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Il Patriarcato non esiste: è solo l’eterno ritorno del marxismo

by Sergio Filacchioni
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Patriarcato

Roma, 8 dic – Proviamo a metterla in questo modo: il patriarcato non esiste. Non solo non esiste qui ed ora, non è mai esistito nel passato, e per quanto ci è dato sapere non esisterà mai nel futuro. Il “patriarcato” è l’invenzione– potremmo dire una mitologia – che nel terzo millennio sostituisce e porta alle estreme conseguenze la lotta di classe.

Il patriarcato è un mito marxista

Provate a pensarci su. Che cos’è la guerra dei sessi, il trans-femminismo, i gender studies se non l’eterno ritorno dell’uguale della lotta di classe inventata da Marx? Il “padrone” diventa il patriarca: maschio, bianco, eterosessuale, ricco, diciamo “l’Ur Fascista” dell’immaginario confuso ma estremamente coerente (almeno per loro) del nuovo antifascismo. L’”oppresso” diventa il così detto “ultimo”: immigrato, donna, omosessuale, trans. Quest’ideologia così costruita si manifesta quindi in tutto il suo portato fanatico e violento: non essendoci più il proletario – che evidentemente ancora faceva figli, quindi si legava ad una responsabilità sociale – ora c’è l’ideologia degli ultimi che man mano dovranno rovesciare il sistema per instaurare la loro dittatura. Non ridete. È una faccenda seria. Ognuno di noi sa che la storia dell’umanità non è mai stata solo ed esclusivamente “lotta per il benessere” – come vorrebbero leggerla sia i marxisti che i liberali. Perché dovremmo allora accettare l’ideologia di chi dopo il 1989, persi i presupposti della finta contrapposizione tra capitalismo e comunismo, ha trovato nella storia la “guerra dei sessi”? Perché dovremmo accettare di nuovo una tendenza politica che restringe la libertà storica dell’uomo relegandolo ad un “avvenire” arcobaleno invece che rosso, dove tutti saranno tutto e nessuno sarà niente mentre nel presente “la grande rapina continua a Washington e a Mosca”? Sono domande che dovremmo porci e poi riflettere perché il rischio è quello di agire di reazione ed andarci a rinchiudere dentro steccati e gabbie che non ci appartengono. Perché se nel discorso trans-femminista ritroviamo l’eco del peggiore marxismo che chiedeva rieducazione, confessioni, abiure in nome di una verità assoluta; non dobbiamo commettere l’errore di ritrovarci custodi di “valori occidentali” altrettanto infausti per la nostra identità. Se il patriarcato non esiste, non esiste: chi ha mai davvero sentito genitori e padri insegnare ai figli come ammazzare le fidanzate, o ammazzare in generale? È inutile rinchiudersi nell’immaginario pop degli anni ‘70/’80 per ritrovare i veri “patriarchi” di una volta come se ci fosse effettivamente un patriarcato da difendere.

Programmi di rieducazione

Se questa categoria esisterà un giorno, sarà grazie proprio al lavoro di rieducazione, propaganda e morale antifascista decostruzionista. Saranno loro a creare il “patriarcato”, convincendo tutti – anche le opposizioni – che effettivamente c’è un potere maschile esercitato con la forza sugli oppressi e che questi vadano salvati “correggendo” i maschietti – e quindi anche le femminucce, perché si cresce e si matura in relazione con gli altri fin dalla nascita. Il solito laboratorio sociale dei comunisti, che stavolta non hanno più il bisogno di opporsi al capitale perché questo va perseguendo esattamente gli stessi scopi. Anzi, si potrebbe dire che oggi l’antifascismo è l’ala massimalista del capitale, perché chiede di spingere sull’acceleratore del progressismo reo secondo loro di aver rallentato e di star cedendo posto ad una sorta di conservazione. Basta leggere cosa scrivono, in effetti. In un documento di studenti romani antifascisti, pubblicato il 6 dicembre 2023 su Jacobin Italia, leggiamo: “Riteniamo impellente la necessità di decostruire la scuola attuale per realizzarne una che sia attraversabile da tutte le soggettività, libera da ogni dinamica patriarcale e da ogni autoritarismo. Una scuola transfemminista che tenga conto delle linee di oppressione di genere, classe e razza”. Insomma chiedono esattamente ciò che le democrazie liberali occidentali stanno già realizzando, ma lo fanno con l’approccio del “tutto e subito” di chi non ritiene che ci debba essere confronto democratico con chi la pensa in maniera differente: ciò che li distingue dal sistema, quindi, sono le velocità per raggiungere gli scopi più che gli scopi stessi. Infatti, pochi giorni dopo li ha seguiti il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara (Lega) che ha presentato insieme a Paola Concia (Pd, storica militante comunista ed attivista femminista e Lgbt) il progetto “Educare alle relazioni” che si pone come obiettivo quello di dare “una risposta culturale più ampia contro il maschilismo e la mentalità machista”. Come se fino ad oggi dentro le scuole si sia insegnato ai bambini come “uccidere i nemici e sentire le urla delle loro donne”. La cronaca nera, in questi casi, è sempre la migliore occasione per far spingere un intero sistema paese sul pedale dell’acceleratore: chi mai oserebbe opporsi di fronte al corpo straziato di Giulia e quello dei tanti “femminicidi”? La narrativa emergenziale piace molto all’Italia, ma favorisce sempre gli stessi alla fine: prima sul Covid-19, poi sul cambiamento climatico, ora sui femminicidi su cui si sta costruendo una vera e propria prosopopea che rende le morti violente femminili “più importanti” delle altre.

Etica ed estetica

Forse dovremmo fare qualche passo avanti, partendo da un ragionamento che ritengo essenziale per proseguire, ovvero quello di uscire dalla dialettica del materialismo storico: e se la smettessimo di prendere fatti di cronaca per estenderli “erga omnes”? La responsabilità dell’individuo rispetto alle sue azioni vale ancora oppure agiamo sempre mossi da qualcuno, da qualche sovra struttura fisica o mentale che ci muove e non lascia spazio al libero arbitrio? Accollare le colpe alle “strutture”, alle “generazioni”, ai “maschi”, alla “globalizzazione”, alla “pornografia”, al “femminismo”, non vi sembra in fondo in fondo materialista e deresponsabilizzante quanto il resto che ci sta intorno? Qualcuno – Yukio Mishima –  diceva che “giustificare sè stessi è il più grande atto di viltà”: iniziamo da qui per ristabilire dei giusti criteri d’educazione. Non dobbiamo giustificare nessuno, nemmeno per accusarlo: dire “è colpa della società fluida” ha lo stesso valore, ribaltato, di “è colpa del patriarcato”. Ritorniamo alle virtù estetiche: kalòs kagathòs (“bello-buono”), ovvero l’idea – per usare le parole di Jean-Pierre Vernant – “che occorre essere un uomo come si deve, ed evitare le bassezze, gli atti villani, l’invidia, che occorre darsi un contegno”. Cerchiamo di rigettare le “morali del peccato”: le azioni qualificano, nient’altro. Altrimenti si finisce sempre nella grande comunità di recupero per “le povere vittime della società”. Quella lagna comunista che finisce per creare una classe padrona ed una oppressa, senza tenere conto delle qualità specifiche dell’individuo e finisce per relegarlo a quell’orizzonte chiuso che in teoria vorrebbe criticare: l’homo oeconomicus. Quindi no, non c’è un complotto maschile che fa capo all’ente “patriarcato” per ammazzare più donne possibile. Non c’è nessuna cospirazione utero-vaginale per segregare i maschi bianchi etero nello zoo. Qualcosa c’è in effetti: una guerra dichiarata all’individuo in quanto membro di un popolo vivente, in quanto fascio di relazioni e ponte tra generazioni, in quanto entità biologica definita e proiezione di volontà. Insomma, ci sono degli effetti p-o-l-i-t-i-c-i di questa guerra, quelli di cui guarda caso non si parla mai: precariato, disoccupazione, calo demografico, emigrazione, depressione.

L’eros come potenza

Emil Cioran scrisse che “la vera comunione non si realizza che attraverso l’individuale”. Come può un non-individuo, non-cittadino, non-sessualizzato e spoliticizzato – ovvero lo scopo delle campagne rieducative in atto – percepire una comunione che non sia né fine né possesso ma qualcosa che è “più delle due parti”? Perché il problema è proprio questo. Qualcuno dice che sono stati sostituiti i fini delle donne, che dal matrimonio sono state deragliate verso valori egoistici e mondani; qualcun altro dice che sono stati demoliti i fini dell’uomo, che a quanto pare erano solo lavoro e ricchezza. Quindi mi chiedo: il matrimonio e il lavoro dovrebbero essere un fine o un mezzo? Non sarà che il problema è proprio aver trasformato i mezzi in fini ultimi? Lo “stare insieme” è un “oggetto” fine a sè stesso o deve servire a qualcosa? Perché se è fine a sè stesso allora eccoci qui, già ci siamo dentro, e potete godervi il macabro spettacolo aprendo la televisione su un telegiornale qualsiasi; se invece deve servire a qualcosa – ad una causa, ad un progetto, ad una storia comune – allora c’è ancora margine di costruzione, proprio nell’educazione. “Sei giovane, e desideri per te figli e matrimonio. Ma io ti chiedo: sei un uomo cui sia lecito augurarsi un figlio?” – è la domanda che si pone lo Zarathustra di Nietzsche al principio del capitolo “Dei figli e del matrimonio”. “Sei il vittorioso, il vincitore di te stesso, il padrone dei sensi, il signore delle tue virtù… o dal tuo desiderio parla la bestia e il bisogno? O la solitudine? O l’insoddisfazione?” e continua “al di sopra di te devi costruire. Ma ancora prima tu stesso devi essere costruito tetragono nel corpo e nell’anima”. Già questo dovrebbe farci capire che oggi – nel presente – la relazione tra ragazzi, soprattutto più giovani altro non è che il “bisogno” di stare insieme per scampare alla solitudine del proprio “Io”: non c’è un lato apollineo, ma nemmeno uno dionisiaco, non c’è un “noi” che si forma nel desiderio sessuale. “Non morire senza aver provato la meraviglia di scopare con amore”, è una frase di Garcìa Marquez che trovo eloquente e che ci indirizza sul grande atrofismo sensuale (di senso, propriamente) di quest’epoca neo-puritana: i più giovani non conoscono altro amore se non quello che brucia, ma ignorano quello che dura; non conoscono altro sesso se non quello veloce, ma ignorano quello sensuale. O è una scopata o è l’amore della mia vita: da questo estremismo escono fuori, seppur pochi, i mostri della cronaca nera. In modo altrettanto eloquente di Marquez, Clive Staples Lewis scrisse a proposito del metodo d’istruzione inglese d’inizio novecento: “Con sconcertante semplicità, asportiamo l’organo e pretendiamo la funzione. Facciamo uomini senza cuore e ci aspettiamo da loro virtù ed intraprendenza. Ridiamo dell’onore e inorridiamo nel trovare traditori in mezzo a noi. Castriamo e vogliamo che il castrato sia fertile”. C’è un problema con l’individuo e il corpo quindi, con l’educazione dei propri sensi e con lo scatenamento di forze che ci attraversano e che possono donarci creatività ed arte come morte e tragedia. Non viviamo in tempi “cattivi”, togliamoci i vizi teleologici, bensì in tempi miserabili: ovvero senza passione. L’Eros è sempre stata una “potenza fondamentale” in questo senso, ed oggi quel si cerca di fare è disinnescarla: perché “quando due persone si amano, sottraggono terreno al Leviatano, creano spazi che egli non controlla”. Se non c’è questo istinto, questa pulsione eroica di superare sé stessi, questa volontà di “creare più in alto”, la storia si ferma. Il punto di arrivo sperato di ogni ideologia egualitaria.

La scuola della carne

Un amico una volta vedendomi in un momento di difficoltà sentimentale da cui non riuscivo ad uscire, mi disse una frase che fatico a scordare e che suonava pressappoco così: “Al cuore non si comanda è vero… ma alla testa e alle palle sì”. Nella sua brutale semplicità mi ha rimesso con i piedi per terra ed aiutato a proseguire più sereno per la mia strada. Il concetto però è rivoluzionario: siamo noi a comandare, non le nostre emozioni – seppur le più sincere e pure. Se oggi mi dovessi chiedere cosa significa essere un uomo ripenso a quella serata e a quella battuta in amicizia. Questo aneddoto per dire che è necessario tornare in maniera prepotente sul campo dell’educazione dei più giovani senza assecondare i programmi ben definiti dei nostri nemici: c’è bisogno che conoscano le differenze, le possibilità e i sogni che ogni corpo può contenere. Vanno educati alla forza, non alla debolezza. Scrive il filosofo Simone Regazzoni in un post che merita di essere riportato integralmente: “Scoprite la fragilità nel punto estremo dell’esercizio della vostra forza. Incontrate il fallimento al limite della vostra performance. Qui c’è vera conoscenza di sé, crescita, formazione, miglioramento. Qui si esperiscono e si impara a controllare le emozioni. È quello che all’origine insegnava la filosofia. L’elogio della fragilità opposta alla forza, del fallimento come contrasto alla performance sono pericolose imposture intellettuali che creano soggetti fragili, imbelli, intontiti, che al minimo attrito del reale crollano. Nel migliore dei casi hanno crisi di ansia ecologica. Nel peggiore, esplodono incontrollati. Allenare soggetti buoni nella forza significa dare un’etica. Tutto il resto è moralina”. Sul serio il governo crede di poter impartire elisir d’amore con gli influencer – persone notoriamente fuori dalla realtà? Non sarebbe stato meglio fare focus sui classici – da Platone a Dante – in maniera trasversale ad ogni grado ed indirizzo, per far meglio comprendere i rapporti uomo-donna in una chiave Italiana ed Europea? Non sarebbe meglio accrescere l’attività sportiva in età pre-scolare e scolare per crescere individui consapevoli della propria individualità? L’unico antidoto alla crisi valoriale dell’Occidente liberal-comunista è studiare e conoscere la cultura nativa dei popoli europei, rigettando modelli estranei spacciati per valori: ma soprattutto rifondare questi valori nel corpo, così da poter disporre di individui con un’etica centrata in sé stessi, e quindi pronti all’avventura comunitaria che è la nostra vita.

Sergio Filacchioni

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