Roma, 17 ago – La pubblicazione di Gas in Etiopia, di Simone Belladonna (Neri Pozza) riapre l’annosa questione dei “crimini di guerra” italiani in Etiopia. Una vicenda su cui la propaganda anti-italiana fa leva per processare ancora una volta la storia nazionale. Pubblichiamo quindi a puntate questo studio dello storico Pierluigi Romeo di Colloredo che cerca di fare chiarezza (speriamo definitiva) sulla questione. [IPN]
Quando il 2 ottobre del 1935 le truppe italiane passarono il confine con l’Etiopia varcando il fiume Mareb, numerosi esperti militari europei si affrettarono a predire una nuova Adua, o, nel migliore dei casi, che le enormi difficoltà logistiche non avrebbero consentito agli italiani il conseguimento di risultati rapidi e brillanti ed era stato previsto che la guerra si sarebbe arenata allungandosi per anni, se non addirittura sarebbe finita con una disfatta italiana.
Allora come oggi ad ogni guerra le redazioni dei giornali richiamavano in servizio vecchi generali in pensione, presentati come esperti di strategia e tattica. E allora come oggi le loro previsioni si presentarono quasi sempre completamente sballate.
Riportiamo ad esempio alcune citazioni di corrispondenti militari stranieri: così il Völkischer Beobachter, organo del Partito nazionalsocialista il 14 luglio 1935 prevedeva che gli italiani avrebbero fatta la fine di Napoleone in Russia; gli aeroplani si sarebbero rivelati inutili poiché non c’è niente da bombardare (Deutsche Allgemeine Zeitung, 11 aprile ’35); il giornale svedese Dagens Nyeter del 5 settembre ’35 scrisse che
…Contro l’Abissinia nulla possono né i gas [dunque anche un mese prima dell’inizio della guerra c’era già chi parlava di gas!] né gli aeroplani né le armi moderne degli italiani….
A guerra iniziata:
Dopo la stagione delle piogge tutto sarà consumato. Gli italiani hanno perduto, è inutile negarlo (Jouvenal, 25 gennaio 1936).
Tra i più scettici sul successo italiano furono i nazisti tedeschi: la volpe teutonica era ancora avvelenata per l’uva austriaca sottrattagli dall’intervento del Duce. Dopo la tensione tra Italia e Germania seguita all’omicidio di Dollfuss nel ’34, Mussolini era detestato in molti ambienti nazisti (si ricordi che oltre all’invio di un corpo d’Armata al Brennero nell’estate del 1934, le grandi manovre del 1935 vennero tenute in Alto Adige): il giornale delle SS Das Schwarze Korps era decisamente filoetiopico ed antifascista; il giornale nazista non si limitava a parteggiare apertamente per il Negus ma si burlava anche della crociata civilizzatrice del Duce e faceva dei pronostici velenosi sulle aleatorie probabilità degli italiani di sconfiggere rapidamente le armate del Negus, pronostici poi sconfessati dai fatti.
Naturalmente, allora come oggi, rivelatesi fallaci le previsioni catastrofiste, si disse poi che gli italiani avevano vinto grazie alla superiorità dei mezzi ed all’uso di armi proibite dalle leggi internazionali, e così via.
La batosta presa dagli abissini spinse gli inguaribili antifascisti ed anti-italiani a giustificare il bruciante insuccesso del Negus ricorrendo alla storiella dell’uso dei gas, che avrebbe messo in crisi gli eroici combattenti etiopi.
Premettiamolo subito: gli italiani usarono i gas, e li utilizzarono molto più spesso di quanto la pubblicistica post-bellica di destra abbia voluto ammettere. Errore grave quello del negare l’uso dell’iprite, tanto da dare credito ad una propaganda di segno opposto, sovente grottesca nel falsare la realtà ben più di quella di matrice neofascista.
Sull’argomento si è passati infatti da una totale negazione ad un’acritica adesione alle tesi della propaganda etiopica sull’uso indiscriminato dei gas.
Dapprima i lavori dell’inviato del Giorno (spacciato usualmente per storico professionista, ciò che non è mai stato) il novarese Angelo Del Boca, poi di autori britannici quali Mockler (Haile Selassie’s War, I, The War of the Negus, tradotto non si sa perchè in italiano, ma che essendo uno dei pochi lavori in inglese sull’argomento è troppo spesso utilizzato da autori anglofoni come fonte) e l’indefinibile Denis Mack Smith nel suo pessimo Le guerre del duce fecero assurgere a verità di fatto le più strampalate leggende che la propaganda abissina, attendibile quanto un bollettino di guerra napoleonico, potesse concepire.
Cominciamo a vedere quali sono i fatti.
Per quanto riguarda l’uso dei gas asfissianti, la richiesta del maresciallo Badoglio (che non va dimenticato, s’era formato in gran parte durante la guerra 1915- 18, in cui i gas furono utilizzati normalmente) di utilizzare aggressivi chimici allo scopo di accelerare le operazioni belliche, richiesta accolta dal Duce solo in casi eccezionali per supreme ragioni di difesa (DEPA, Tel. Mussolini A.O., segreto, n. 14551), è da ritenersi una decisione profondamente errata: sotto il profilo militare, perché non recò alcun effettivo vantaggio; sotto il profilo politico perché diede l’occasione di screditare le forze armate e, quindi l’Italia, a tutti coloro che all’estero avevano disapprovato il conflitto, come scrisse il generale Bovio già direttore dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.
L’utilizzo di gas diventava addirittura una stupidaggine, e di quelle grosse, quando il loro impiego era così limitato da non produrre alcun sostanziale vantaggio militare: ma abbastanza diffuso da tirarci addosso tutte le conseguenze negative di un fatto che necessariamente prescindeva dalla “quantità”.
Spesso si è attribuito quasi un significato politico all’uso delle armi chimiche, tralasciando di notare come non si fece impiego dei gas nella prima fase della campagna, sotto il comando del fascista e quadrumviro della Rivoluzione De Bono, che pure, come comandante del IX Corpo d’Armata, nel 1918 usò i gas contro gli austriaci sul Grappa con la compagnia chimica X, ma a partire dal dicembre del 1936, sotto quello del tecnico Badoglio (e, in Somalia, di Graziani, che fascista non fu mai, neppure durante la R.S.I.). Mussolini diede sì l’autorizzazione all’uso delle armi chimiche, ma su richiesta di Badoglio in qualità di Comandante superiore e di Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, sul quale come s’è visto, faceva pieno affidamento per la parte operativa della campagna. Furono usate bombe all’iprite e, sul fronte sud, anche fosgene. (continua)
Pierluigi Romeo di Colloredo
(leggi la seconda parte)
I “crimini di guerra" in Etiopia: la verità oltre la faziosità anti-italiana (1)
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3 comments
Peccato che Rai storia fa finta di raccontare la storia….
Ma cosa aggiunge e cosa toglie al discorso circa l’uso dei gas questo suo frullato di acqua? Gli italiani usarono il gas contro i civili, cosa gravissima, cosa che anche lei ammette. Punto.
Tutto il resto son fumosità. Cosa ci azzecca l’efficacia o meno dal punto di vista tattico-strategico?
Che discorsi vacui… Anziché concentrarsi sulla sostanza della questione, ovvero sul fatto che migliaia di civili morirono soffocati o ustionati, ci si trastulla fingendosi “saputi” su questioni di contorno.
Come se un malato di cancro alla pelle si mettesse a disquisire circa il colore di un’ulcera, se rosa chiaro o rosa scuro…
Oziosi perditempo sedicenti storici.
Il fatto che furono usati sui civili lo dice Lei e questo fa’ comprendere la Sua faziosità nel leggere l’articolo !