Home » “Faccetta nera” sia l’inno del 25 aprile: la scena comica di Ariano Irpino

“Faccetta nera” sia l’inno del 25 aprile: la scena comica di Ariano Irpino

by Tony Fabrizio
0 commento
Faccetta nera Ariano irpino

Roma, 25 apr – La battaglia tra paradossi e cortocircuiti imbastiti ad hoc in occasione del 25 aprile aveva da tempo superato il limite dell’imbarazzo e l’ultima – solo in ordine cronologico, ne siamo certi – pagliacciata, arriva nientemeno che da Ariano (è proprio il nome del paese e non un buffo scherzo del destino) Irpino.

Il Faccetta nera di Ariano Irpino, uno spettacolo comico

Sul Tricolle avellinese, e più precisamente alla scuola media don Milani, è andato in scena un comico spettacolo che ha per co-protagonista un insegnante di educazione musicale, il quale, in occasione della Festa della liberazione, pare abbia chiesto ai suoi alunni di studiare (che brutta parola!) nientemeno che Giovinezza. Testo e musica. La “bomba” che è scoppiata, manco a dirlo, è stata peggio di quelle numerose “alleate” cadute anche sull’Irpinia, con il Preside protagonista della vicenda, che, alla stessa velocità di quelli che col fazzoletto rosso al collo montarono sul carro del vincitore l’indomani del 25 aprile, si erge a pasdaran e si spertica tra comunicati, ammonimenti e rassicurazioni ai genitori.
Innanzitutto uno scappellamento a sinistra in ossequio a quella Costituzione antifascista che proprio antifascista non è: i padri costituenti, che fessi non erano per essersi formati in tutt’altra scuola, si guardarono bene dal cancellare le innovazioni (mai apportate grazie ai sindacati) fasciste riguardanti le politiche del lavoro e quelle economiche. Segue, poi, un ammonimento con tanto di provvedimento disciplinare al professore incriminato, il quale, a detta del Preside raggiunto da Fanpage, è antifascista (per prima cosa) ed è un docente sui generis (solo poi) al quale piace farsi notare per le sue bizzarrie che presto finiranno perché è prossimo al pensionamento. E speriamo non sia un altro elemento costitutivo dell’essere un nostalgico. Come dire, meglio la patente di antifascista che la demenza senile!

Che poi proprio tale non è in quanto il brano è quantomeno contestualizzato e pertinente. Infine, la rassicurazione ai genitori sulla garanzia dell’antifascistitàhhh dell’istituto – così come dell’insegnante, ribadiamolo – con tanto di invito “urbi e stordi” al teatro comunale, dove verranno ricordati i valori antifascisti. Un’occasione persa per questo Preside che anziché intavolare un dibattito, un confronto preferisce “identitarissimi” censure e monologhi, senza contraddittorio, ovviamente. E che rinuncia persino a capire: sarebbe bastata, infatti, una semplicissima analisi del testo per comprendere che, paradossalmente rispetto al comune pensiero, Faccetta nera, in cui la politica è del tutto assente al pari di Bella ciao, è un mero inno all’integrazione.

Il significato del brano

Se si avesse una non media, ma elementare onestà intellettuale di leggere, si rischierebbe di capirebbe che nel brano ci si rivolge ad una “Moretta”, che dovrebbe essere anche un gran bel pezzo di ragazza (bell’abissina), alla quale si dà la possibilità di diventare italiana di colpo (altro che sòla dello ius soli!) dopo averla liberata (eh…) dalla schiavitù retrograda del negus, sarà condotta a Roma e, nella sua nuova condizione di cittadina libera, sfilerà al cospetto del Duce.
Se ci si aggrappasse a quella stessa onestà intellettuale anche nello studio, si correrebbe il rischio di apprende che Sua Eccellenza mal digeriva questo motivetto e che, nel corso degli anni, il MinCulPop tentò di limitarne la diffusione fino a eliminarlo completamente. Anzi, si creò persino un alter ego con Faccetta bianca in cui le mogli richiamavano “all’ordine” i mariti conquistadores, ma non ebbe la stessa fortuna della versione “di colore”. Chissà perché.
Quella stessa onestà intellettuale che non faticherebbe a far ammettere lo stato di conservazione di strade, palazzi, condotte idriche, ponti e infrastrutture in genere ancora oggi funzionanti in quel posto al sole, dove ci si recò per fare la guerra alle democrazie coloniali e si finì per portare la civilità.

Basti pensare che alle genti locali era in uso salutare romanamente proprio perché avevano acquisito la condizione di cittadini liberi e non più con il servile inchino verso terra. Che occasione mancata per questo Preside sempre più manager e sempre meno insegnante, formatore, questa volta nemmeno con la maschera di avvocato, ma con quella di un azzeccagarbugli di basso rango per dimostrare (almeno) la corretta interpretazione delle fonti, la ricerca retta e veritiera, l’essere veramente un uomo libero, dal pensiero all’azione. Per riflettere sull’accanimento dei festeggiamenti per la fine di una guerra che si protrarrà almeno fino al 2 di maggio, su un armistizio che in realtà fu una essa incondizionata e per una liberazione che ha sancito nient’altro che le chiavi di casa nostra ad una potenza straniera. Perché per dignità personale e professionale e affinché lo spettacolo continui la sola azione (e la soluzione) che andrebbe intrapresa sarebbe quella di intonare, con tanto di mani nei fianchi e con fiero petto in fuori, un bel coro di “Faccetta nera” vero inno all’integrazione. Scolastica e no. Magari anche insieme ai genitori presenti in platea.

Tony Fabrizio

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati