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Gualtieri e la cancel culture: l’attacco alle strade “colonialiste”

by Sergio Filacchioni
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cancel culture

Roma, 6 ott – Si è discussa oggi in assemblea capitolina una mozione – firmata dal consigliere di Roma Futura, Tiziana Biolghini, e da altre figure della maggioranza – che intende modificare le vie di Roma che sono intitolate all’esperienza coloniale italiana in Africa: da via dell’Amba Aradam a via Tripoli, da piazza Addis Abeba a largo Ascianghi, sono quasi 140 le strade che caratterizzano la Capitale e che vorrebbero essere manomesse da questa cancel culture alla romana.

Cancel culture

“Furono stragi, bisogna scriverlo sulle targhe”, si legge così nell’appello che a giugno è stato scritto da una decina di storici, giornalisti, docenti universitari ed esponenti politici del territorio che invece di essere buttata nel cestino, è diventata una mozione in assemblea capitolina, guarda caso proprio pochi giorni dopo la tornata elettorale nazionale. Come si legge nell’appello “oggi è impossibile continuare a vedere statue, monumenti o vie intrise di storia coloniale in modo innocente, acritico – scrivono Silvano Falocco, Carlo Boumis, Emanuele Ertola, Tezeta Abraham e Marco Gisotti -. Un primo intervento ha portato il consiglio, il 4 agosto 2020, ad approvare una mozione per intitolare la fermata della Metro C non all’Amba Aradam, luogo della celebre battaglia e nome della Via su cui poggia la fermata (ancora incompiuta), ma – udite udite – a Giorgio Marincola, partigiano nato in Somalia e legato al Partito d’Azione che fu ucciso in Val di Fiemme nel maggio del 1945. “Un intervento provvidenziale ma che deve essere solo l’inizio di un lungo percorso di ripensamento sulla nostra città”, hanno concluso gli intellettuali per niente ideologizzati.

La mozione

“L’atto nasce da un dibattito che c’è stato in Città Metropolitana – racconta a RomaToday la Biolghini – insieme a cittadini, storici e altre personalità e intellettuali. È stata protocollata quasi 4 mesi fa, quindi chi sostiene che sia una reazione di qualche genere alla vittoria di Giorgia Meloni alle recenti elezioni sbaglia. Non vogliamo cancellare e sostituire, ma aggiungere alcune righe in ogni strada per spiegare ciò che è successo, quante persone sono morte in quelle battaglie, stragi e violenze. Dobbiamo poter camminare per Roma riconoscendo e conoscendo le vie e le piazze e vogliamo stimolare un dibattito vero sulla Storia”. Le anime pie della cancel culture, cosa faremmo senza di loro? Ma l’arroganza di spinge oltre: proprio per ravvivare il ricordo di questi eccidi, nella mozione della maggioranza di centrosinistra si chiede anche l’istituzione di una “Giornata della memoria per le vittime del colonialismo italiano” da celebrare il 19 febbraio. Una cosa di cui nessuno sentiva il bisogno.

La storia

Quello che ovviamente vediamo è la solita tarantella della memoria a senso unico: se le altre nazioni europee (vincitrici della Seconda guerra mondiale) possono ancora poggiare la loro storia (ed economia) sull’esperienza coloniale, gli italiani devono dimenticarsela, cancellarla e farla a pezzi con una morale colpevolizzante. La mozione ovviamente è mossa dal solito antifascismo culturale, ai quali rispondere con la storia non basta più. La guerra d’Etiopia  (1935-36) è  nota per l’impiego di armi e metodi vietati dalla Convenzione di Ginevra. Gli abissini utilizzarono le micidiali pallottole dum-dum ed erano soliti evirare i prigionieri bianchi e neri – gli ascari – mentre gli italiani utilizzarono i gas. È la guerra… ma non è questo che oggi ci preme raccontare, i fatti poc’anzi citati sono già noti e ben documentati. Perché dovremmo scusarci o cancellarli dalla memoria? Soprattutto, perché ora? Dopotutto quelle vie sono sopravvissute a stagioni ben più calde della nostra politica, è veramente utile smuovere questo polverone? Ma se proprio dobbiamo stabilire i giusti pesi e misure, andrebbe ricordato anche quello che l’Italia ha portato al suo Impero, come per esempio l’abolizione della schiavitù.

La fine della schiavitù

Nel 1933, venne pubblicato il volume “Slavery”, opera di Lady Katleen Simon. Vi si legge: L’Etiopia è la regione più arretrata del mondo e colà il problema della schiavitù è urgente: sono esseri umani che divengono una semplice proprietà, proprietà che può essere torturata e venduta sul mercato al miglior offerente; si tratta di mogli vendute, separate dai mariti e viceversa; di madri strappate via dai loro figli che divengono proprietà di un altro. Insomma la schiavitù non riconosce neanche la maternità o la paternità e sancisce il diritto di spezzare le famiglie per ragioni di mercato”. Il 3 ottobre 1935 l’Italia inizia la conquista dell’Etiopia. Dall’Eritrea il Generale De Bono varca il fiume Mareb e in pochi giorni conquista la regione del Tigrè. Giunto ad Adua, il 14 ottobre 1935, promulgò il primo bando per la soppressione della schiavitù. Il 16 novembre Mussolini sostituisce De Bono con Badoglio. La conquista dell’Etiopia continua fino al 5 maggio con la presa di Addis Abeba: “Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba”. Il bando del generale De Bono però non fu l’unico, infatti l’Italia aveva già abolito la schiavitù in Somalia anni prima. Fu il primo nell’Etiopia liberata e quindi il più noto. Ma man mano che l’avanzata delle truppe italiane procedeva le diverse regioni dell’Impero etiopico venivano liberate da quello “stato primitivo di barbarie feudale simile a quello dell’Inghilterra del 1066”.

Dettagli?

Questo ovviamente gli intellettuali e docenti universitari non lo scriveranno mai nelle loro lettere. Il diavolo sta nei dettagli, ma quello che sfugge a questi cervelloni che vorrebbero catechizzare tutti quanti è che per quanto possa essere da loro odiata, l’esperienza coloniale italiana fu ricca di civiltà e non di oppressione. Quella che vogliono far sparire è un’altra idea d’Italia: un’Italia che si assume la responsabilità della grandezza e quella di essere guida delle nazioni civili. Le anime belle della cancel culture ad orologeria dovrebbero riporre nei cassetti le loro lauree ed andare a lavorare da qualche caporale di una qualsiasi cooperativa rossa sparsa in giro nella nostra penisola: lì troveranno gli stessi schiavi che l’Italia fascista aveva fatto sparire.

Sergio Filacchioni

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3 comments

Daniele 10 Ottobre 2022 - 11:57

Scriviamo allora due righe anche su cosa ha fatto il signor Togliatti, a cui a Roma è dedicata una via.

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fabio crociato 11 Ottobre 2022 - 3:29

Vie degli Ignoranti, no davvero ?!
A Milano c’è via degli Umiliati da visitarsi a tutte le ore per capire in che c. di mondo viviamo per colpa di Ignoranti che non hanno nemmeno una via. Peccato…

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Incendi e auto in fiamme. Il capodanno romano non delude mai - 1 Gennaio 2023 - 10:31

[…] Insomma, a quanto pare dell’ordinanza che vietava l’uso di materiale pirotecnico “casalingo” fino al 6 gennaio non è fregato niente a nessuno. Perfino nelle zone più chic della Roma notturna come Trastevere i carabinieri e i pompieri sono intervenuti tutta la notte per sedare incendi a cassonetti, auto e persino monopattini. Nessuna zona della città si è risparmiata, ed almeno a noi fa tirare un sospiro di sollievo: i romani – per quanto pericolosamente – sono ancora immuni da ordinanze sceme e restrizioni da Ztl champagne. Questa è Roma, a Capodanno “se fa” il fuoco. Soprattutto se fa un dispetto a Gualtieri. […]

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