Roma, 20 mar – La paternità è una cosa delicata. Il ruolo del padre è negli ultimi anni fortemente sotto attacco dal punto di vista culturale e non solo. Un pretestuoso femminismo di ritorno portabandiera di tardive rivendicazioni di emancipazione fa il paio con una propaganda martellante su una necessaria riprogrammazione di tutti i comportamenti tradizionalmente considerati maschili. Messa al bando del fumo, abolizione della leva obbligatoria, crescente marginalizzazione di ogni forma di aggressività ed espressione di forza fisica (anche solo in ambito sportivo), costruzione di un immaginario del papà debole, amichevole, svuotato di credibilità. Se questi sono alcuni dei messaggi che passano da qualche anno a questa parte nei fumetti, nei cartoni animati, nei film, nelle pubblicità, più in generale nella società e nella vita quotidiana, questo è avvenuto indubbiamente per un crescente svuotamento del ruolo virile nella cosiddetta “società civile”. Messi sulla difensiva, i maschi si sono sempre più ridotti a elementi accessori del nucleo famigliare, finendo col subire un’autentica forma di spossessamento.
Chi ha a cuore il ruolo centrale della famiglia quale asse portante su cui si regge la comunità di destino dovrebbe ripartire da qui: assegnare al padre il suo compito autentico, che non è in primo luogo quello del migliore amico dei figli, dell’“uomo che passa l’aspirapolvere” o quello di sganciare soldi alla moglie capricciosa. Il padre è il centro vitale della famiglia, egli è in primo luogo autorità ed esempio e il suo compito, difficile e delicato, è quello di assicurare la durata della stirpe connettendo le generazioni. Citando Jünger fuori contesto, sorge una provocazione puntuale: «Lunghi periodi di pace favoriscono l’insorgere di alcune illusioni ottiche. Tra queste la convinzione che l’inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante. In realtà l’inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla soglia di casa brandendo la scure».
L’immagine è primordiale, legata a un mondo rurale e semplice, ma per questo più autentico e estraneo a ogni forma di giustificazione e razionalizzazione tanto di moda oggi. Da qui bisognerebbe ripartire, da una forte e profonda affermazione del ruolo dell’uomo, della virilità e della virtù, senza attardarsi in discussioni di retroguardia o, peggio, di carattere puramente difensivo.
In questa tipologia di distrazione mediatica rientra puntualmente la polemica animata dal giornalista Mario Adinolfi contro il film d’animazione Kung Fu Panda 3, reo, a suo dire, di propagandare in modo soft l’idea gender di famiglia omosessuale: «L’idea che si possa crescere con due papà, uno biologico e uno adottivo, che in assenza di una mamma questa sia sostituibile da un doppione maschile. Continuo a considerare questi modelli tremendamente pericolosi, nessuno ha due papà, meno che mai un “papà adottivo” sostituisce una mamma». Alle parole di Adinolfi ha poi fatto seguito il caso della scuola dell’infanzia Alfa Beta Gamma di Ponte d’Oddi a Perugia che in seguito a proteste di alcuni genitori ha sospeso la gita al cinema con le classi. A quanto pare per alcuni cattolici questo film non s’ha da vedere, talmente negativi sarebbero gli influssi sulla mente dei più piccoli.
La questione è mal posta da qualsiasi punto la si voglia vedere. Tanto per cominciare nel corso della pellicola viene chiaramente evidenziato che Po è nato dal ventre della sua defunta madre. Come già si sapeva dai precedenti capitoli, il Guerriero Dragone è stato messo in salvo dai suoi genitori quando era ancora in fasce. Scampato alla distruzione del suo villaggio e alla morte di tutto il suo popolo, Po è stato adottato e cresciuto dal signor Ping, un’oca. In questo terzo film della serie il ritorno del padre biologico, figura che riunisce in sé tutti i pregi e difetti del figlio, prepara alla piena realizzazione della personalità del protagonista. In una scena intensa è il padre Li Shang a mostrare la foto della famiglia riunita (papà, mamma e piccolo Po), ritornando con la memoria agli eventi che li divisero per oltre vent’anni. Insistere sul ruolo dei due papà del panda come se si nascondesse una allusione a rapporti omosessuali o a qualche dibattito tanto in voga in Italia, appare dunque davvero esagerato. Perfino un sito come Wired, che certo avrebbe applaudito in caso contrario, ha riconosciuto come stanno le cose: «Ben lontani da una coppia di fatto, i due papà vivono anzi una forte rivalità iniziale: quello ‘adottivo’, l’oca che ha cresciuto Po, non vede di buon occhio il nuovo arrivato. Ma ben presto tutto si risolve seguendo la logica – tutta paterna – del perseguire il bene del proprio figlio».
Il destino di Po lo ha portato a essere cresciuto da un padre adottivo. Trovatosi a uno snodo cruciale della sua vita – dover diventare Maestro del Qi – deve anche compiere i passi necessari per diventare adulto. Per questo il percorso verso la maturazione richiede la presenza del padre, di quell’asse che connette all’origine ed educa, cioè trae fuori l’autentico se stesso. Il ruolo dei due papà nella vicenda non è quello di rimpiazzare il ruolo della madre o di costituire un nucleo famigliare “gender”, ma quello di fornire a Po la forza indispensabile a “diventare ciò che è”. Viene ribadito numerose volte lo sprone a migliorare se stessi, uscire dalle sicurezze quotidiane e accettare la sfida di conquistare il proprio destino. Li Shang e il signor Ping non andranno a vivere insieme, non si intratterranno in ambigui sodalizi amorosi; si alleeranno e si armeranno, aiutando Po e il suo popolo a sconfiggere la minaccia di Kai.
Parlare anche in negativo di tematiche pretestuose e distorsioni culturali come la “teoria gender” è un modo per fare il gioco dell’avversario. Si introduce un argomento in più a suo favore, un punto di appoggio e nel caso specifico lo si fornisce – sbagliando – di una piattaforma mediatica e comunicativa immensa qual è un cartone animato. Vanno invece valorizzati tutti i tratti migliori di un lungometraggio come Kung Fu Panda 3, come ha ben fatto Serena Nannelli per il Giornale: «La peculiarità di ” Kung Fu Panda 3″ è la leggerezza con la quale affronta temi complessi, di tipo perfino filosofico e religioso, rendendoli accessibili e di facile comprensione. Il celebre “conosci te stesso” è qui declinato in corollari in grado di aiutare a far fiorire la natura profonda e le attitudini di cui ognuno, anche il più pigro, insicuro e maldestro degli individui è dotato dalla nascita. È questa, del resto, l’arte dell’insegnamento, come imparerà Po, all’inizio inadeguato nelle vesti di maestro di kung fu ma, nel finale, autentica levatrice di talenti. L’invito a fare di più, a diventare la migliore versione possibile di sé, la riscoperta delle proprie radici, l’importanza di avere fiducia e di unire le forze a quelle dei propri simili sono solo alcuni dei potenti input interiori rilasciati da questo film “per bambini”». Affermare con forza ed estro archeofuturista virtù e virilità, il resto sono solo polemiche di retroguardia sconfitte in partenza.
Francesco Boco
2 comments
non so ma a me è sembrato davvero di una noia e per niente divertente e buoni sentimenti e già visto da star male.
La “teoria gender”, per come la presenta il Vaticano e i politici suoi devoti e le varie lobby catto(comuniste o reazionarie)non esiste.
Ci sono delle estremizzazioni negli studi del gender(gender studies appunto) e del femminismo radicale/liberal (poco a che vedere con un femminismo serio ) così come l’utilizzo dell’ideologia mondialista di queste tematiche, ma per il resto “teoria del gender” è solo uno spauracchio, l’ennesima scusa per fare “caccia alle streghe” e sessuofobia da parte dei poteri forti clericali e religiosi/monoteisti, e non a caso la crociata/jihad antigender vede insieme appassionatamente lobby cattoliche,lobby sioniste e lobby islamiste