Trama. In una Roma scossa da misteriosi attentati (più camorristici che politici), vive Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), un ladruncolo gretto e arido, che passa l’esistenza tra uno scippo e un film porno. Caduto nel Tevere al termine di un inseguimento entrerà misteriosamente in possesso di misteriosi “super poteri”. Casualmente Ceccotti verrà a contatto con la banda dello “Zingaro” (un ottimo Luca Marinelli), un criminale un po’ pazzoide e megalomane, a metà tra il Libanese e il Joker, ossessionato dal “rispetto” che gli spetta e dalla “fama” che deve ottenere. Dopo la morte di un amico di Ceccotti, la figlia Alessia (Ilenia Pastorelli), affetta da disturbi mentali che le fanno confondere la realtà con il manga giapponese Jeeg Robot d’Acciaio, si attaccherà ad Enzo Ceccotti scambiandolo per Hiroshi Shiba. Anche grazie all’amore per la ragazza, Ceccotti prenderà coscienza di poter essere davvero un supereroe, accettando la sfida con l’antagonista, lo Zingaro, nel tentativo di salvare l’umanità (o più precisamente Roma).
Uno dei limiti del film è principalmente il budget, con una ridotta possibilità nell’utilizzo di effetti che normalmente sono il “sale” di una storia di supereroi. Le idee e l’ambientazione originale sopperiscono a tutto questo, anche se a volte un certo “culto” della periferia e di una certa umanità borgatara è leggermente stucchevole. La struttura del film regge bene, anche se indugia troppo nella seconda parte della pellicola, dove il ritmo scende un po’ e si avverte un po’ di difficoltà a “chiudere”, o meglio si crea un po’ di confusione con troppi “finali”. In generale resta un ottimo film e come detto fin da subito, in un panorama del cinema italiano fermo al “film d’autore” che parla dei giovani precari o alla commediola che gioca sulle situazioni familiari, Lo Chiamavano Jeeg Robot è un raro esempio di coraggio e di creatività. Con uno stile riconoscibile, dove anche la colonna sonora con la musica leggera italiana degli anni ’80 gioca un ruolo fondamentale, ottimi attori tagliati perfettamente per i ruoli, il film di Mainetti vale il prezzo del biglietto e dimostra che anche in Italia si può fare qualcosa di diverso. Certo se poi ci fossero anche due soldi sarebbe pure meglio.
Davide Di Stefano
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