Roma, 2 apr – Il movimento futurista fondato da Marinetti ha di certo innovato l’alea ribelle dei giovani dei primi del novecento: armati intellettualmente delle loro crime faviche che, di quel che se ne dica, albeggiano tuttora nello spirito conservatore dei giovani condottieri di oggi. Liberi da pregiudizi e riconoscenti alla storia, fatta di battaglie colorite al cui grido propagandistico risposero con tono succinto. Durante i primi anni del regime, l’arte ed il manifesto pubblicitario non furono espressione della politica fascista ma del movimento futurista. Il fascismo consentì una certa pluralità di ricerca nel campo artistico, permettendo la pacifica coesistenza di tendenze varie e sperimentazioni ardite. Questo non vuol dire che non esistesse un’arte al servizio del regime. Nel settore pubblicitario vi erano cartellonisti politicizzati come Gino Boccasile, ma anche artisti liberi di seguire il proprio estro.
Di questi Fortunato Depero fu l’artista futurista che maggiormente lasciò il segno nella pubblicità, grazie ai manifesti realizzati per la Campari. In virtù di questa collaborazione anche i grandi industriali iniziarono a comprendere l’importanza del cartellone pubblicitario e la sua straordinaria capacità di persuasione.
Fortunato Depero, vuoi per convinzione o per connivenza, abbracciò il regime per “fame”. Le opere richieste furono propagandistiche e decorative. Nei primi mesi del 1943, quando i soldati italiani vengono cacciati dall’Africa, si assiste alla tragica ritirata degli alpini in Russia e gli Alleati sbarcano in Sicilia, Depero pubblica il libro “A passo romano”. Vi si possono leggere passi come questi: “Avanti, ciechi e senza arti, feriti e agonizzanti, morti e vivi: avanti tutti per la patria, concatenati e inchiavardati in un unico blocco. I pezzi spezzati si ricambiano. Avanti tutti a marciare a passo romano come se l’acciottolato fosse composto di crani nemici, come se ad ogni passo si dovesse schiacciare con il piede sinistro la testa di un inglese, con quello destro la testa di un bolscevico. Uno due – gran gran, uno due gran gran”.
Controverso nel suo fare ed altrettanto albeggiante nel linguaggio: l’opera sentenzia un grido di dolore per le perdite consistenti ma al contempo si cela dietro un menefreghismo che, di punto in bianco, mostra la vera essenza pittoresca del Depero. Fanatismo letterario, inteso quale contrapposizione a quello che era stato fino ad allora il suo fare: uno degli artisti che più di ogni altro aveva influenzato l’illustrazione e la comunicazione visiva di allora; il Futurista geniale e gioioso quale lui era. Il grido sovversivo non gli si addiceva affatto. Futurista nell’animo, ebbe una concezione rivoluzionaria dell’arte: non sopportava l’idea che restasse chiusa in gallerie e musei, ma che avesse una sua utilità, un suo vasto mercato e soprattutto che potesse entrare nella vita quotidiana di quanta più gente possibile.
Davide Rabito
Il futurismo e la pubblicità come arte: Fortunato Depero
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