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Solo un matrimonio di convenienza? Che futuro si apre per il governo Lega-M5S

by La Redazione
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Roma, 13 gen – L’impressione che si ha guardando all’attuale compagine di governo e alla più generale situazione politica italiana è la stessa che si avverte poco prima di un temporale: l’aria è immobile ma minacciosa; si ha la consapevolezza che qualcosa sta per accadere ma non si sa bene di cosa si tratti.

Il matrimonio M5S-Lega è chiaramente un matrimonio di convenienza. Diciamo questo senza alcuna intenzione critica: entrambi questi partiti sono espressione della volontà popolare ma i loro obiettivi e le loro prospettive sono certamente divergenti. Non è necessario essere un politologo per rendersene conto: si pensi alle riserve della Lega sul reddito di cittadinanza e sulla manovra o si pensi alle divergenze fra M5S e Lega rispetto all’accoglienza degli immigrati. Si potrebbe dire, recuperando due etichette scomode (ma le sole di cui per ora disponiamo), che la Lega è a destra mentre il M5S è a sinistra.

Questi due protagonisti della scena politica italiana sono radicalmente diversi: non soltanto sono animati da motivi ispiratori talvolta distanti (per esempio, l’emergenza immigrazione e più in generale il problema sicurezza è avvertita in modo molto più forte dalla Lega di quanto non lo sia dai Cinque Stelle) ma hanno anche una storia e una struttura completamente diversi. La Lega è un partito storico; anzi, si deve riconoscere che, al contrario dei partiti di centro-destra e ancor più di quelli di sinistra, è un partito che ha mantenuto la sua struttura e la sua identità nel corso dei decenni, da Bossi fino a Salvini. È un partito i cui membri conoscono il funzionamento della macchina della politica, i suoi giochi e le sue astuzie. Al contrario, il M5S è un partito recente, una forza politica nata sulla piazza grazie alla dialettica di un comico che la gente sente vicino; ma la sua esperienza nel mondo del potere politico è senza dubbio molto scarsa. Il M5S, inoltre, è un movimento dell’emergenza, nato come manifestazione spesso spettacolare di un malcontento popolare ormai innegabile; la Lega coltiva invece da tempo idee ben definite, che sono vicine, sì, alla sensibilità popolare (si pensi alla questione sicurezza e pensioni) ma anche, non bisogna scordarlo, alle richieste della classe imprenditoriale (in particolare, della piccola-media industria) del Nord Italia.

Il matrimonio Lega-M5S è stata una mossa strategica da parte di entrambi i partiti, che, mostrando una maturità politica di cui pochi li avrebbero creduti capaci, hanno saputo mettere da parte le loro divergenze per portare avanti un programma di governo che includesse le esigenze di uno e dell’altro. Una mossa che ha permesso ai due giovani leader di mostrare agli elettori che un governo veramente rappresentativo delle esigenze popolari non è un’utopia.

Reggerà questa unione? Non è possibile fare pronostici. Tuttavia, si può constatare che le maggiori insofferenze sono state finora mostrate dal M5S piuttosto che dalla Lega. La Lega, infatti, preferisce un significativo silenzio o un’alzata di sopracciglio alla manifestazione palese del proprio fastidio per le mosse dell’avversario; viceversa, alcuni esponenti del M5S hanno più volte mostrato un atteggiamento sprezzante e presentato delle critiche esplicite alle decisioni di Salvini e del suo partito. Questi scivoloni, talvolta criticati dallo stesso Movimento, sono dovuti essenzialmente alla diversa struttura che caratterizza i due partiti: la Lega segue un modello gerarchico molto rigido, paragonabile a quello che caratterizzava (e che forse ancora caratterizza: si vedrà) il PDL, dove Silvio Berlusconi era il capo indiscusso e gli altri erano degli esecutori e sostenitori delle sue decisioni; il M5S, invece, è molto più “democratico”, perché al suo interno si trovano uomini e donne con idee personali che possono entrare in contrasto con le decisioni prese dal partito. Una tendenza, quest’ultima, alquanto pericolosa: non soltanto perché un partito che litiga al suo interno genera sfiducia negli elettori (si pensi al caso lampante del PD) ma anche perché le divergenze interne rischiano di rendere poco efficace e immediata l’azione di governo (e del partito in questione).

La compattezza presentata dalla Lega non è dovuta però, come vorrebbero far credere alcuni critici, ad una forma silenziosa di coercizione o di “squadrismo”; essa è dovuta, piuttosto, alla storia stessa del partito, alla sua “ideologia” (usiamo questo termine in modo neutro): il partito della Lega è un partito che rappresenta non soltanto il popolo in generale (etichetta, questa, tanto discussa quanto vaga e indefinibile) ma una specifica classe o categoria della società, che presenta una peculiare mentalità e che difende alcuni valori condivisi. Coloro che appartengono alla Lega o che la sostengono si riconoscono in questo patrimonio di valori e proprio per questa ragione seguono spesso una direzione condivisa sui vari problemi che si presentano sulla scena politica. Al contrario, il M5S, proprio perché movimento di protesta, manca di questa ideologia: i suoi membri sono certamente uniti da un disprezzo palese per lo status quo e per i sotterfugi della politica, cui però non contrappongono una dottrina o, per usare un termine meno impegnativo, una visione definita e chiara. È un dato di fatto che il cavallo di battaglia del M5S è il reddito di cittadinanza, un provvedimento che, per quanto, forse, utile, manca di forza propositiva. Il M5S è nato come movimento dell’emergenza; bisogna vedere se sarà in grado di formulare, superata l’emergenza (se la si supererà), proposte strutturali e se sarà in grado, ancor più, di costruirsi una specifica identità. Diciamo “se la si supererà” perché non è affatto certo che il reddito di cittadinanza, così come è concepito, possa portare un miglioramento significativo all’economia: per far ripartire l’economia ci vogliono, oltre ai cuscinetti sociali, riforme strutturali e realistiche; il reddito di cittadinanza è realistico? Secondo i M5S sì; secondo l’Europa e non solo, no. Fatto sta che esso rappresenta l’ago della bilancia per i pentastellati: avendo legato la loro immagine e la loro propaganda al reddito di cittadinanza, se falliranno in questa impresa ambiziosa, perderanno una grande fetta di elettori.

Dicendo questo non vogliamo accusare i membri del M5S di mancare di un’identità o di convinzioni personali. Al contrario, ci sono individui del Movimento che hanno espresso posizioni molto chiare su diversi argomenti, sebbene l’attuale leader, Luigi Di Maio, preferisca essere portavoce fermo ma moderato e impersonale delle decisioni del Movimento, piuttosto che mostrare apertamente le sue convinzioni e la sua ideologia. Atteggiamento, questo, non condiviso da Di Battista, il quale invece, con maggior accaloramento di Di Maio, non nasconde le sue convinzioni politiche e ideologiche (tantoché alcuni l’hanno soprannominato il nuovo Che Guevara); né condiviso da Roberto Fico, il quale più volte si è fatto voce discordante rispetto alla linea tenuta dal Movimento cui appartiene. Sarà interessante vedere se, passati i primi entusiasti e reso effettivo il reddito di cittadinanza, la linea più estremista e “comunista” rappresentata da questi due politici prevarrà rispetto all’atteggiamento tenuto da Di Maio e dalla maggior parte pentastellati. Che questo possa succedere è non solo possibile ma anche probabile: l’abbracciare una specifica posizione ideologica sembra essere un requisito necessario per garantire la compattezza richiesta per governare dopo aver affrontato l’emergenza; per costruire, insomma, un’identità. Identità che servirà anche per contrapporsi nelle prossime elezioni alla Lega che rappresenta, è inutile dirlo, il più pericoloso avversario politico per i 5S, se consideriamo che entrambi (insieme eventualmente a Fratelli d’Italia) sono i due protagonisti indiscussi della scena politica (mentre sembrano essere caduti in ombra sia Forza Italia che il Pd).

Discorso diverso vale nel caso della Lega: se per il M5S la sfida è trovare un’identità, per la Lega è cambiarla. Nata come Lega Nord, la Lega attuale sembra aver messo da parte la sua origine, sebbene, come dimostrano le recenti notizie, anche oggi, nel pieno della battaglia politica con l’Europa, le tendenze secessioniste rimangono vive. La Lega oggi preferisce affrontare temi cari a tutti gli italiani da nord a sud; come agirà quando questi problemi saranno risolti? Certamente non ritornando alle manifestazioni secessioniste che la caratterizzavano ai tempi di Bossi; ma nemmeno, forse, rinnegando la sua identità. In questo senso, Salvini è stato un abilissimo mediatore, perché ha saputo, con una straordinaria diplomazia, avvicinare l’elettorato del meridione (che resta comunque schierato, sia detto per inciso, con il M5S) a un partito che aveva più volte criticato, in modo spesso aspro e spettacolare, l’economia e la mentalità del Sud Italia. Forse la Lega passerà da essere Lega Nord a Lega Italia; forse riuscirà a coltivare e difendere l’identità italiana come aveva difeso l’identità lombardo-veneta.

Quali che saranno le mosse dei due giocatori, è chiaro che nessuno di loro dovrà indugiare. I sondaggi più recenti sono unanimi nel sostenere che l’elettorato italiano vuole un ritorno al capo, all’uomo forte che sappia infondere sicurezza; gli animi sono caldi e gli elettori pretendono risultati, non parole. Il clima di aprioristica tolleranza e di ipocrisia che ha caratterizzato gli ultimi anni della politica italiana sembra sulla via del cambiamento, anche se ancora molti sforzi devono essere fatti per scardinare la mentalità che è andata creandosi negli ultimi decenni.

Edoardo Santelli

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