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Eurovision: un maldestro esercizio di propaganda gender e no border

by La Redazione
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Roma, 19 mag – Come ogni anno la rassegna canora Eurovision si tiene nel Paese del vincitore dell’ultima edizione: grazie alla vittoria nella 63esima edizione di Netta Barzilai con il brano Toy, l’evento 2019 chiuso ieri si è tenuto in Israele, e per la precisione a Tel Aviv. E’ la terza volta che il Paese ospita il contest, dopo le edizioni del 1979 e del 1999.

Tra le polemiche che hanno caratterizzato l’edizione 2019, alcune sono state alimentate dal ritiro a sorpresa dell’artista ucraina. La televisione ufficiale del Paese est europeo ha infatti dichiarato lo scorso 27 febbraio la non partecipazione di artisti ucraini ad Eurovision Song Contest 2019: la cantante pop era stata selezionata dallo show televisivo Vidbir 2019, incaricato di selezionare il rappresentante per il contest canoro. Lo stesso show televisivo aveva imposto all’artista selezionata Anna Korsun, in arte Maruv, di siglare un accordo previsto nel contratto con l’emittente televisiva che le avrebbe impedito nei prossimi mesi di esibirsi nel Paese “aggressore”: stiamo ovviamente parlando della Russia.

Eurovision: un evento decadente

Al di là delle consuete polemiche cavalcate dalla stampa, il contest si sta svolgendo come ogni anno senza suscitare particolare interesse da parte della critica musicale internazionale. I brani si esprimono per lo più in una ricerca, anche talvolta decisamente poco riuscita e a tratti grottesca, del pop mainstream, nella sua accezione più insignificante e disanimata, con una predilezione per sonorità che per natura incontrano il gusto musicale delle nazioni est europee: sono forse questi ultimi gli unici a concedere un minimo di attenzione ad un evento ormai decadente e privo di carattere artistico.

Solo le coreografie, estremamente accese e pacchiane, cercano di ravvivare e conferire sostanza allo show, distogliendo per un attimo l’attenzione del pubblico dalla mediocrità delle canzoni. Lo stile televisivo imposto dalla direzione artistica è sempre il medesimo: sottolineare in ogni spunto possibile di come nel mondo sia bene che non esistano confini geografici ed ideologici, oltre che barriere culturali che possano frenare la voglia di un mondo senza religione e senza identità: e così un ragazzo turco si trova a cantare per San Marino e un ragazzo svedese si esibisce nelle fila dell’Estonia.

Propaganda gender e no border

Il culmine della propaganda imposta in questa edizione del contest si esprime nell’ultimo artista intervenuto come ospite nella serata di martedì sera: Dana International, artista israeliana all’anagrafe Sharon Cohen, nata con il nome di Yaron Cohen. La cantante ha raggiunto la celebrità con la vittoria di Eurovision Contest 1998. Il successo di Dana International è tuttavia precedente a quella apparizione: il primo album del 1993 fu un notevole successo. Il 1993 fu inoltre l’anno nel quale Yaron decise di cambiare sesso, divenendo Sharon. L’esibizione della “International” a gara ultimata lo scorso martedì con alle spalle coreografia panoramica che invitava ad un mondo e ad un amore senza religione, senza razze e senza limiti, mentre la regia confezionava a ripetizione un susseguirsi di baci ed ammiccamenti prettamente omosessuali, racchiusi da un luccicante cuore rosso. Non possiamo che auspicare che il mondo senza regole formato Eurovision abbia il medesimo successo riscontrato ogni anno da questa manifestazione tra la critica musicale internazionale. Come risponderà il “nostro” Mahmood con la sua esibizione? Alcuni Paesi partecipanti potranno votare solamente nella serata nella quale l’artista nazionale si esibirà ed eventualmente nella finale. Perché Eurovision è liberal, democratico e senza limiti…di decenza.

Mario Morandi

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