Chi combatte per difendere il proprio territorio ha piรน forza, piรน rabbia e piรน convinzione. Evidentemente, a livello istintuale, agisce in lui la convinzione di star difendendo qualcosa di importante, ma anche la sicurezza di sรฉ che deriva dal sentirsi โa casaโ, protetto e rassicurato da un ambiente familiare. Ora, cosa ha a che fare tutto ciรฒ con l’uomo? L’obbiettivo โscandalosoโ dell’etologia novecentesca รจ stato appunto questo: quello di trovare l’animale che รจ nell’uomo, l’impulso primordiale che si fa valere anche in noi, in ciรฒ che abbiamo di โnaturaleโ, e che fa inevitabilmente pressione sul โculturaleโ. La presenza di un imperativo territoriale nell’uomo รจ esattamente una di quelle veritร che oggi รจ stata rimossa, per far posto a una visione sradicata e non localizzata dell’uomo, della sua natura e della sua cultura. E proprio The Territorial Imperative รจ il titolo di un saggio di Robert Ardrey che qualche decennio fa scatenรฒ una serie di polemiche. Secondo lo studioso, nelle specie animali la territorialitร ยซeฬ una forza forse piuฬ antica del sessoยป. E l’uomo, checchรฉ ne pensi l’antropologia viziata da pregiudizi illuministi, non fa eccezione: ยซL’uomo eฬ animale territoriale quanto un tordo ripetitore che canta in una chiara notte californiana. Il nostro comportamento di oggi deriva dal nostro passato evolutivo [โฆ]. Quando ognuno di noi difende con tenacia l’appartenenza alla sua terra o la sovranitaฬ del proprio paese, lo fa per motivi non meno innati, non meno inestirpabili, non diversi, insomma, dalle piuฬ basse specie di animaliยป. C’รจ quindi una ragione ancestrale, profondissima, del tutto precedente a qualsiasi ideologia e opinione politica se ciascuno di noi non si rassegna con docilitร all’invasione della propria terra. ยซIo ritengo che esso [l’imperativo territoriale – ndr] sia una forza che modella le nostre vite in una infiฬnitaฬ di modi diversi, minacciando la nostra esistenza nella misura in cui noi non riusciamo a comprenderloยป. Si tratta di un qualcosa di cui non si puรฒ semplicemente far finta che non esista: ยซLa natura territoriale dell’uomo eฬ genetica e non suscettibile di sradicamentoยป.
Ma c’รจ di piรน: non solo ciascuno di noi ha un senso della territorialitร che รจ innato, ma il modo stesso in cui articoliamo il nostro rapporto con lo spazio รจ culturalmente condizionato. Di questo aspetto si รจ occupato un altro studioso, l’antropologo statunitense Edward T. Hall, l’inventore della โprossemicaโ, ovvero la scienza che studia l’uso umano dello spazio. Hall si dice convinto che ยซpersone di culture diverse non solo parlino lingue diverse, ma inoltre, cosa piรน importante, abitino differenti mondi sensorialiยป. L’idea che esista uno spazio โneutroโ, che ogni uomo percepisce allo stesso modo, non ha corrispondenze con la realtร , dove ogni cultura costruisce il suo spazio e, di conseguenza, il suo modo di stabilire relazioni umane al suo interno. I conflitti che possono nascere quando popoli e culture si sovrappongono disordinatamente in contesti โmultirazzialiโ sono ovvi: ยซGli schemi prossemici โ spiega ancora Hall โ evidenziano in forte contrasto alcune delle differenze fondamentali fra i popoli, differenze che non si possono ignorare, sotto pena di gravi pericoli. [โฆ] Il rischio di forzare intere popolazioni entro stampi a loro inadatti รจ veramente graveยป. Spiega Hall, con il linguaggio naif degli anni ’60 che oggi gli costerebbe l’esclusione dalla comunitร scientifica: ยซNegli Stati Uniti i negri delle classi inferiori, trasferendosi massicciamente in cittร , pongono problemi peculiari e difficili, che dovremo essere in grado di risolvere, se non vogliamo trovarci in situazioni urbane insopportabili e disastrose. Si trascura spesso il fatto che i negri delle classi inferiori e i bianchi del ceto medio hanno due mondi culturali completamente diversi. [โฆ] Le differenze fra questi gruppi minoritari e la civiltร dominante sono basilari, concernendo l’anima del complesso della cultura, il patrimonio che ci รจ trasmesso nei primi anni di vita: il modo di usare e organizzare lo spazio, il tempo e l’oggettualitร ยป.
E non stupisce, quindi, che un noto etologo, giร allievo e collaboratore di Konrad Lorenz, come Irenรคus Eibl-Eibesfeldt, in uno dei suoi ultimi lavori si sia scagliato contro il fenomeno immigratorio in modo del tutto esplicito: ยซOgni uomo reagisce con un atteggiamento di rifiuto quando sente minacciata la propria identitร , e questo avviene specialmente quando altri individui si stabiliscono in aree giร densamente popolate, senza assumere nรฉ la cultura, nรฉ il modo di vivere dei residenti: allora vengono sentiti come estranei e come intrusi nella lotta per il dominio che assicura la precedenza alle stesse risorse. Questo atteggiamento non รฉ infondato, poichรฉ segregandosi, gli immigrati costituiscono dei gruppi solidali che difendono in primo luogo i propri interessi. Le problematiche e i contrasti che ne derivano si inaspriscono quando essi si differenziano per un tasso di nascita superiore a quello della popolazione residente. La situazione รจ del tutto diversa nel caso di immigrati affini alla popolazione autoctona sul piano culturale, biologico e antropologico: di solito vengono integrati rapidamente [โฆ]. Filantropi ben intenzionati difendono l’idea secondo la quale i tradizionalisti stati europei dovrebbero dichiararsi apertamente in favore dell’accoglienza verso gli immigrati, non solo accettando chi cerca asilo per motivi politici, ma anche e soprattutto le popolazioni economicamente piรน svantaggiate, vale a dire anche di paesi del Terzo Mondo che hanno una sfera culturale del tutto diversa dalla nostra. Secondo loro, la convivenza creerร dei legami amichevoli. Questa รจ utopia, la cruda realtร รจ del tutto diversaยป.
Adriano Scianca
1 commento
Eccellente articolo pienamente condivisibile e che perรฒ, a mio parere, tralascia (o perlomeno, non pone adeguatamente in evidenza) un aspetto peculiare del fenomeno migratorio, ovvero il Fattore Aggressivitร ; noi ci accorgiamo, in particolare, degli aspetti negativi dell’ immigrazione soprattutto a causa delle comunitร islamiche, le quali non solo si “segregano” rimanendo solidali con se stesse e basta, ma addirittura arrivano a disconoscere qualsiasi autoritร che non sia riconosciuta da esse, costituendo delle vere e proprie “enclaves” totalmente indipendenti e che pretendono di autogovernarsi, ed anzi di imporre con arroganza e con aggressivitร i propri parametri, e la propria mentalitร , alle popolazioni “ospitanti”. Si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria invasione, che solo il buonismo globalista imperante si ostina a voler interpretare ancora come “semplice” fenomeno migratorio.