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Guy Ritchie trasforma King Arthur in The Snatch (e ci riesce)

by Carlomanno Adinolfi
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King Arthur The SnatchRoma, 19 mag – Partiamo da un presupposto basilare ma necessario: il film definitivo e assoluto sulla saga arturiana già esiste ed è l’Excalibur del 1981 di John Boorman. Partendo da questa premessa su cui è obbligatorio basarsi per continuare ogni altra discussione, si vivrà felicemente consapevoli e rassegnati del fatto che è impossibile aspettarsi altri film arturiani di tale portata mitica, simbolica, poetica ed epica proprio perché sono i limiti umani a impedirlo. Eppure ogni appassionato della saga che si rispetti ha quel mix di aspettativa e profondissimo timore ogni volta che esce un film sull’argomento. In realtà al “nerd” arturiano spesso basterebbe vedere anche solo un bel film sul tema, cosa che però troppo raramente accade. Tolto il King Arthur di Fuqua, che pretendeva di essere una ricostruzione storica del mito – e già questo è un grave errore – per poi finire per prendere degli sfondoni storici da terza elementare, ma che ha comunque consegnato un film bellissimo con aspetti epici ed eroici rarissimi che lo avvicinano quasi – sottolineo quasi – a mostri sacri come Braveheart e L’Ultimo Samurai, finora il cinema arturiano ci ha consegnato dei grandissimi bidoni. Dal melenso e patetico Il Primo Cavaliere con un più che improbabile Richard Gere come Lancillotto, seppur accanto a un probabilissimo Sean Connery come Artù, fino al grottesco e ridicolo L’Ultima Legione, pessima trasposizione del romanzo di V.M. Manfredi, passando per altri film di serie b, film pseudo comici, film in costume di latta e calzamaglia e altre amenità simili sicuramente il filone arturiano ha avuto poche fortune.

Ma arriviamo all’ultimo lavoro di Guy Ritchie, King Arthur: The Power of the Sword che nelle idee del regista dovrebbe essere il primo capitolo di una esalogia. In molti avranno pensato: che paura, sarà praticamente The Snatch ambientato a Camelot. Ed in effetti è proprio così, con tutti i suoi pro e contro. Ma andiamo con ordine. Guy Ritchie è uno di quei mostri che ogni volta che fa un film (quasi ogni volta, ha fatto anche Revolver…) Hollywood dovrebbe rassegnarsi e consegnargli la statuetta per la regia annullando qualunque tipo di competizione inutile. Dialoghi, montaggio, sequenze, slow motion mirati, flashback e flash forward “doppiati” e a scatti che ricordano proprio i precedenti capolavori di Ritchie sono una gioia per occhi e orecchie. Anche l’idea di fare del giovane Artù un “boss” di una gang giovanile dei sobborghi di Londinium è obiettivamente geniale, anche se fa storcere il naso ai puristi del mito – tra cui chi scrive, sottolineo. Vedere la Londra di Lock & Stock e The Snatch trasformata in una metropoli di capanne medievali che si accatastano sulle rovine di monumenti colossali dell’Impero Romano, abitata da ladri e geni della truffa e del racket tipici dei film “criminali” britannici, con tanto di nick-names e tratti fisici caratterizzanti e che scappano o aggirano i bobbies in armatura (occhio anche al cameo divertente e geniale di David Beckham) è fantastico e a dir poco originale. Anche se ovviamente porta a storture anche grottesche e ridicole, come la trasposizione tout court della multietnicità londinese in un contesto proto medievale che ci fa assistere quasi con un sorriso rassegnato a un capo dell’esercito lealista africano, a un Tristano maghrebino passando addirittura per un cinese che addestra al kung fu i popolani di periferia. Anche la scelta dei costumi è a dir poco “ardita”, con una riproposizione in chiave medievale di abiti moderni: il Vortigern “fighetto” in camicia bianca e pantaloni e scarpe scure eleganti, Artù praticamente in jeans e parka, “popolani” con zuccotto di lana che sembrano usciti dalle gang cockney ma che comunque vengono rivisitati sembrando volutamente delle forzature che tuttavia non stonano.

Ma nonostante qualche inciampo sulla seconda parte l’idea del film funziona, anche perché il contesto brit-pop alla Ritchie è calato in un mondo dark-fantasy che ha davvero pochi precedenti e che scardina i precedenti cliché del genere che erano ancorati o a brutte copie del Signore degli Anelli o a brutte copie di qualcosa di già brutto come nella serie tv Merlin. La Camelot onirica e megalitica che a tratti ricorda la capitale di Tulsadoom di Conan il Barbaro, la Torre del Mago che richiama il Tor di Glastonbury ma anche una Torre dell’Elefante howardiana, i mostri oscuri, terribili e giganteschi che provengono dalla “Terra delle Ombre” da cui proviene il popolo magico, fino ad arrivare alla perfetta, meravigliosa e accecante trasposizione a video del Death Dealer di Frazetta danno al film quel quid in più che riesce a dare un tocco di classicità all’idea originale ma che così facendo lo rende paradossalmente ancora più originale. La fusione tra la Londra di Ritchie e il contesto arturiano è poi mixata in maniera magistrale da Daniel Pemberton, compositore della colonna sonora che crea tracce bellissime che uniscono il neo folk ritmato dalle arie irlandesi – in questo ricorda molto le musiche dello Sherlock Holmes sempre di Ritchie – a musiche della tradizione celtica sapientemente riproposte in chiave moderna. Come dicevamo il tutto regge e funziona e consegna un film a dir poco visionario e originale che può piacere anche ai “nerd” arturiani, pur con tutte le sue storture e i suoi limiti. Limiti che purtroppo si palesano nella seconda parte del film dove il tutto è troppo forzatamente incentrato sulla resistenza lealista contro il tiranno Vortigern e che sembra troppo schiacciato sul cliché da Robin Hood, con la lotta clandestina contro i cattivi oppressori su cui c’è una spiccata reductio ad Hilterum (armature nere, aquile spiegate negli stendardi, saluti romani, elmi romani, tutto esteticamente bellissimo) ma che non ingrana come invece aveva ingranato la prima parte del film in cui l’alchimia tra il dark-fantasy e il contesto londinese funziona egregiamente.

Anche la risoluzione finale del conflitto – tolto il duello finale che farà scuola – è molto forzato e non gira come dovrebbe girare un momento chiave di un film del genere. Ma il voto finale resta comunque positivo e ampiamente sopra la sufficienza.
Nulla davvero da dire sugli attori del cast: Charlie Hunnam (Sons of Anarchy) oltre a soddisfare il pubblico femminile è convincente nella parte di Artù che gli ha costruito intorno Ritchie, Jude Law nella parte del tiranno Vortigern è a dir poco perfetto, tutto il cast di “comprimari” di Artù che va da Djimon Hounsou (Il Gladiatore, 12 anni schiavo, Blood Diamond) ad Aidan Gillen (il Ditocorto de Il Trono di Spade) fino ad Eric Bana (l’Ettore di Troy) nei panni di Uther è impeccabile, così come bravissimi sono gli attori “minori” che danno il volto alla compagine criminale dei sobborghi di Londra e ai crudeli bobbies medievali. Solo Àstrid Bergès-Frisbey nei panni della “Maga” deve forse essere rivista, mentre la bellissima e bravissima Annabelle Wallis (Peaky Blinders e prossima protagonista de La Mummia) ha purtroppo avuto un ruolo troppo marginale che l’ha limitata. Su un film del genere poi non ci si può esimere dal parlare della componente simbolica e mitica. Ovviamente da Guy Ritchie non ci si può aspettare un film esoterico ma da questo punto di vista non è tutto da buttare. Ovviamente stona il fatto che le figure di Uther e Artù vengano invertite: Uther è il re saggio, retto e giusto mentre Artù è il ribelle impulsivo, il che ovviamente è un cedimento ai cliché psicologici del mondo moderno. Ma ci sono comunque elementi molto interessanti: sorvolando sull’Artù salvato dalle acque che, conoscendo Ritchie, ha più radici nel Mosè biblico che nei divini gemelli di Roma, è molto interessante la questione della Terra delle Ombre del popolo dei Maghi.

Una terra invisibile, accessibile a pochi, abitata da esseri primordiali, il cui accesso è su un’isola galleggiante proprio come nel mito di Avalon, terra in cui si rifugiano gli antichi abitanti magici della Britannia, proprio come il “popolo fatato” dei Túatha Dé Danann delle leggende celtiche che molto hanno dato alla genesi del ciclo arturiano. Interessantissimo è il fatto che Artù, per poter essere Re Artù e per poter padroneggiare Excalibur, debba compiere una sorta di iniziazione in questo mondo incantato e primigenio, fatto che ricorda tanto il rito del Rex Nemorensis, memoria di una ancestrale iniziazione magico-regale, quanto il mito dell’iniziazione magica del mondo celtico in cui bisogna addentrarsi nella foresta e nel mondo del Re-Mago primordiale Cernunno, la cui simbologia è palese nelle corna usate proprio dal popolo dai Maghi. Anche l’apparizione di Excalibur è simbolicamente carica: la Spada “riaffiora” dalle acque primordiali e cariche di mostri ancestrali e caotici da cui Vortigern trae potere, come fossero le acque caotiche che sommergono il mistero atlantideo che invece riaffiora quando appare il Re. La stessa Spada, pur potendo sembrare troppo “forzata” nel suo potere magico che manda lampi e fa tremare la terra ricorda invece le armi folgoranti e divine di Zeus, Indra o Thor. Ma la cosa forse più interessante è il fatto che dal film traspaia il fatto che il Re per sconfiggere l’usurpatore e gli esseri che minacciano il retto Ordine Cosmico debba abbattere i suoi nemici sul piano magico prima e oltre che sul piano fisico, perché una vittoria solo sul piano “orizzontale” resterebbe del tutto monca e inutile.

Carlomanno Adinolfi

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5 comments

maximo 19 Maggio 2017 - 12:56

Fantastica recensione
devo dire che nonostante le pecche che hai citato mi hai fatto proprio venir voglia di andare a vederlo, infatti anch’io avevo molti dubbi su come Ritchie avrebbe interpretato l’argomento che e’ sempre stato tra I miei favoriti. Vorra’ dire che sorvolero’ sulle parti che stonano di piu’ , anche se Snatch mi era piaciuto assai vedo la situazione adattata a questi fatti, perche’ di fatti si tratta almeno per me,un po’ forzata…ma comunque lo vedro’presto.
Grazie Carlomanno
p.s. il tuo romanzo e’ una bomba 🙂

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Lorenzo 20 Maggio 2017 - 4:07

Non sono d’accordo con la recensione. L’idea del film a mio avviso non funziona perchè è troppo lontana dal filo del ciclo arturiano. Ritchie è andato troppo verso il fantasy. Se non fosse per il nome di un paio di personaggi e per il titolo del film, un ignaro spettatore che va a vedere il film non lo accosterebbe al ciclo arturiano.
In un’ipotetica classifica dei film legati al ciclo, beh io lo metterei fra i film di serie B.
Sono d’accordo che “Excalibur” del 1981 è un ottimo film, e che il King Arthur del 2004 non è riuscito a sfruttare l’ipotesi storica che sta dietro al film… detto ciò però si può ancora fare di meglio.

Tornando al King Arthur di Ritchie… lo giudico un fantasy accettabile (soprattutto la prima parte), ma molto al di sotto delle aspettative… pare sia già stato classificato come un flop… comunque vedremo come andrà al botteghino prossimamente.

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Mario 22 Maggio 2017 - 1:17

Assolutamente in disaccordo con la recensione del film che io reputo pessimo su tutti i punti di vista. Storia folle che non ricalca minimamente il mito,dialoghi pessimi quasi comici,contesto allucinante!il film più brutto che io abbia visto al cinema negli ultimi 5 anni

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Primula Nera 6 Settembre 2020 - 4:33

“Excalibur” di Boorman è uno dei capolavori assoluti della storia del cinema,su questo siamo tutti d’accordo. Così come il fatto che “Il primo cavaliere” sia un film melenso,che cerca tra l’altro di aggiornare il mito arturiano con un impianto realistico(gli aspetti soprannaturali sono praticamente assenti…).
Tematica realistiche,che cercano di scavare le origini del mito(re Artù ufficiale romano),sono presenti anche in “King Arthur”(che quindi faticherei a definire “fantasy”…).Risultato alla fin fine modesto,anche se la Knightley è splendida.
Ma il film di Ritchie è veramente orrendo,la più brutta rilettura del mito mai fatta in ambiente cinematografico.Il trasformare la Artù in una sorta di Robin Hood ,con compari degni di una gang, è sciocco,direi anche offensivo.La Camelot multietnica è nello spirito dei tempi(ahimè i nostri),il fatto che i cavalieri della tavola rotonda siano in buona parte neri è ridicolo e patetico (filologicamente scorretto,ma politicamente correttissimo…).
Continua il lavorio di Hollywood per decostruire i miti occidentali,adattandoli alle esigenze della nuova società liberalprogressista…

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Primula nera 3 Ottobre 2020 - 11:16

“…in ambito cinematografico…”

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