Roma, 15 giu – Le elezioni europee appena conclusesi aprono una serie di problemi e quesiti particolarmente complessi, che meritano se non altro di essere elencati.
Elezioni europee e astensionismo
Un primo tema da discutere è quello dell’astensionismo dalle urne. L’astensionismo è un fenomeno ormai noto nel contesto politico italiano (e non solo) e può essere spiegato facendo riferimento a due tesi principali. La prima tesi consiste nel sostenere che non vi sia, nel panorama politico, un’offerta che possa rispondere alle esigenze degli elettori, cioè che non vi siano partiti politici in grado di captarne le esigenze e i bisogni. Cosa ciò significhi, nel contesto italiano, non è facile da dire: può significare, per esempio, come sostengono alcuni osservatori, che si debba guardare alla formazione di un partito cattolico, una specie di “seconda Democrazia Cristiana”; oppure, si potrebbe supporre che manchino partiti sufficientemente estremi da essere votati dagli elettori più radicali. Questa prima tesi sembra essere la più debole, dal momento che è difficile supporre che, fra tutti i partiti che si presentano sul campo, non vi sia rispondenza con le esigenze degli elettori, sebbene sia doveroso ricordare che il ventaglio politico a sinistra è molto più ampio di quanto non lo sia a destra.
Una seconda tesi, più plausibile, consiste nello spiegare l’astensionismo in termini di disaffezione politica, che porta gli elettori a vedere la classe politica come essenzialmente corrotta, impotente e parassitaria. Questa tesi sembra essere supportata dal fatto che l’astensionismo è un fenomeno trasversale alle varie elezioni che si sono tenute negli ultimi anni.
Vincitori, vinti
Venendo ora a discutere dei risultati di queste elezioni europee, è giusto prima di tutto osservare che i veri vincitori di queste elezioni siano le destre. Naturalmente, a fronte dell’exploit delle destre, si può cercare di mettere la testa sotto la sabbia, rimarcando il fatto che, malgrado gli ultimi risultati elettorali, il Parlamento Europeo rimarrà in mano a una maggioranza di popolari (anche se su questo punto si potrebbe discutere, come ha spiegato il direttore di Fanpage Francesco Cancellato a Radio24 il 10 giugno).
Tuttavia, guardare solamente ai numeri che formeranno la nuova assemblea parlamentare, ragionare con un atteggiamento da contabili sarebbe una miopia politica, che potrebbe portare all’instaurarsi di dinamiche che incrinerebbero i rapporti fra il Parlamento Europeo, il Consiglio Europeo e i governi degli Stati nazionali; inoltre, si rischierebbe, così agendo, di esasperare il malcontento popolare e il livore delle destre nei confronti dell’establishment europeo. Infatti, a prescindere dalla composizione del Parlamento Europeo, l’indebolimento dei governi franco-tedeschi e l’eventuale, e probabile, elezione di un membro del Front National alla presidenza francese, potrebbe determinare un cambiamento radicale negli equilibri del Consiglio Europeo e nelle linee decisionali adottate da questo organo. I nuovi equilibri politici all’interno degli Stati membri hanno effetti diretti se non sulla composizione degli organi europei sulla loro azione, e infatti ci si può attendere le linee tracciate dall’UE su specifici temi (guerra russo-ucraina, ecologia, ecc.) potrebbero subire dei cambiamenti nei prossimi mesi.
Insomma, non è implausibile che – per fare un esempio pratico – la politica green seguita dall’UE sinora possa essere, se non abbandonata, almeno parzialmente rivisitata, probabilmente in un’ottima più pragmatica e meno ideologizzata, così come ci si può attendere che le posizioni europee a proposito della guerra russo-ucraina saranno rimesse in discussione. C’è chi sostiene che il vero vincitore di queste elezioni sia Vladimir Putin, un’affermazione, questa, che serve solamente ad aumentare quel vago senso di panico che sta pervadendo l’Europa e che, soprattutto, deresponsabilizza, seppur implicitamente, i partiti moderati, i quali hanno molte colpe per l’esito di questo voto.
L’asse franco-tedesco si è sfasciato e Macron, che forse ambiva a diventare un’estensione di Joe Biden, e a esserne il portavoce, dovrà, torni egli o meno all’Eliseo, rimodulare le sue politiche interventiste, mentre l’attuale governo tedesco poggerà su basi talmente precarie che gli sarà impossibile prendere decisioni radicali sul tema dell’intervento in Ucraina.
Enrico Cipriani