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L’insostenibile imbecillità del “Decido io” quando si parla di natalità

by Sergio Filacchioni
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Decido io

Roma, 9 mag – Il Ministro della Famiglia Eugenia Roccella è stata fortemente contestata durante gli Stati Generali della Natalità organizzati oggi a Roma: durante il suo intervento, un gruppo di studenti in platea ha rumoreggiato ed esposto dei cartelli che formavano la fatidica scritta: “Sul corpo mio decido io”.

Decido io e altre insostenibili bugie

La Roccella ha abbandonato poi il convegno convinta che la contestazione non fosse diretta a lei ma al tema stesso del panel ovvero la Natalità. Oltre però le solite parole di convenienza in questi casi sulla “censura” – ogni contestazione fa parte di una dialettica di lotta che la destra dovrebbe recuperare – possiamo spendere qualche parola proprio su quello slogan che viene adoperato. “È stata una manifestazione pacifica, non abbiamo fatto nulla di aggressivo. Volevamo solo fare rumore, dire la nostra, perché sul nostro corpo decidiamo noi”. “Nessuno ci ascolta“. Queste sono le dichiarazioni rilasciate dalle studentesse del collettivo transfemminista di un liceo romano Aracne. Se il “nessuno ci ascolta” è un evidente paraculata, dal momento che qualsiasi cosa vomitino questi collettivi è riportato all’ennesima potenza è proprio il “decido io” che lascia perplessi. Nessuno in Italia e nel mondo obbliga qualcuno a fare figli. Va detto ad onore del vero. Anzi, di solito quando succede succede proprio il contrario: in Cina con la programmazione delle nascite o in Africa quando alle ragazze vengono mutilate le aree genitali a scopo religioso. Il discorso della Natalità viene così sempre abbassato al livello del capriccio e l’infante ad oggetto di un desiderio intestinale che oggi ci può essere e domani no. Purtroppo, o per fortuna non è così. Recuperare una dimensione conflittuale con questo mondo significa capire che oggi la demografia è una necessità politica – vogliamo dire arma? diciamolo pure – per tutte le Nazioni che non intendono scomparire di fronte alla storia. Quanto ha stancato quindi questa retorica sessantottina priva di visione globale e storica sul proprio popolo? Cosa c’è di più individualista? Nulla. ora, non ci aspettiamo mica che un collettivo Aracne qualsiasi (mi viene in mente un nugolo di ragnetti rossi sul mio davanzale) capisca il valore di comunità e popolo: la sinistra ha abbandonato da tempo quei lidi. Lo devono capire le classi dirigenti che hanno a cuore un progetto storico per l’Italia che non sia finire fritti come ragnetti sotto la lente d’ingrandimento della storia.

La famiglia, oppure la gens?

Del resto dagli “stati generali” alla “famiglia” il concetto anche a destra è così tanto annacquato di retorica borghese dal renderlo altrettanto insopportabile. Cosa deve essere una famiglia? Uomini e donne sotto lo stesso tetto a caso o un clan, una gens, una stirpe che decide di essere? Risulta importante ai fini di una battaglia di così amplia portata spaziale e temporale recuperare la “dimensione” e la “profondità” delle parole, che trasmettono anche una certa idea di forza, sulle quali è possibile costruire una via alternativa che rimetta al centro il “dovere” di un popolo di perdurare nel tempo oltre le flatulenze storiche, per poter permettere ai progetti di oggi di maturare ed evolvere oltre la prossima tornata elettorale. Ogni egoismo – anche quella di avere un figlio per forza, badate bene – che mette al centro il desiderio effimero di un bambino come un oggetto va combattuta. Il bambino oggetto è tanto quello venuto dall’Albania con un “utero d’oro” quanto quello concepito per forza di consuetudine o per desiderio di avere “compagnia”. Le famiglie erano rovinate già prima dei transfemministi… Necessità nuova è quella sì di porre la volontà al centro di questo processo – una volontà creatrice, costruttiva e comunitaria – ma di porla come volontà pluralistica nel senso che coinvolga tutta le dimensioni dello stare insieme in comunità, dagli antenati ai futuri figli, senza egoismi ma con uno scopo: al decido io si opponga un “decidiamo noi“. Decidiamo noi. Perchè lo sforzo di una coppia è lo sforzo di tutti e lo sforzo di una Nazione di sostenere le coppie sulla via della stirpe è una volontà politica, sociale ed economica che finalmente si proietta in avanti senza “perdere la testa” appresso agli Stati Generali (se avete colto la reference). I popoli che smettono di pensarsi come popolo storico, venuto da lontano e ancora vivo, perdono la dimensione propriamente umana: quella del divenire ciò che si è. Poi si diventerà qualcos’altro, ma non è detto che potrà piacerci. Non è detto che saremo noi a decidere.

Sergio Filacchioni

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