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A proposito di ideologia (gender e non)

by La Redazione
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genderRoma, 25 dic – Una volta Sigmund Freud notò che una studentessa lo stava guardando maliziosa mentre egli, sovrappensiero, giocherellava con un sigaro tra le mani. Le implicazioni falliche della cosa, a seguire le teorie del padre della psicanalisi, erano evidenti, ma Freud reagì seccamente: “Signorina, a volte un sigaro è solo un sigaro”. Il grande smascheratore, smascherato a sua volta, rispolverava la visione ingenua delle cose che pure negava a tutti gli altri (chi, inchiodato a chissà quali complessi per via di banali azioni quotidiane, avrebbe potuto replicare a Freud che la realtà a volte è quella che sembra, senza sentirsi rimproverare anche un goffo tentativo di rimozione?).

È un po’ la storia dell’ideologia e relativa critica: ideologiche sono sempre le argomentazioni degli altri. Anche per Marx l’ideologia è la cristallizzazione dei rapporti sociali, che si riflettono in idee, teorie e coscienze, tranne ovviamente che nelle idee e teorie marxiste, che invece hanno il crisma della scientificità (solo Nietzsche fa eccezione, ritenendo le pretese di verità sempre arbitrarie, comprese le proprie, però). Ora, l’ideologia gender è un ulteriore esempio di questa ambizione veritativa e metafisica. Il fatto che i suoi sostenitori rifiutino di scendere in dialettica, trincerandosi dietro la pretesa pre-discorsiva dell’inesistenza della loro ideologia, la dice già tutta sull’arroganza e sull’autoritarismo intrinseco di tale pensiero. Facciamo un esempio.

Michela Marzano, senatrice Pd e filosofa, ha appena dato alle stampe un libro sulla questione, ovviamente ribadendo che l’ideologia gender non esiste, che si tratta solo di combattere le discriminazioni e che chi dice il contrario è un omofobo. Tesi spiegate anche in una recente intervista a MicroMega, in cui così vengono liquidate le obiezioni mosse al gender: “Mera disinformazione, una falsificazione riconducibile all’omofobia. Nulla più. Si è generata una teoria ad hoc – banalizzando le posizioni in campo – volta a creare un nemico immaginario, a cui contrapporsi, che minerebbe i valori della nostra società”. E allora di cosa staremmo parlando? Presto spiegato: “Dagli anni ’60 ci sono i gender studies, al plurale perché le posizioni al proprio interno sono molteplici ed eterogene. Ma hanno un denominatore comune: lo scopo di combattere le discriminazioni e le violenze subite da chi viene considerato inferiore solo in ragione del proprio sesso, orientamento sessuale ed identità. Uno studio sul rapporto uomo/donna, omosessualità/eterosessualità e un tentativo di focalizzarsi sul principio dell’uguaglianza, nonostante le differenze”.

Ora, anche prendendo per buona la spiegazione sulle motivazioni (combattere le discriminazioni etc), questo non dice nulla sul fatto che esse sfocino in una ideologia o meno: anche il comunismo voleva la giustizia sociale, ma questo non basta a negare che sia esistita un’ideologia comunista. Del resto “focalizzarsi sul principio dell’uguaglianza, nonostante le differenze” è esattamente la descrizione di un’ideologia, dato che comporta una realtà (le “differenze”) su cui si interviene con discorsi e pratiche per isolarne e valorizzarne una componente, al limite creandola dal nulla (“il principio dell’uguaglianza”). Perché non partire da qui, ammettere che esiste una ideologia gender, magari rivendicandone orgogliosamente il valore, ma scendendo comunque nel terreno di noi comuni mortali?

E invece no, chi si oppone al gender è ideologico (“l’omofobia”), chi lo sostiene no. Tutti sono ideologici tranne loro. Allo stesso modo, su L’Internazionale, la solita “bioeticista” Chiara Lalli scrive chiaro e tondo: “Il gender esiste ed è una cosa bellissima. Invece l’ideologia gender è una creatura inesistente ma con un fine abbastanza preciso”. Il gender (inteso come fluidità di genere) è una “cosa”, è realtà, come questo tavolo, come gli alberi fuori dalla mia finestra. È un fatto. Il discorso critico su di esso è invece esso stesso ideologia, pregiudizio, comunque creazione artificiosa e priva di sostanza. In questo modo gran parte dell’epistemologia contemporanea, basata per lo più sulla famosa frase di Nietzsche per cui “non esistono fatti, esistono solo interpretazioni”, va a farsi benedire: per in sostenitori dell’ideologia gender, esistono solo interpretazioni, tranne ciò che dicono loro, che è puro fatto, realtà inoppugnabile, dato incontrovertibile.

Di colpo facciamo un balzo all’indietro, a prima che Lyotard constatasse la fine della metanarrazioni, a prima che Nietzsche dichiarasse la morte di Dio: ecco di nuovo che c’è chi ha la pretesa di fornire verità definitive, incardinate in una realtà a senso unico. Ecco perché i filo-gender non amano il dibattito: come può, chi è portatore di verità (loro), discutere con chi ragiona in base a pregiudizi sganciati dalla realtà (i loro avversari)? Come sempre, l’epoca smitizzante per eccellenza, la nostra, finisce per creare solo nuove mitologie, con in più la pretesa di non essere tali.

Adriano Scianca

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