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L’illusione del liberal-conservatorismo

by Stelio Fergola
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Roma, 24 lug – Cos’è il liberal-conservatorismo? In estrema sintesi, l’idea di incorporare le dottrine liberali (quelle che, dall’Ottocento in poi, si sono concentrate sugli individui dall’azione autonoma rispetto a uno Stato che non dovrebbe intervenire nell’economia come in altri aspetti, sebbene inizialmente molto meno improntati sulle questioni etiche, che in pieno XIX secolo erano pienamente ancorate alla visione cattolica), con la preservazione classica delle tradizioni, della morale e di quant’altro. Non ha mai funzionato, eppure in molti continuano a seguirla.

L’illusione del liberal-conservatorismo

Lo spunto nasce dalla riflessione su Facebook del collega Giuliano Guzzo, il quale si focalizza a dire il vero su altri aspetti comunque difficilmente contestabili. Vale la pena riportare quanto da lui scritto integralmente o quasi:

“Oltre a considerare il fatto (vero) che miliardari e popstar non vincono le elezioni, sarebbe interessante che si riflettesse di più sul come mai – a parte isolate eccezioni (tipo Elon Musk) – a livello internazionale il mondo dei miliardari e delle popstar militi orgogliosamente in campo democratico. Evitando le risposte banali a domande complesse, i fattori sono probabilmente diversi.

A me ne vengono in mente tre: 1) la classe dirigente esce dalle università (dove i progressisti oggi dominano manu militari); 2) molte idee democratiche (dall’aborto, alla chirurgia trans fino alla cannabis legale) fruttano e muovono quattrini, e parecchi; 3) se sei conservatore e lo rivendichi, in molti contesti, oggi vieni isolato (e giustamente tutti tengono famiglia).
Un merito oggettivo va comunque riconosciuto all’élite dem: far passare la propria agenda come “vicina alle minoranze”.
Neppure Pinocchio le raccontava così bene.”

Guzzo, conservatore cattolico e dichiaramente ostile al progressismo da sempre, fa una riflessione che su questo tema è impeccabile. I miliardari e i potenti stanno con i liberal-progressisti, perché sono i liberal-progressisti a guidare la politica come l’economia. A questa considerazione – difficilmente contestabile – ne aggiungo un’altra. È veramente possibile combattere il liberal-progressismo con il liberal-conservatorismo? I conservatori liberali, ovviamente, sono convinti di sì. Ma la stortura del ragionamento è presto detta e sta nella parola “liberal”.

Un principio marcio in partenza

Come spiegavamo prima, è anche improprio porre il liberale dell’Ottocento sullo stesso piano del liberale del XXI secolo, se non apertamente errato. Un Cavour, per citare il nome più altisonante, paragonato a qualsiasi liberal odierno (conservatore o progressista che sia) sarebbe un feroce conservatore. Per ovvi motivi: il principio liberale si faceva strada in un universo ancora fortemente tradizionale, cattolico, e in quanto tale non dispiegava ancora tutta la sua potenza distruttrice.

Altra considerazione da fare: liberalismo e liberismo vengono sempre distinti come concetti. Il primo afferisce al diritto di azione dell’individuo in società, il secondo sostanzialmente alla dottrina economica del laissez faire e del disimpegno dello Stato nell’economia. In realtà, però, il liberalismo è funzionale al liberismo, sebbene la sua descrizione sia arricchita da molti fattori distraenti (l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ad esempio). E in effetti, la storia degli ultimi due secoli lo dimostra: con le eccezioni fasciste e comuniste, l’approccio liberale ha generato, lentamente e con la dovuta gradualità, sistemi economici sempre più liberisti e in cui lo Stato – e la stessa politica – recitano un ruolo sempre più compriomario: economicamente, socialmente, politicamente. In un certo senso, il liberalismo è stato l’anticamera della morte della sfera politica in favore di quella privata, delle lobby e dei “miliardari” di cui parla Guzzo.

Ecco perché il liberal-conservatorismo, nell’accezione tipica di chi si impone di combattere il liberal-progressismo (oggi imperante in occidente), è un’illusione senza nessuna possibilità di sbocco positivo. Il liberalismo è un campo in cui tutte le istanze progressiste, nel lungo periodo, trovano sfogo: nell’approccio globalista, nel ridimensionamento dello Stato sia interno che esterno, nell’abbattimento del suo potere di controllo dei confini per quanto concerne l’immigrazione di massa (a favore addirittura di imprese private, come le Ong), perfino nel mantenere punti fermi dal punto di vista etico (su aborto, procreazioni varie, mamme forno e inesistenti “diritti” Lgbt”).

Ora, a parte che sul concetto “conservatore” ho trovato molto calzanti le affermazioni sia di Adriano Scianca che di Valerio Benedetti, per quel che concerne il contesto italiano (chi vuole, consulti i link, qui mi limito a sintetizzare quanto segue dal mio punto di vista: mi sento l’antitesi del progressismo e senza dubbio penso che esistano dei punti fermi da difendere con le unghie, ma il conservatorismo classico, effettivamente, non mi appartiene, soprattutto avallando i ragionamenti di chi sostiene che in Italia nessun conservatorismo abbia mai difeso la Nazione), la vera lotta al progressismo non può che essere quella di uno Stato potente sia politicamente che economicamente, profondamente sociale, imponente un sistema non liberista, e dai poteri ben definiti sulle sfere territoriali come etiche.

Per combattere veramente il progressismo serve tutt’altro

Dunque, ribadiamolo: la lotta al progressismo non può prescindere dall’esistenza di uno Stato forte, imprenditore e sociale. Antitetico al sistema liberista che da due secoli – e senza freni, a meno che i “rallentamenti” non valgano qualcosa – ne favorisce tutte, ma proprio tutte le istanze.

L’equivoco del liberal-conservatore sta nell’idea di giocare nel campo liberale e liberista per frenare la corsa alla distruzione del progressista. Si tratta di un’idea semplicemente fantasiosa, spesso frutto della scarsa considerazione da esso nutrito verso i temi di interventismo economico, magari identificati erroneamente come “marxisti” e quindi comunisti, o magari semplicemente ritenuti secondari rispetto alle questioni di moralità da difendere. Uno Stato che tuteli le fasce deboli è uno Stato forte economicamente. Uno Stato forte economicamente è anche uno Stato imprenditore e quindi più forte politicamente. Quindi maggiormente in grado di opporsi alle derive etiche arcobalenate, di frenare alcuni abominii che sono il riflesso diretto del libero mercato estremo degli ultimi trent’anni (come l’utero in affitto) e anche maggiormente potente per poter riprendere in mano la prerogativa essenziale di poter controllare i propri confini come meglio crede, senza che questi vengano invasi costantemente da barchini e barconi di clandestini e senza che autorità sovranazionali o addirittura private come le Ong lo mettano all’angolo.

La “materia” non è solo marxista o liberista, se ne si riprende il controllo: diventa uno strumento essenziale per agire nel reale, per rimettere in campo la voce spirituale, per contrastare un dominio, quello progressista, che non è mai stato scalfito dall’illusione di poter “conservare” sposando il laissez faire e la piena libertà individuale, a discapito di quella collettiva e statale. Il liberal-conservatorismo non ha mai funzionato. In due secoli (ma limitamoci pure agli ultimi sessant’anni) non si contano le legnate subite dall’imperante e dominante progressismo occidentale. Eppure molti, a destra, continuano a seguirlo e a subirne il fascino.

Stelio Fergola

 

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