Quando è il creatore di un’opera a scriverne il seguito, questo normalmente è segno di continuità e garanzia per il lavoro. Tuttavia Fight Club 2, concentrandosi sui tratti più marcatamente grotteschi e eccedendo con la metanarrativa, perde la carica innovativa e dirompente che ha fatto dell’originale un’icona generazionale. I personaggi appaiono come decisamente improbabili, i toni sono molto più leggeri, a tratti quasi ridicoli ed è lo stesso Palahniuk a confermarlo quando ammette in un’intervista che Fight Club 2 è “nato per scherzo“. La critica dissacrante della società consumistica, la denuncia dell’alienazione, la perdita della virilità sono tutti temi che questo sequel riprende dall’originale, ma assumono i contorni della parodia e dell’autoreferenzialità piuttosto che del messaggio nichilista emancipante.
Dopo dieci anni “Io fotto chi tu vuoi fottere”, “Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”, “Non puoi insegnare nulla agli dei” sono diventate dei meme da social, delle banalità da utilizzare nelle conversazioni, dei tatuaggi che chiunque può esibire, come Tyler Durden, in una vignetta, ricorda a Palahniuk, egli stesso protagonista del fumetto come membro di un gruppo di scrittori che discute passo passo l’avanzamento della sceneggiatura.
Fight Club 2 parla soprattutto di questo, ovverosia del rapporto tra Chuck Palahniuk e Tyler Durden, di come Tyler Durden sia diventato “un virus”, un’idea ormai assunta a immaginario collettivo, e di quanto diventi complicato conciliare la volontà creativa dello scrittore con le aspettative del pubblico che sente il personaggio suo tanto se non più di quanto lo sia per l’autore. Solo il pubblico conosce il bene per il futuro narrativo di Tyler, solo il pubblico sa come dovrebbe o non dovrebbe andare a finire la storia. Ecco quindi che nelle pagine finali di questa miniserie Chuck Palahniuk tenta di chiudere il racconto in un certo modo, ma riceve le proteste infuriate dei lettori che pretendono ed ottengono il cambiamento del finale.
Tyler Durden non è più una proprietà dello scrittore, ma ha vita propria, “le idee sono reali, noi no”. Chuck vorrebbe anche sbarazzarsene, ma non può, perché il pubblico non vuole. Tyler vive. Palahniuk muore. Il pubblico è in visibilio. “Tutto è una copia di una copia di una copia” e così facendo anche Fight Club è diventato, con questo sequel, la copia di sé stesso.
Francesco Corrieri
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Forse l’unica recensione (insieme a questa: https://www.cocooa.com/fight-club-2-di-chuck-palahniuk/ )
degna di questo nome.
Quelle dei siti specializzati (in fumetti) si sono persi che la forza di FC 1 era la carca dirompente, la violenza espressiva e i personaggi per cui partegggi e non parteggi non le caricature o le metanarrazioni.