Roma, 8 gen – Dopo il fallimento della nazionalizzazione di Tim, Ilva potrebbe tornare nelle mani dello Stato. Stavolta “sul serio”. Almeno, quanto emerge dalle trattative sembra dare credito a chi, da tempo, ritiene l’acciaio un settore talmente nevralgico da essere impossibile da abbandonare, perfino per lo Stato Italia degli ultimi decenni e le sue possibilità economiche oggettivamente ridicole.
Ilva, lo Stato potrebbe controllare il 60%
Secondo quanto riportato da Tgcom24, si potrebbe profilare una soluzione che mantenga aperto lo stabilimento, che paghi i debiti e tuteli anche l’azionista privato. Ed è quella di cui si discuterà nell’incontro tra governo e Mittal a Palazzo Chigi, previsto per oggi. Primo problema: le risorse finanziarie. E qui potrebbe tornare in gioco lo Stato, che potrebbe riprendere un controllo dal 38 al 60% in Acciaierie d’Italia. Nell’incontro con Mittal ci saranno i ministri Giancarlo Giorgetti, Raffaele Fitto, Adolfo Urso e il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, mentre sarà assente il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. In questo momento, l’azienda ha da affrontare il problema urgentissimo del pagamento delle forniture di gas a Snam, per cifre milionarie che potrebbero impedire l’approvvigionamento futuro, sebbene fino ad oggi la questione sia stata “interrotta” dall’intervento salvifico del Tar.
Reggerà?
Anzitutto la questione dovrà essere chiusa: perché al momento non lo è. Poi il dubbio è quanto meno lecito, viste le cadute come castelli di carta di praticamente tutti i settori in cui lo Stato abbia controllato e diretto l’economia prima di una trentina di anni fa e del naufragio voluto dell’Iri. Intanto va incassato questo risultato, ad oggi ancora non acquisito. Poi si vedrà. I decenni successivi al terribile 1992 hanno mostrato che, in certi ambiti, la mano pubblica abbia comunque mantenuto un suo peso, come nel caso dell’Eni. Che però – questo va ricordato – non è più controllata dallo Stato nel vero senso della parola, ma da un pacchetto di azioni di maggioranza relativa (il 30% circa) che gli permette di avere potere- non monopolista – nelle decisioni strategiche.
Cosa avverrà con l’acciaio italiano? C’è chi sostiene, a ragione, che il settore sia troppo strategico per poter essere abbandonato, perfino per uno Stato minimo, debole e senza quattrini quale è l’Italia del 2024 (e probabilmente, purtroppo, del futuro). Dall’altro lato c’è da ricordare che queste strade segnate non è che siano state tanto tenute in considerazione negli ultimi venticinque anni, visto che Ilva è stata di fatto privatizzata con tutti i disastri che ne sono conseguiti: e non pare che si sia manifestata in questi decenni alcuna particolare “resistenza”. Dunque perché il futuro dovrebbe essere così “certo” e in direzione contraria? E poi soprattutto la domanda delle domande: ma questo Stato senza il becco di un quattrino a parte alcuni “residui” del passato (come la Cassa Depositi e Prestiti), potrà mantenere davvero Ilva? Vedremo, come sempre, cosa accadrà.
Stelio Fergola