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Ius soli: non è questione di razzismo, ma diritto all'autodifesa

by La Redazione
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IMMIGRAZIONE:MINORI;CANTANO INNO MAMELI, MA NON SONO ITALIANIRoma, 2 ago – Si ricomincia con la fola dello ius soli, baluardo della civiltà liberale, democratica e capitalista a cui opporsi possono essere solo dei beceri razzisti con croci in fiamme nel cortile.
A ben guardare, però, sono svariati i motivi per essere avversi alla totale deregolamentazione, o addirittura come in questo caso alla sua esplicita promozione, dell’importazione di manodopera allogena, ed il principale di essi è di stampo squisitamente marxista, per quanto paradossale possa sembrare.
Marx parlava di “esercito industriale di riserva”, un economista contemporaneo direbbe “incremento della disoccupazione marginale”, sta di fatto che il risultato è sempre lo stesso, in base al principio per cui una rosa non cambia profumo se la chiami in altro modo: contenimento o addirittura repressione dei salari.
Cosa c’entra la razza ed il razzismo con una considerazione invero banale come questa? Nulla, la concorrenza sleale ed al ribasso non è migliore se l’allogeno è biondo e bello.
Oltre che sui salari, ovviamente, esiste una pressione decisamente pesante anche sui servizi pubblici, in particolare sanità ed istruzione (basta andare in una classe mista per vedere quanto è lesivo avere qualcuno che non parla bene l’italiano anche per gli altri studenti). La vulgata vuole che gli stranieri contribuiscano più di quanto consumano, ma è ovviamente una falsità visto che in larga maggioranza lavorano in nero o al minimo sindacale, o addirittura -e questo è un altro motivo per essere quantomeno sospetti verso l’immigrazione indiscriminata- entrano in quegli opachi circuiti fatti di criminalità organizzata, cooperative cattocomuniste, peloso assistenzialismo.
Inoltre, non si considerano di solito tutti gli altri costi, e non solo quelli sui salari e le pensioni, ma anche quelli di polizia, tribunali e carceri, quelli di figure professionali inutili come interpreti e mediatori culturali che stranamente nessuno si sogna di tagliare, gli insegnanti di sostegno, così via.
Non vorremmo però che passasse l’idea che il problema sia solo di ordine economico, il che tenderebbe a disarmare le coscienze nella remota ipotesi che l’economia italiana tornasse a crescere, dando adito all’idea che “tanto possiamo permettercelo”. A parte che è un ragionamento controintuitivo, in realtà non possiamo permettercelo proprio, persino secondo Robert Putnam, sociologo sinistroide di Harvard, la cloaca del politicamente corretto in salsa “anglo”.
Putnam è quello che ha inventato il concetto di “capitale sociale” inteso come il mix di fiducia reciproca, di mutua solidarietà e di senso civico di una comunità. Ebbene, alla fine persino lui ha dovuto ammettere che esso è direttamente proporzionale all’omogeneità culturale della comunità in esame. Certo, gli sporchi “razzisti” che si oppongono da decenni all’allucinazione multiculturalista questo lo sapevano senza troppe ciance in sociologichese e senza frequentare facoltà inutili e paludatissime, ma è da apprezzare il fatto che di per se la verità prima o poi viene sempre a galla, persino in chi si sforza di reprimerla a tutti i costi. Putnam ha infatti ammesso che per cinque anni si è rifiutato di pubblicare le sue conclusioni perché contrastavano con la sua visione progressista del mondo, e gli avrebbero potuto procurare dei grattacapi con l’università. In fondo, tiene famiglia pure lui.
Basterebbe guardare in Francia e Regno Unito quale è stato il risultato del melting pot americanizzante: degenerazione del tessuto sociale, con la creazione di enclavi sempre più impermeabili fra di loro, avulse dall’ordine generale ed ostili alla popolazione autoctona, in particolare femminile.
E qui ci permettiamo una riflessione personale, ad integrazione del discorso precedente, e per aggiungere un ulteriore punto di criticità rispetto alle boldrinate sull’accoglienza. La degenerazione comunitarista della società, e quindi la formazione di un proletariato allogeno sradicato, è quello che ha generato l’humus fertile per la proliferazione del satanico proselitismo salafita persino in persone che con l’islam avevano poco o punto a che fare.
Forse non si riflette bene cosa vuol dire il fenomeno dei cosiddetti foreign fighters: vuol dire che ce li abbiamo in casa, e che sono pronti a rivoltarsi contro di noi, come mostrano in effetti i recenti attentati, ovviamente seguendo ordini poco chiari e ben poco “islamici”, di per se.
La colpa, ovviamente, è in buona parte nostra, che abbiamo accettato come interlocutori imam e associazioni chiaramente legate alla Fratellanza Musulmana ed ora ne paghiamo le conseguenze, anziché procedere con l’assimilazione forzata dei (pochi) immigrati regolari nel nostro tessuto socioeconomico.
Il razzismo c’entra come il culo con le quarant’ore, come dicono i Fiorentini. Si tratta di pura e semplice autodifesa. Chi non lo capisce o è stupido oppure, molto più probabile, è in malafede perché ha un tornaconto diretto o indiretto nella vicenda. Si sa, “con gli immigrati si guadagna più che con la droga”, come notava il compagno Buzzi.
Matteo Rovatti

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2 comments

nota1488 2 Agosto 2015 - 11:16

Il razzismo è autodifesa, quando gli “identitari” avranno il coraggio di riconoscerlo sarà tutto molto più facile e ci saranno maggiori probabilità di successo.

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LUCIANO 6 Agosto 2015 - 9:43

Ma perchè vi indignate, ma altro che “ius soli”, io darei la cittadinanza Italiana e la residenza a tutti gli stranieri che mettono piede in Italia, SUBITO, Carta di Identità e Codice fiscale, quindi immediatamente iscritti a ruolo, vedrete che appena gli cominciano ad arrivare le cartelle dei pagamenti scappano via.

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