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In nome di padre Marte: Marzo e gli antichi Romani

by La Redazione
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marte (1)Roma, 2 mar – Così Ovidio inizia a descrivere il mese di Marzo, nella sua opera “I Fasti”: “O bellicoso Marte, lasciati per un poco lo scudo e la lancia, assistimi e sciogli le lucenti chiome dall’elmo. Forse tu stesso chiedi che attinenza ci sia per un poeta con Marte: da te prende nome il mese che è cantato”. E qualche verso più in là lo stesso Romolo con le sue parole conferma:”Signore delle armi, dal cui sangue mi ritengo nato e, affinché sia creduto, darò molte prove, da te proclamiamo l’inizio per l’anno romano: il primo mese sarà dal nome del padre”. Insieme a Marte, numi principali del mese che si alternano nelle celebrazioni sono Minerva e Bacco.

Per i Romani, Marzo rappresentava l’inizio dell’anno sacro. Si rinnovavano i fuochi nel santuario di Vesta e venivano sostituite le fronde d’alloro nella reggia. Dietro i simboli, spesso velati, si celano verità profonde e concrete. Agli uomini ancora legati al ciclo della natura, sarà capitato di bruciare le potature dell’alloro proprio in questo periodo. Alte fiamme si levano da questi fuochi, accompagnate dal tipico odore acre che si diffonde nell’etere. Per i più sensibili è possibile allora sentire un atmosfera che muta, dentro di sé e intorno a sé, il nostro corpo sembra essere pervaso da una energia nuova e potente che ci sprona all’azione.

Questo è dunque il significato profondo del mese Marzo, che succede al rinnovamento e alla purificazione di Febbraio. A Roma i sacerdoti Salii portavano nella sacra processione gli Ancilia, ovvero undici copie perfette dello scudo piovuto dal cielo, realizzato dal fabbro Mamurio. Il fabbro è una figura molto simile allo stregone, con una forzatura può essere definito lo stregone dei guerrieri: realizza le armi nella sua fucina, spesso da solo, dà una forma ed un’anima alle armi che condurranno le legioni di Roma a civilizzare il mondo allora conosciuto. Il fabbro non realizza semplicemente oggetti di ferro appuntiti, con il suo fuoco egli forgia virtù, infonde nelle armi le qualità più profonde: forza, coraggio e vittoria. Nella sua fucina dense bianche nubi, alternate a potenti fiammate, emanano dalle armi che sta creando. Così Marte ordina a Romolo, impensierito dal fatto che nessun popolo vicino voleva donare giovani spose ai guerrieri romani : “Smetti le preghiere, le armi ti daranno ciò che chiedi”.

Il mito narra che la Vestale Rea Silvia cadde preda del sonno nei pressi di un ruscello, dove si era recata a lavare gli arredi sacri. Lì il Dio Marte la vide e l’amò, procreando in lei Romolo e Remo. Un sogno premonitore aveva avuto la vestale: “Vegliavo sui fuochi Iliaci, quando la fascia di lana caduta dal capelli scivolò davanti ai sacri fuochi. Da là sorsero insieme, mirabile a vedersi, due palme: tra quelle una era maggiore dell’altra, e con i rami carichi aveva ricoperto tutta la terra e con la sommità della chioma aveva toccato le sue stelle. Ecco mio zio scaglia la spada contro quelle: tremo per il presagio, e il cuore balza per il timore. Il picchio, uccello sacro a Marte, e la lupa combattono per entrambi i tronchi: le due palme furono sicure grazie a loro”.

Ma qui di nuovo i simboli si intrecciano potenti con la realtà di tutti i giorni. Le Virtù rimangono immutate, Forza , Coraggio e Vittoria sono ancora gli incitamenti alla nostra stirpe oppressa da una tirannide oscura e strisciante. L’energia è sempre quella sottile e profonda che emana dall’alloro. Le armi non più spade e scudi quanto l’impegno nel mondo circostante, volto a portare verità e giustizia laddove menzogna e viltà si annidano. Dal mese di Marzo, come detto, iniziava l’anno sacro a Roma. L’augurio e il presagio è che da questo mese si diffondano energie di rinascita.

Marzio Boni

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