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Nazionale, inizia l’era Spalletti: ecco perché ci sono piaciute le parole del nuovo Ct

by Marco Battistini
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Nazionale Spalletti

Roma, 4 sett – Con qualche convocato arrivato a Coverciano già nella serata di ieri, è ufficialmente iniziata l’era di Luciano Spalletti alla guida della nazionale italiana di calcio. In attesa di sapere quali saranno le prime sentenze del rettangolo verde – siamo attesi da un doppio impegno di qualificazione europea: sabato sera in Macedonia e martedì prossimo a Milano contro l’Ucraina – il nuovo commissario tecnico azzurro si è presentato alla stampa nel migliore dei modi. Almeno dal nostro punto di vista. Negli ultimi giorni infatti l’allenatore campione d’Italia ha rilasciato diverse interviste, facendoci prendere appunti interessanti. Frasi, forse di circostanza, ma che – in una marea di dichiarazioni pallonare sempre più politicamente corrette – ci sono piaciute. Ogni parola in fondo ha un proprio peso specifico. Ma andiamo con ordine, facendo prima un piccolo (ma doveroso) passo indietro.

Un passo indietro: l’addio di Mancini

All’indomani della nefasta sconfitta di Palermo – con la nostra nazionale esclusa per la seconda volta consecutiva dalle competizioni mondiali – l’unico punto fermo dell’universo Italia sembrava essere proprio il Mancio. L’ex cittì nei mesi successivi al fendente mortale di Trajkovski era quindi riuscito a mettere insieme i cocci e ripartire gradatamente con il ricambio generazionale. Ovviamente allora nessuno sapeva che a breve il pallone avrebbe dovuto fare i conti con l’irrompere sul mercato degli sceicchi sauditi. Così, come un fulmine a ciel sereno, l’abbiamo ritrovato sulla panchina dei verdi d’Arabia. Per pugno di petroldollari? A sentire le ragioni del diretto interessato non sarebbe quella la motivazione. Al di là della scontata battuta da Bar dello Sport, non torneremo sull’argomento. La scelta migliore rimane sempre quella di giudicare esclusivamente se stessi e non saremo di certo noi a fare morali su scelte personali. Ringraziando l’uomo che ci ha permesso di tornare sulle vette più alte del continente, cambiamo serenamente pagina.

Spalletti, orgoglio e senso di appartenenza

Dalla storica massima shakespeariana “uomini forti, destini forti” riconosciamo nel passato – più o meno recente – dell’ex Napoli una certa originalità comunicativa. Premettendo che chi scrive non è mai stato uno spallettiano di ferro (anzi, tutt’altro), in questi giorni l’uomo di Certaldo è riuscito ancora una volta a posizionarsi su un gradino più alto rispetto al fiume di banalità che avrebbe potuto dire. Nella conferenza di presentazione – avvenuta la settimana scorsa – il toscano si è detto orgoglioso dell’importante incarico, precisando subito che il nuovo gruppo azzurro non potrà prescindere dalla stessa fierezza e da uno spiccato senso di appartenenza. Spalletti ha poi continuato senza piangersi addosso, fissando un secondo punto cruciale. Ossia la netta presa di distanza da chi insinua che l’Italia oggi rappresenti un’idea di calcio minore. Un concetto che proprio non ci può appartenere. Nel solco della bellezza (“fare un calcio che piaccia”), parafrasiamo lo stesso allenatore: nazione forte, nazionale forte.

Rappresentare la storia

Il commissario tecnico si è poi soffermato sull’annoso problema della carenza numerica di atleti convocabili. Facendo buon viso a cattivo gioco – e, aggiungiamo noi, in barba a ius soli e cittadinanze facili – cita quindi un condivisibile proverbio indiano, in quanto “non è il dove nasci che rivela la tribù a cui appartieni, ma dove muori”. Se il riferimento è alla stringente necessità di prendere in considerazione anche i migliori oriundi attualmente in circolazione, il concetto di fondo è chiaro: ciò che conterà per ogni singolo calciatore sarà infatti la voglia di rappresentare la nostra storia.

L’Italia chiamò

Ultime, ma non per importanza, le frasi rilasciate alla Domenica Sportiva. Sollecitato dallo storico programma d’approfondimento, l’allenatore – precisando di aver declinato in precedenza diverse proposte lavorative – ha ribadito che la nazionale è un qualcosa di molto più alto rispetto a qualunque società. E come tale andrebbe considerata da tutto il movimento calcistico. Testuali parole: “L’italia chiamò”. L’offerta azzurra insomma, proprio non si poteva rifiutare. Una squadra che – continuando con l’inno – dovrà metaforicamente essere pronta a morire sul campo. Spetta adesso a Spalletti toccare le giuste corde anche con i suoi uomini. Ossia tradurre le ottime intenzioni con ardite prestazioni e risultati convincenti.

Marco Battistini

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