonio, ricco commerciante proveniente dai ranghi dell’antica aristocrazia cittadina, insignito del titolo di conte dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che gli concesse altresì il suffisso cognominale de Scander. Studiò al Collegio Cicognini di Prato dal 1785 al 1790, per poi laurearsi in filosofia a Graz nel 1792 e in giurisprudenza a Vienna nel 1800. Tornato a Trieste, intraprese la professione di avvocato, per poi assumere, dopo la fine del governo napoleonico e il ritorno degli Asburgo, le funzioni di magistrato, membro del consiglio dei patrizi, procuratore civico e infine presidente del consiglio cittadino dal 1839.
Il suo impegno nella politica locale e il problema dell’approvvigionamento idrico di Trieste lo portarono a interessarsi di idrografia e a esplorare le cavità carsiche e le sorgenti del fiume Timavo. Le sue ricerche in materia furono presentate nella quarta riunione degli scienziati italiani tenutasi a Padova nel 1842. Le riunioni annuali degli scienziati italiani, svoltesi senza soluzione di continuità dal 1839 al 1847 per promuovere la condivisione di conoscenze all’interno della comunità scientifica nazionale, nel clima risorgimentale dell’epoca assunsero ben presto il carattere di un’occasione di impegno civile e patriottico e di riscoperta dell’identità nazionale.
La concessione a Trieste del porto franco nel 1719 e l’erezione della città a capoluogo del Litorale nel 1867 avevano suscitato un notevole sviluppo economico. Emerse un vasto e florido ceto mercantile di varia origine etnica, in buona parte insediatosi nel cosiddetto borgo teresiano, costruito secondo una trama viaria ortogonale nell’area pianeggiante a ovest della città vecchia distesa sulle pendici del colle di San Giusto.
L’afflusso di questa eterogenea massa di borghesia e di popolo dalle più svariate nazionalità (italiani, tedeschi, boemi, sloveni, croati, serbi, greci, armeni, ebrei) fece salire rapidamente la popolazione di Trieste da 6.000 a 200.000 abitanti. I triestini autoctoni furono assorbiti nella popolazione nuova e l’originario idioma locale, affine al friulano, venne sostituito dall’odierno dialetto triestino di tipo veneto come lingua colloquiale e dall’italiano come lingua di cultura.
Domenico Rossetti diede prova di notevole munificenza verso la propria città, realizzando a proprie spese la passeggiata destinata a diventare l’odierno viale XX settembre e il Lapidarium di antichità romane tutt’oggi visitabile sul colle di San Giusto.  Nel 1833 eresse il cenotafio dedicato al grande archeologo, storico dell’arte e teorico del neoclassicismo tedesco Johann Johachim Winckelmann, sul cui assassinio, avvenuto l’8 giugno 1768 a Trieste a opera del cuoco pistoiese Francesco Arcangeli, egli aveva svolto approfondite ricerche storiche.
Rossetti profuse un notevole impegno nella difesa dell’italianità linguistica e culturale di Trieste. Nella sua biblioteca privata raccolse due sezioni dedicate agli scritti di Francesco Petrarca e di Enea Silvio Piccolomini, che prima di diventare Papa Pio II era stato vescovo di Trieste nel 1447. I preziosi volumi furono lasciati in eredità alla Biblioteca Civica di Trieste dopo la sua morte. Il 1° gennaio 1810 fondò la Società di Minerva, vera fucina culturale di Trieste, da cui nel 1829 scaturì la rivista Archeografo triestino, sulla quale furono pubblicati numerosi articoli sulla città e sul litorale soprattutto da parte del grande storico triestino Pietro Kandler.
Come ricorda la voce dell’Enciclopedia Italiana del 1936 scritta da Mario Menghini, Domenico Rossetti fu “Avverso all’occupazione francese” ma “dopo il 1814, ebbe il dolore di constatare che quella austriaca era peggiore dell’altra, e per difendere i diritti della sua città natale fu oggetto di fiere persecuzioni”. Dopo la sua morte, avvenuta a Trieste il 29 settembre 1847, tramontò l’illusione di poter difendere l’italianità di Trieste nella cornice della monarchia austriaca.
Gli anni successivi avrebbero visto i primi moti patriottici del 1848, la tenace resistenza del popolo e della municipalità triestina contro i tentativi di snazionalizzazione della città portati avanti dalle autorità austriache e dal nascente sciovinismo sloveno, soprattutto dopo il famoso Consiglio della Corona del 12 novembre 1866, infine il sorgere dell’irredentismo triestino inaugurato dal sacrificio di Guglielmo Oberdan (1882), proseguito con la costituzione delle associazioni Pro Patria (1885) e Lega Nazionale (1891) e suggellato dal sacrificio dei volontari triestini nella Guerra di Redenzione del 1915-1918.
Durante i lunghi anni di passione intercorsi tra il 1866 e il 1918, Domenico Rossetti fu sempre portato ad esempio quale iniziatore e precursore della strenua battaglia di Trieste per la sua italianità, tanto che tra i patrioti giuliani si diffuse quel motto che ancora oggi ogni vero Triestino e ogni vero Italiano può ripetere con orgoglio: “Ne la patria de Rossetti no se parla che italian”.
Carlo Altoviti

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