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Medio Oriente, dall’allargamento “leggero” a quello incontrollato: la situazione

by Alberto Celletti
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Medio Oriente guerra

Roma, 9 apr – Seppur in maniera tenue, il conflitto in Medio Oriente è già “allargato”. Lo è da mesi, come sottolineiamo da tempo su queste pagine. Lo è per un motivo molto semplice: i teatri di guerra sono tutti collegati e non riguardano esclusivamente la pioggia di raid che Israele sta proseguendo sulla Striscia di Gaza. Gli Houthi attaccano dallo Yemen nel Mar Rosso qualsiasi nave sia collegata in qualche modo a Israele stessa (basta anche semplicemente essere una nave commerciale che trasporta merci in Europa, le cui Nazioni seguono fedelmente la linea americana vicina a Tel Aviv), ciò ha provocato la risposta americana e di Paesi come Italia, Germania e Francia. Inoltre, seppur in una sola occasione, si è giunti perfino in Pakistan, con gli attacchi iraniani nell’area. Ovviamente, Gaza è lo scenario di guerra incomparabilmente superiore, per intensità, carneficine e numero di vittime. Ma se le tensioni tra Tel Aviv e Teheran dovessero ulteriormente approfondirsi, l’Iran potrebbe entrare definitivamente in gioco, e l’attacco israeliano all’ambasciata di Damasco della scorsa settimana potrebbe costituire un’ulteriore miccia esplosiva.

Medio Oriente, in Iran si brucia

Il Tehran Times, qualche giorno fa, titolava in modo inequivocabile: “The Storm is coming”, con un sottotitolo che diceva tanto: “We will be praying Quds soon”. L’Iran avrebbe insomma attaccato Israele nel giorno di Al-Quds, considerato un momento di solidarietà con la lotta palestinese per la libertà, che si celebra l’ultimo giorno del Ramadan, quest’anno cadente il 5 aprile. Una possibilità che era stata condivisa anche da alcuni vertici della Cia. Non è accaduto, come altre minacce iraniane in passato sono passare senza conseguenze reali. Questo per il semplice motivo che il regime degli ayatollah è ben consapevole del rischio che comporterebbe intervenire direttamente, di conseguenza le sue mosse tendono ad essere per ora circoscritte, sebbene i toni non siano mai tranquilli. Nel frattempo, in Israele si procede alla preparazione per una guerra più ampia, e l’insistenz su Rafah nell’area sud di Gaza (contestata anche dagli Usa) ne è una dimostrazione pratica.

Israele e Rafah

Benjamin Netanyahu, premieer israeliano, non vuole rinunciare alle operazioni militari a Rafah, nel sud della Striscia, come riporta anche l’Ansa stamattina. Dagli Stati Uniti arrivano affermazioni scettiche sull’operazione che metterebbe ancora più in difficoltà l’immagine di Israele sulla scena internazionale, già “provata” da due durissime condanne della Corte dell’Aja e dall’impossibilità, perfino per contesti asserviti alle scelte di Washington, di non poter ignorare il genocidio in corso. D’altra parte, Netanyahu deve vedersela anche con le opposizioni interne, ormai pronunciate ed estese, se consideriamo le proteste nelle piazze contro il governo che sabato hanno radunato anche 100mila persone. “Se Netanyahu decide di porre fine alla guerra senza un attacco esteso a Rafah per sconfiggere Hamas, non avrà il mandato per continuare a servire come primo ministro”, dice poi il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Precedentemente a parlare in modo abbastanza critico era stato il ministro  delle Finanze Bezalel Smotrich, il quale aveva affermato la necessità di valutare la situazione dopo il ritiro da Khan Yunis di qualche giorno fa. Il governo, insomma, è tra due e forse anche tre fuochi: da un lato le opposizioni di piazza, dall’altro da fronti interni  che vorrebbero un atteggiamento perfino più violento a Gaza e, infine, lo scetticismo dei suoi alleati esterni. Il Medio Oriente resta una polveriera “potenziale“, che ancora non ha espresso tutte le sue dinamiche distruttive esclusivamente per la necessità che tutti sentono di non entrare in un gioco ancora più pericoloso. Ma le dinamiche nella storia di altri conflitti del passato hanno già testimoniato passaggi simili, e non significa che il processo si indirizzi a una via diplomatica.

Alberto Celletti

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