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Da Gramsci ad Altaforte: il cambio di “colore” della cultura nuova?

by La Redazione
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Roma, 9 giu – Cento anni fa nacque l’idea di creare una “cultura nuova”, una cultura finalmente svincolata dal potere borghese e fruibile al popolo. Il segretario del Partito Comunista aveva teorizzato che questa “rivoluzione di pensiero” avrebbe portato ad un’altra rivoluzione, ben più concreta.

Cultura ed egemonia

Gramsci capì che la borghesia aveva utilizzato per anni la cultura per imporre il proprio potere. Così è stato, considerato quanto dopo il ’45 l’editoria e il giornalismo di sinistra abbiano sempre più monopolizzato il mondo dell’informazione, eccezion fatta per Mediaset, anche se quest’ultima ha scelto sempre di non “osare”, seguendo una linea editoriale analoga a quella degli altri media.

Tuttora, infatti, il giornalismo è in gran parte di proprietà del gruppo GEDI di De Benedetti, “tessera numero 1 del PD”: oltre a La Repubblica e L’Espresso sono in mano al medesimo gruppo anche La Stampa, Il Secolo XIX e un numero enorme di giornali locali. Fa sorridere che ora il monopolio della cultura di sinistra sia comandato proprio dalla borghesia e dalla legge del capitale ma d’altronde la storia è strana e la sinistra “alla Gramsci” è morta da tempo.

Altaforte spiazza

Ma al Salone del Libro si è inceppato un meccanismo: nonostante case editrici vicine alla destra radicale siano da sempre presenti alla kermesse torinese (che in passato ha visto anche la presenza di Edizioni di Ar di Franco Freda), mai prima d’ora vi era stato un subbuglio simile come per lo stand di Altaforte – che prende il nome da un Cantos omonimo di Ezra Pound nel quale il poeta statunitense esalta lo spirito guerriero.

In un momento in cui le librerie chiudono e i giornali cartacei soffrono, questa casa editrice apre librerie e collabora con Il Primato Nazionale che, partito da una pagina online, aggiunge alla programmazione anche un mensile cartaceo.

E questo diventa un problema serio per gli “egemoni”. A fronte di un’alternativa sostenuta da una base militante che al contrario di altre realtà non sembra soffrire la crisi, subito parte la levata di scudi da parte degli antifascisti, dagli amici dei centri sociali (Zerocalcare in testa) all’Anpi, passando per Repubblica, Michela Murgia e il M5S: una difesa isterica di chi si è reso conto che c’è qualcosa che non va ma non è disposto a fare dietrofront, non è disposto a capire che la loro proposta culturale ormai è a dir poco imbarazzante e relegata ai propri circoletti radical chic. Sanno bene che non sarebbero in grado di reggere un confronto, e quindi chiudono al dialogo, scatenando una vera e propria censura che di fatto proietta in uno scenario degno del capolavoro cinematografico Fahrenheit 451.

E non si utilizzi a sproposito il “Paradosso della tolleranza” di Karl Popper, secondo il quale gli intolleranti non hanno diritto di parola perché le loro idee, se applicate, portano all’eliminazione della libertà di espressione di tutti. Fra i testi di Altaforte infatti la maggioranza dei testi tratta argomenti di stretta attualità: si parla di immigrazione, economia, sovranità, franco CFA ed è presente anche un romanzo noir. Viene dato spazio al fascismo nel senso di studio del fenomeno, di approfondimento storico-politico esattamente come avviene nei libri di qualsiasi editore. Nel catalogo online di Feltrinelli d’altronde appare il Mein Kampf in numerose edizioni diverse: pecunia non olet.

Nonostante amino ripetere che “il fascismo si cura leggendo” e “la cultura uccide i fascisti”, il caso di Altaforte ha dimostrato che la cultura fa, e farà, male a ben altri.

Libero de Rosa

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