Roma, 23 mar – I giovani italiani diventano autonomi, economicamente, a 40 anni. Era 30 la già non invidiabile soglia per un giovane del 2004, salirà a quasi 50 nel 2030. Sono questi i risultati di uno studio firmato dalla Fondazione Visentini, che traccia un quadro a tinte fosche sul delicato tema dell’equità intergenerazionale in Italia.
Nella ricerca, presentata ieri all’università Luiss, si segnala come il nostro paese sia “penultimo in Europa per equità intergenerazionale, facendo meglio solo della Grecia”, con costi a carico la collettività che si aggirano attorno ai 32 miliardi (oltre il 2% del Pil) per il mantenimento dei Neet, vale a dire coloro fra i 15 e i 29 anni che né studiano né lavorano, la cui incidenza sul totale dei giovani è salita vertiginosamente nel corso degli ultimi anni.
La soluzione? Secondo i ricercatori del centro studi, va ricercata in una maggiore solidarietà da richiedere nei confronti delle precedenti generazioni. “Sarebbe necessario – si legge – un patto tra generazioni con un contributo da parte dei pensionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche con un intervento progressivo sia rispetto alla capacità contributiva, sia ai contributi versati”. E ancora: “Serve una rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale, con un contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose”.
Un esproprio in piena regola, quello proposto dalla Fondazione, che lo definisce “doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico”. Un trittico di giustificazioni per dire cosa? Che se non riusciamo ad assicurare un futuro ai nostri giovani, questo è colpa dei ‘vecchi’, i quali devono dunque pagare. L’assunto di fondo è quello classico: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, non ce lo siamo potuti permettere ed ora l’irresponsabilità dei nostri nonni e dei nostri genitori ricade sui loro nipoti e sui loro figli.
Che poi, è davvero così? Guardiamo i numeri: la crescita economica nella quale sono maturati i tanto vituperati ‘diritti acquisiti’ fra anni ’70, ’80 e parte anche del decennio successivo era una crescita sana, solida, robusta. Con numeri tre o quattro volte tanto gli attuali e che ha permesso all’Italia di segnare record su record, basti pensare al raggiungimento dei primissimi posti come potenza industriale del mondo. I nostri nonni e i nostri genitori, se è lecito usare un francesismo, si sono fatti un mazzo al quadrato. E ciò che si son costruiti, a partire dalla loro pensione, hanno il pieno non diritto ma dovere di goderselo. Anche perché, di grazia, che bisognerebbe fare? Travasare qualche centinaio di euro da queste per….cosa? Per buttarli nel calderone della spesa pubblica e quindi fargli fare la fine dei tagli imposti dall’Ue? Ma lo sanno alla Visentini che è solo grazie a queste pensioni (che non sono pensioni d’oro se non in rarissimi casi) e al risparmio accumulato negli anni se i giovani senza lavoro riescono ancora a campare?
Se proprio, il vero problema è un altro e su un piano del tutto diverso. Stretta fra austerità e svalutazione interna per salvare l’eurozona, l’Italia non sa più crescere e, senza sviluppo, non sarà una mancetta (e rientra in questo anche l’assurda idea del reddito di cittadinanza) distribuita senza criterio a risollevare le sorti della nazione. Poi certo, le soluzioni demagogiche sono sempre a portata di mano. Ma la scelta di scaricare le colpe non aiuterà a spostare di un millimetro il nocciolo della questione.
Filippo Burla
2 comments
La verità è che anche i giovani di oggi si fanno il culo, ma guadagnano la metà dei loro genitori venti anni fa, a causa del nuovo regime economico.
Non sono tutti uguali. Io ho mia figlia, di quasi trent’anni, che è andata via di casa a 18 anni, all’inizio per studi universitari, in seguito per lavoro e non un lavoro professionale, bensì umile, nonostante gli studi. Ma è sua scelta e va bene così, anzi, sono fiera di lei, io non sarei stata capace, ammetto con sincerità, noi eravamo più viziati