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Paulo Dybala è il simbolo della svalorizzazione dei nostri calciatori: ecco perché

by Stelio Fergola
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Dybala Roma

Roma, 18 lug – Paulo Dybala è della Roma, e la notizia è rimbalzata su tutti i giornali, Ansa compresa. E i tifosi della capitale, potete scommetterci, già si stanno esaltando. Mentre il signor Lorenzo Pellegrini ha chiuso nell’indifferenza generale la sua migliore stagione in Serie A, finalmente utilizzato costantemente nel suo ruolo naturale (quello di trequartista libero di spaziare sul fronte offensivo) negli ambienti giallorossi arriva l’ennesimo straniero per cui esaltarsi e di cui dichiararsi innamorati. Anche se, nel resto d’Europa, non l’ha voluto nessuno.

Dybala, il valorizzato argentino

Se Dybala va alla Roma, Di Maria arriva alla Juve. Anche questo passaggio è simbolico, per introdurre il nostro ragionamento. Se ne va un buonissimo giocatore ipervalutato ad ogni costo, arriva un fuoriclasse assoluto del calcio mondiale. Solo che il fuoriclasse ha 35 anni ed è ormai a fine carriera, il presunto fuoriclasse (ad ogni costo) è ancora nel pieno della maturità. Ed è rimasto alla Juventus fino a stanotte – senza essere acquistato all’estero – per un solo reale motivo: non l’ha voluto nessuno. Forse perché fuoriclasse non è, forse perché il nostro campionato non è finanziariamente in grado di reggere il confronto con gli altri tornei massimi europei. Se arriva sul serio uno “straniero fuoriclasse”, in un club italiano resiste al massimo qualche anno (si veda il caso di Paul Pogba).

Altrimenti è solo l’ennesimo buon calciatore in un oceano di mediocrità come quello degli stranieri che invadono la Serie A da decenni, ovviamente a tutto danno dei vivai italiani e – tanto per cambiare – della martoriata nazionale. E il fatto che scaldi la panchina nell’Argentina ancora a 29 anni dovrebbe almeno far riflettere un minimo sulla questione.

L’indifferenza verso i calciatori nostrani

I numeri e le prestazioni parlano chiaro. Lorenzo Pellegrini, nella stagione 2021 2022, per la prima volta inserito costantemente nel suo ruolo naturale da Jose Mourinho, ha fatto una stagione di grande livello. Gol (pochi e spettacolari, non è il suo compito primario), assist, punizioni. Coronata dal successo in Conference League e dal titolo di miglior giocatore della manifestazione. Negli ambienti della stampa sportiva, per la prima volta, infiammava timidamente la proposta di dargli la maglia numero 10, che è quella che accende, quella che suscita la fantasia e che rappresenta il bel calcio. Ovviamente, sui social, pioggia di dubbi: per molti era perfino “troppo presto”, per questo giovane – forse, ma non esageriamo troppo – rampante. Ha 26 anni, e forse si potrebbe rispondere polemicamente che converrebbe aspettare i 30 per potergli dare un po’ di responsabilità, ma per carità, “non bruciamolo”, che poi si fa il sangue superbo.

Lorenzo Pellegrini, si precisi bene, non ha lo stesso ruolo di Dybala. Ma se l’argentino avrà sul serio la maglia numero 10 sarà un fatto culturalmente importante. E piuttosto confermativo di come l’immaginario collettivo considera i calciatori italiani da almeno un paio di decenni (e forse anche da prima, sebbene soffocato dagli ormai remoti limiti agli stranieri). Manco ossessionandosi su nuovi arrivi, ma su carriere – come quella dell’argentino – che hanno dimostrato già i propri limiti rispetto a campioni assoluti provenienti dall’estero che in passato giungevano nella nostra Serie A.

Stelio Fergola

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