Fatto sta che, secondo una ricerca condotta dal Censis nel suo cinquantesimo rapporto annuale, in Italia i millenialsĀ – vale a dire quelli nati fra il 1980 e il 2000, che sono entrati da adulti o (lo sono diventati nei primi anni) del nuovo millennio – hanno, rispetto al resto della popolazione, un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%.Ā Numeri drammatici e che tracciano un quadro a tinte fosche sul futuro. PerchĆ©, vista l’etĆ , in molti casi non sono neanche i primi redditi che percepiscono, ma il risultato anche di anni di anzianitĆ lavorativa. Un’esperienza che non viene messa a frutto, mancando totalmente le opportunitĆ . Creando quella che, venuta meno la sbornia del terziario, ĆØ giĆ diventato post-terziario, molte volte sommerso, fatto di lavoretti, voucher, Jobs Act. Costringendo chi si ritrova in questo girone infernale a dover sopravvivere ancora sulle spalle dei genitori o addirittura dei nonni.
Questi ultimi,Ā al contrario, hanno invece aumentato la propria condizione, riuscendo negli anni della crisi a mettere da parte qualcosa come 114 miliardi di euro, liquiditĆ immediatamente disponibile che spesso viene “girata” a figli e nipoti per integrare i loro scarsi redditi. Il Censis parla in tal sensoĀ di un’Italia involuta e ripiegata sulla rendita, colpevole in qualche modo di questo “inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo k.o. i Millennials”, spiega il direttore generale dell’istituto,Ā Massimiliano Valerii. E’ vero che l’accumulo fine a sĆ© stesso non fa il bene dell’economia, ma allo stesso tempo ĆØ questo risparmio che permette ai millenials, in molti casi, se non di vivere quanto meno di sopravvivere. Anche se il problema, a questo punto, non ĆØ risolto ma solo rinviato a data da destinarsi.
Filippo Burla