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Il fascismo e la lotta alla mafia (Parte II)

by Redazione
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Il prefetto Cesare Mori

Il prefetto Cesare Mori

Azione amministrativa e bonifica sociale

Una parte centrale nell’attacco alla mafia è la formulazione di una nuova, efficace ed incisiva normativa amministrativa (ancora oggi utile fonte di ispirazione) capace di prevenire le infiltrazioni e combattere la criminalità in ogni aspetto. D’altronde già prefetti e funzionari ritenuti compromessi sono stati allontanati senza troppi riguardi. Le prime ordinanze emesse da Mori sottopongono a controllo prefettizio l’attività dei portieri, dei custodi di case private e alberghi, dei garagisti e dei tassisti, tutte attività egemonizzate dalla mafia. In secondo luogo vengono sottoposte allo stesso trattamento le attività di guardiano, curatelo, vetturale, campiere, vincolate inoltre all’obbligo di domicilio nei luoghi dove tali attività vengono esercitate. Le secolari piaghe dell’abigeato e della gabella, tradizionali canali di “mediazione” tra mafia e lavoratori, sono colpite a morte dalla legislazione fascista. Viene istituita una commissione di difesa contro l’abigeato che impone la marchiatura dei bovini mentre la figura del gabellotto viene definitivamente eliminata nel 1927. Tricoli riporta come esempio che «nel giro di pochi mesi, nella sola provincia di Palermo potevano essere liberati dai gabellati mafiosi ben 320 fondi, per una superficie complessiva di 280. 000 ettari. La mafia veniva così vulnerata gravemente nel suo braccio armato economico più consistente».

In più, tutte le famiglie dei latitanti sono obbligate a dimostrare la liceità del possesso del denaro, degli oggetti e dei beni di cui godono, pena l’immediata confisca. L’azione giudiziaria è possibile grazie all’inflessibilità di diversi magistrati, i cui nomi più rilevanti meritano di essere riportati: l’avvocato generale Scaduto, Ferdinando Umberto De Biasi, Luigi Malaguti e Luigi Giampietro. Memorabili sono i loro “processoni” (1928 e 1929) in cui intere schiere di malviventi vengono incarcerati o confinati, senza tanti riguardi per il garantismo formale. La concezione globale del fenomeno mafioso quale “associazione a delinquere” anticipa il dibattito dei decenni successivi. Per Tricoli l’interpretazione innovativa del fenomeno da parte dei fascisti «dimostra, anche in questo caso, la modernità della ricerca, se sessanta anni dopo i magistrati palermitani impegnati nello svelare le dimensioni del fenomeno mafioso degli anni ’70, sono pervenuti alle stesse conclusioni con la individuazione della cosiddetta cupola». Non vengono colpiti solo la manovalanza e i “tentacoli” dell’organizzazione, ma anche molti rispettabili “galantuomini” e “colletti bianchi”, riportati nello specifico da Tricoli: «Da Ciccio Cuccia a Santo Termini, sindaci di Piana dei Greci e di San Giuseppe Jato, da Francesco Badolato a Gaspare Tedeschi, sindaci di S. Cipirello e di Villafrati, dal commendatore Bongiorno, consigliere provinciale di Caltanissetta, a Vito Cascioferro di Bisacquino fino a Don Calò Vizzini e Genco Russo, futuri sindaci democristiani, nel postfascismo, di Villalba e Mussomelli» liquidati con «anni e anni di carcere e confino».

Come ricordato in precedenza, per il fascismo l’azione antimafia non vuole MORI CES.essere una semplice operazione di polizia, ma penetrare a fondo nelle coscienze della popolazione, come prevede la concezione di Stato Etico. L’offensiva psicologica, che ha un suo momento importante nella laurea honoris causa conferita a Mori nel 1928 dall’Università di Palermo tramite il Rettore Ercole e il Professor Salvatore Riccobono, nomi simbolo dello sforzo intellettuale alla base della lotta, si sprigiona nelle sagre popolari che esaltano il senso dello Stato e dell’onore in contrapposizione alla “tutela” mafiosa. Ci riferiamo, tra i molti esempi, alla Festa del Lavoro o alle feste contadine istituite dal regime, momenti di entusiasmo collettivo in cui la popolazione viene sollecitata a sviluppare un senso di comunità necessario alla costruzione dello stato nazionale e totalitario vagheggiato dal fascismo. Gli scatti d’orgoglio vengono premiati, in stridente contrapposizione col buonismo dei nostri giorni. Significativo l’esempio, descritto da Tricoli, della medaglia d’argento al valore civile conferita al contadino Vincenzo Marino, che aveva reagito con le armi a un tentativo di rapina, uccidendo un malfattore. Tra i mille esempi, ultimo ma non certo per importanza, il concorso per un premio da assegnare a libri e opere che meglio di altri avessero saputo sfatare i miti che circondano la mafia e l’omertà, rivolto in particolare ai giovani. (continua)

Francesco Carlesi

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Adriano Calabrese 19 Gennaio 2016 - 6:59

La situazione è diversa da allora, oggi non si può più parlare di stato contro mafia poichè quest’ultima dal 1945 è stata prima collaborazionista e poi parte integrante della nuova repubblica italiana.
Ormai le mafie sono multinazionali potentissime che nulla hanno a che vedere con i vecchi latifondisti e gli estortori degli esercenti palermitani.
L’errore è stato considerare le mafie come associazioni a delinquere senza capire che in realtà erano associazioni terroristiche miranti a diventare parte delle istituzioni e dei poteri forti economici.

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