Roma, 13 feb – Sinistra italiana e Patria sono parole che non possono stare nella stessa frase, se non in un caso: che la prima offenda la seconda. Come avviene da sempre, in pratica. Il caso del professor Tomaso Montanari è solo l’ultima dimostrazione di un’allergia alla difesa di questa Nazione da parte della componente politica, culturale e sociale che vi è più ostile da settant’anni – e forse più – a questa parte.
Sinistra, quella “Patria” che è sempre stata da offendere e vilipendere
La sinistra ha sempre vilipeso la Patria, e non lo scopriamo certamente con le ultime affermazioni del professore toscano. Non solo: ha inciso e reso massificata una cultura che – a dispetto di come viene comunicata nel mainstream – fino a una ottantina di anni fa era parecchio emarginata nell’economia “sociale” della Nazione, sostenuta soltanto da un tradizionalismo cattolico di origine “temporale” che mai aveva accettato in pieno l’Unità del 1861. Una corrente che però i vari governi, sia liberali che fascista, erano riusciti in qualche maniera a tenere all’angolo, rendendo la più debole possibile una delle grandi sfortune storiche della Nazione italiana, ovvero quella di trovarsi “in casa” il centro della cristianità mondiale che sempre ne avrebbe ostacolato lo sviluppo pur essendo paradossalmente e indiscutibilmente uno dei cardini fondamentali della sua stessa essenza. Una contraddizione dalla quale, forse, è impossibile uscire totalmente. Ma che fino a un certo punto non ha ostacolato “lo sviluppo della Nazione italiana”, per usare le parole del professor Emilio Gentile. Dopo il 1945, però, qualcosa è cambiato. Il tradizionalismo irriducibile cattolico ha trovato un alleato, forse il più insospettabile degli alleati: quel marxismo comunista che avrebbe fatto man bassa nel secondo dopoguerra, grazie a quella egemonia culturale di cui tanto parliamo e che tanto difficile è da contrastare ancora oggi. Quella egemonia ha insegnato agli italiani un precetto fondamentale: che la Patria “fa schifo” o, nella migliore delle ipotesi, sia inutile o da superare. Montanari, con le sue parole, non ha fatto altro che esplicitarlo per l’ennesima volta.
Il resto d’Italia deve reagire
Questo diktat, questa imposizione culturale offensiva, inneggiante all’autoumiliazione, alla depressione e alla morte, è professata da una parte indiscutibilmente minoritaria nella Nazione. Rappresentata dagli insulti del Montanari e da altre sue uscite ancora più pessime, come l’attacco alle frecce tricolori definire “inutili e inquietanti”, per un atteggiamento che, senza quartiere, non vuole neanche lasciarla respirare, questa Nazione, ma farla morire il prima possibile. Una violenza di cui la maggior parte degli italiani non è, di per sé, partecipe. Vivendo però, questo sì, in un limbo di indifferenza e di sottomissione da cui è necessario uscire il prima possibile. Un limbo che si nutre di tanti elementi di negatività, come ogni depressione che si rispetti: dai traumi post-bellici alle suggestioni della sinistra nel corso dei decenni, al virus globalista. Più di tutti, però, esso mantiene la sua forza sulla scia della paura. Paura di essere giudicati da “quelli buoni”, di essere criminalizzati, di essere messi all’angolo con il sempreverde appellativo di “fascisti”, come se poi fosse un’offesa. Una minoranza tiene schiava questa Nazione, la tiene in catene da decenni. Va affrontata con ogni mezzo della civiltà e dell’amore. Va combattuta con la cultura, con la conoscenza, con la voglia di approfondimento. Dal canto nostro, continueremo a farlo finché ci sarà concesso. Per dare a questa Nazione la pace, quella reale, di cui ha tremendamente bisogno.
Stelio Fergola