Roma, 24 gen – Kenzo Tange (Osaka, 4 settembre 1913- Tokyo, 22 marzo 2005) fu un architetto giapponese la cui formazione avvenne tra le due guerre in maniera composita: conseguì la laurea nel 1938 presso la Tokyo University con la presentazione di un progetto per un Palazzo delle Arti, improntato ad un rigoroso lessico razionalista.
Dopo la laurea Tange entrò a far parte dello studio di Kunio Maekawa, il quale , precedentemente, ebbe modo di lavorare all’interno dell’atelier parigino di Le Courbusier e in quello di Antonin Raymond, allievo di Frank Lloyd Wright, a Tokyo.
Tramite Maekawa, Tange si avvicinò ulteriormente, seppur in maniera meditata, alla prassi compositiva dell’ammirato maestro francese, cioè Le Courbusier: Kunio Maekawa, infatti, assieme a Junzo Sakakura, aveva effettivamente aperto il Giappone al Movimento moderno: progettò il Memoriale ad Hiroshima nel 1950, l’edificio della Prefettura di Kagawa nel 1958, il municipio di Kurashiki 1958 e completato nel 1960 e molti altri edifici ed interventi urbani anche in Italia.
Fu estremamente interessato alla cultura architettonica contemporanea ma nel contempo desideroso di disciogliere all’interno del proprio registro linguistico espressioni tipiche della tradizione nipponica, interpretata come una modalità attraverso la quale promuovere una nuova forma di sintassi compositiva.
Ad esempio nell’Unità abitativa progettata per sé stesso nel 1951 e completata nel 1953, si servì prevalentemente dei materiali da costruzione tipici della tradizione giapponese, legno, piastrelle, paratie in carta di riso, riservando al calcestruzzo una funzione esclusivamente portante.
Il risultato è una costruzione organicamente articolata, integrata nel paesaggio e rialzata da terra: è questa infatti una delle caratteristiche dell’architettura giapponese che trova spiegazione non solo nella pratica esigenza di salvaguardare al massimo la costruzione dell’umidità, così spesso presente in quei luoghi, ma anche di rispondere al desiderio di quella privacy tanto sentita dal popolo giapponese. Si tratta inoltre di una componente molto importante anche in Le Coubusier: pensiamo ad esempio all’uso e all’impiego dei pilotis che permettono di rialzare la struttura dal livello del terreno, così da assicurare una buona aereazione ai locali, oltre che una discreta illuminazione.
Questa abitazione, così come tutte le prime esperienze architettoniche di Tange, testimonia l’impegno dell’architetto teso alla sintesi tra le nuove tendenza culturali e la tradizione giapponese.
La casa si sarebbe dimostrata l’unico progetto residenziale dell’intera carriera di Tange e i suoi interni costituivano una rivisitazione dello stile Sukiya, anche se modificato e aggiornato con materiali moderni.
Lo stile Sukiya, appartenente all’Epoca Edo (1603-1868) significa letteralmente “dimora di raffinatezza” e i migliori esempi di tale stile combinano l’eleganza dello stile Shoin con un atmosfera rilassata ed attenuata. Ogni struttura Sukiya è peculiare ma tutte riflettono delle caratteristiche generali comuni e, probabilmente, la più importante di queste è un certo grado di incompletezza e irregolarità, quasi al limite della rusticità.
I migliori esempi Sukiya furono creati dall’èlite della società e la loro attenuata atmosfera si accompagnava con eleganti dettagli ornamentali del tipo più costoso.
L’esempio più rappresentativo dello stile Sukiya è il Palazzo Distaccato di Katsura, la villa di campagna della stirpe dei principi Katsuranomiya, costruito in tre fasi, all’incirca alla metà del XVII: con i suoi esili pilastri di sostegno e i tetti ricoperti di corteccia di cipresso,si fonde in modo armonioso con l’ambiente paesaggistico nel quale è inserito
Leggendo il testo composto da Arata Isozaki Katsura. La villa imperiale pubblicato nel 2004 possiamo tuttavia notare come l’affermazione che incasella il Palazzo Imperiale di Katsura nello stile Sukiya è troppo generica: Isozaki parla di polisemia architettonica circa l’ambiguità dell’orientamento stilistico della Villa, sottolineando come in essa, si possano in realtà individuare due principi differente: uno Sukiya Zukuri e uno Shoin Zukuri. Nell’architettura residenziale giapponese all’inizio del XVII secolo era possibile osservare la coesistenza di due stili differenti.
Il primo era lo Shoin Zukuri: affermatosi sin dall’epoca medievale principalmente per le residenze dei samurai e per gli appartamenti dei ministri del culto dei templi: questo stile presenta un’estetica molto virile ed autoritaria, alla quale erano improntati quegli edifici in cui era necessario rispecchiare il gusto e lo stato sociale della casta dei samurai, molto desiderosa di manifestare la propria ricchezza e la propria influenza.
Il secondo stile invece, il Sukiya Zukuri, si traduce in spazi architettonici dai caratteri molto meno formali e più flessibili. Era usato soprattutto nelle residenze della borghesia e in alcune case da Tè di stile soan.
Il Palazzo di Katsura, costruito in un’epoca in cui i due stili iniziavano a sovrapporsi, rappresenta le caratteristiche di entrambi, non solo quelle Sukiya.
Da questa ambiguità architettonica, nasce una vera e propria pluralità di interpretazioni, le quali prendono in considerazione anche questioni che riguardano le identità culturali, i sentimenti politici e i rapporti di classe: l’arrivo di Bruno Taut in Giappone nel 1933 e la profonda impressione prodotta su di lui dalla Villa di Katsura, fornì ai più progressisti, l’occasione per un recupero del puro e severo stile tradizionale. Rileggendo l’architettura della Villa di Katsura in chiave funzionale, come fece Taut nella sua opera dedicata alla Villa Imperiale di Katsura appunto nel 1933, gli architetti progressisti giapponesi cercano uno strategico punto d’accordo tra modernismo e nazionalismo.
Tange stesso nel 1960, dedicherà uno studio a Katstura e individuando in esso un modello e dimostrando come nell’architettura del palazzo siano inclusi due principi contrapposti: quello di un ordine spaziale yayoi, un equilibrio formale che si sviluppa come una sequenza di strutture nello spazio, anziché come forma organica dotata di massa e volume, e quel modo di concepire lo spazio più arcaico , vitale e popolare denominato jomon, caratterizzato da un senso volumetrico spontaneo.
La combinazione di questi due principi determina, secondo Tange, una dialettica tra la tradizione e la creazione, cioè tra la tendenza alla ripetizione di forme canonizzate e la tendenza al loro superamento. Si tratta di una considerazione e di una chiave di lettura molto importante attraverso le quali possiamo meglio comprendere come lo studio della tradizione sia imprescindibile per costruire e comprendere il nostro presente.
Vanessa Bori