Roma, 18 mar – L’immigrazione è sicuramente uno dei temi centrali degli scenari politici presenti e futuri. Su questo aspetto, le forze di sinistra hanno cercato di polarizzare il dibattito tra progressismo aperto all’accoglienza «senza se e senza ma» da una parte e bieco razzismo dall’altra. Una semplificazione falsa, fuorviante ed eccessiva, che finge di non vedere come dietro al voto «sovranista» si nasconda principalmente la volontà di difendere il proprio sistema politico e culturale. Un’intenzione opinabile, ma senz’altro dignitosa e legittima come e più di diverse altre. Nonostante i diktat dell’establishment del nostro Paese, dominato dai Saviano & co. costantemente impegnati a lanciare anatemi e a «disumanizzare», l’avversario, la gente comune sembra allontanarsi sempre più dal politically correct. «Le ragioni dei populisti», spesso ancora colpevolmente ignorate dai grandi organi di stampa, sono state esplorate con dovizia di particolari nel recente volume Immigrazione (Historica, 2019; pp. 168, € 16) ad opera di Daniele Scalea, giovane co-fondatore e presidente del think thank Centro studi politici e strategici Machiavelli.
Un processo epocale
Scalea ha il merito di affrontare con decisione tutti i nodi principali della questione migratoria, senza perdere rigore e scientificità. Le fonti utilizzate vanno dall’Istat e l’Eurostat fino alle più accreditate ricerche accademiche sul tema, senza trascurare autori come Schumpeter e Debray. La prima questione ad essere affrontata è quella demografica. Al contrario dei «minimizzatori» della portata del fenomeno migratorio, le previsioni lasciano poco spazio a dubbi: nel 2065 gli immigrati in senso lato (includendo le cosiddette «persone con retroterra migratorio») saranno il 41,5 % degli abitanti in Italia. Nel 2001 erano l’1%. Uno stravolgimento mai verificatosi in nessuna epoca della storia con questa velocità, neanche ai tempi delle invasioni barbariche, e che avrà proporzioni ben più vaste in molti altri Paesi europei. Pensare che tutto questo non avrà ripercussioni sul nostro stile di vita è a dir poco ingenuo.
Anche perché l’impatto sull’economia, sui salari, sull’identità e sugli stessi processi democratici è e sarà violento e complesso, come confermano numerosi esperti in questo ambito. Lo Stato sociale finirà sempre più sotto pressione: il mondo no border è anche un mondo no welfare, ha chiarito Sieferle. Lo stesso stimolo alla creatività o al miglioramento del «capitale sociale» delle società acriticamente aperte alla diversità è stato messo in discussione. A guadagnare dall’«esercito industriale di riserva» costituito da immigrati non qualificati sarebbero in definitiva solo capitalisti e ceti abbienti, proprio coloro i quali sempre più votano in blocco a sinistra, incapaci di comprendere le ragioni dei ceti bassi autoctoni, messi sotto pressione sul piano del lavoro, della sanità, della scuola e nella vita di tutti i giorni.
Sicurezza e identità
Quest’ultima frase ci collega la tema della sicurezza: scorrendo i dati del ministero dell’Interno e gli studi del prof. Solivetti, Scalea nota come gli immigrati siano sovra-rappresentati tra gli imputati e i denunciati sostanzialmente per tutti i delitti più rilevanti per gravità e diffusione. Senza contare lo spinoso tema del terrorismo di matrice islamica che è una delle maggiori sfide per il futuro.
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Ma neanche i dati hanno mai fatto vacillare le convinzioni del clero del «nuovo vangelo progressista»: intellettuali, professori, giornalisti schierati, tutti compatti contro i confini e l’orgoglio nazionale. Gli immigrati sono spesso le comparse della narrazione progressista, decostruzionista e «neomarxista» che divide il mondo tra «buoni» e «cattivi», paladini dell’accoglienza e biechi nazionalisti. In un vero e proprio impeto «autorazzista», molti personaggi hanno promosso la colpevolizzazione del nostro patrimonio storico e culturale, sposando i lati livellatori (e inevitabilmente consumistici) della globalizzazione. Diverse Ong e personalità coinvolte nel «business dell’accoglienza» si trovano ovviamente in prima fila, radiografati e criticati con acume da Scalea. Per superare tutto questo, l’autore non propone certo chiusure nette o ritorni al passato, ma politiche accorte basate sull’interesse nazionale, sulla cittadinanza non meramente «burocratico-amministrativa» e su un’immigrazione controllata, sostenibile per chi accoglie e produttiva per chi arriva, nel nome dell’«assimilazione» e non dei ghetti etnici che caratterizzano troppe realtà occidentali. «Si possono e si devono trovare soluzioni vantaggiose per tutti i popoli. Il nostro compreso» è la frase che chiude questo prezioso e denso libro controcorrente.
Agostino Nasti