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Lavoro ed impresa: quando il vero fallimento è la cultura del piagnisteo

by Davide Trovato
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liberalismo fallimentoRoma, 29 mag – Lavorare richiede impegno, dedizione e sacrificio, lo sappiamo tutti. Non è un caso che a Napoli si chiami “fatica”, termine che ne amplifica la gravosità. Ma allo stesso tempo, lavorare richiede anche competenze e conoscenze. Richiede esercizio. Comporta anche il fallimento e lezioni imparate a suon di schiaffoni, metaforici o meno che siano.

Se questo è vero per tutte le tipologie di impieghi, lo è forse ancor di più per l’attività imprenditoriale: l’unica, a differenza delle altre, che si gioca totalmente sull’esperienza accumulata e che non ha alle spalle un metodo “matematico”. In definitiva è la professione con il maggior azzardo e, di conseguenza ed in caso di esito positivo, certamente maggiore guadagno. In gergo economico si parla di “trade-off” tra rischio ed opportunità.

Ora, con tutta sincerità, sarebbe anche il caso di smetterla di lamentarsi delle condizioni del lavoro in Italia. Ed ovviamente qui ci riferiamo al lato del “padrone”: costo del lavoro, pressione fiscale non favoriscono l’iniziativa privata, indubbiamente. L’imprenditoria giovanile non è certamente valorizzata. E possiamo continuare su questa falsariga per ore, affibbiando responsabilità a destra – lo Stato – o a sinistra – l’Europa. Sembra però sempre di più che questa tiritera stia diventando uno “sfogo”, se non addirittura una “scusa”, da parte di chi immaginava di diventare in quattro e quattr’otto lo Zuckerberg di turno, e si è ritrovato invece con in mano un pugno di mosche.

Tutto ciò ovviamente non fa gioire, anzi: esistono tante giovani e piccole, per il momento, realtà che ci auguriamo proseguano su questa falsariga per sempre. E fa ingrigire l’idea che ci siano altrettanto piccole aziende che non riescono a decollare. Tale però è il “gioco” dell’imprenditore. Può incorrere nel fallimento, ed in molti casi in effetti fallirà. E di certo la responsabilità non sarà da additare in toto allo Stato (stato) nel quale viviamo. Altrimenti, fermo restando che consideriamo un disastro totale ed un gioco a perdere le delocalizzazioni, basterebbe prendere e spostarsi altrove. Così, siamo sicuri, non è.

Non esiste una soluzione pronta all’uso, è difficile individuarla. Lo Stato dovrebbe svolgere un ruolo essenziale nell’inclusività ed organicità delle proposte economiche, ma non di certo in una prospettiva di banale (ed irrealizzabile) assistenzialismo. Dovremmo probabilmente cominciare ripensando al concetto economico di “fallimento”: non una sconfitta o una batosta, ma un punto di partenza. Qualcosa va certamente fatto. Ma sicuramente il non fare, o passare il tempo a lamentarsi…quella si che è la vera sconfitta.

Davide Trovato

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